Antigone e Týr – eroi o condannati?
il problema delle mezze verità
È possibile che nell’antica società greca, non meno misogina della maggior parte delle altre di quell’epoca, Antigone potesse rappresentare l’eroina che si erge contro Creonte? È possibile immaginarsi un Sofocle quasi femminista che rappresenta Edipo come un mostro incestuoso, Creonte come un empio (così li addita il vate Tiresia contro il quale nessuno nelle tragedie ha nulla da obiettare), mentre l’unico personaggio positivo sarebbe Antigone, una donna, come non poche letture dell’opera hanno preteso? Ovviamente no.
Eppure è innegabile che nessuno ha visto in lei un personaggio demonizzato, nemmeno chi non vede in lei un’eroina. Forse che Sofocle non ne sarebbe stato capace se lo avesse voluto? Ovviamente sì.
Sembrerebbe proprio che la verità su Antigone è paradossalmente proprio che non esiste una sola verità su di lei. La sorella di Polinice è certamente colei che sfida coraggiosamente il sacrilego bando del re per offrire i giusti onori al fratello morto, ma questa è solo mezza verità. Antigone è certamente colei che è condannata fin dall’inizio alla morte per la sua arroganza irrispettosa del re, ma anche questa è solo mezza verità.
Per quanto possa apparire incredibile l’unico modo per non censurare nulla di questo personaggio è ammettere che lei è al tempo stesso un’eroina e una condannata: le opposte letture che nel tempo si sono presentate della tragedia sembrano essere solo parzialmente corrette e solo parzialmente sbagliate. Vedere come nei suoi confronti giudizi opposti si incontrano lascia perplessi, eppure non è affatto un caso unico.
Un personaggio simile da questo punto di vista è il dio norreno Týr, che si prende cura del lupo Fenrir. Nessuno degli dèi osa avvicinarsi all’enorme belva, solo Týr ha il coraggio. Naturalmente il legame tra il dio e il lupo non è identico a quello di sangue tra Antigone e Polinice, ciononostante è innegabile che dal momento in cui Týr si preoccupa di nutrire Fenrir diventa in qualche modo responsabile della sua sorte.
A un certo punto gli dèi decidono per una soluzione definitiva: il lupo è troppo grande e deve essere incatenato per il bene del mondo, in quanto è una chiara minaccia. Dopo due tentativi falliti finalmente trovano la corda giusta, ma ora devono convincere Fenrir a farsi legare: occorre che qualcuno metta la mano in bocca al lupo, altrimenti lui non accetterà la prova di forza per vedere se riesce a liberarsi. Indovinate chi deve metterci la mano? Ovviamente Týr.
Cosa diremo di questo dio? È certamente un eroe perché coraggiosamente salva il mondo, ma questa è solo mezza verità. È certamente un condannato perché fin dall’inizio sa che perderà la mano e resterà monco, ma anche questa è solo mezza verità.
Il dato è davvero sorprendente: finché osserviamo un personaggio come Edipo che prima è un eroe, quando sconfigge la sfinge, e solo in un momento successivo diventa un condannato, possiamo accettare il cambio di giudizio perché riferito a due gesti di due momenti separati, per Antigone e Týr invece c’è un solo momento, un solo gesto. Loro non sono prima eroi e poi condannati, nemmeno prima condannati e poi eroi, loro sono eroi e condannati allo stesso tempo. Peggio: loro sono eroi proprio in quanto accettano la condanna e sono condannati proprio perché si mettono a fare gli eroi. I due giudizi non solo non sono separabili sul piano temporale, ma addirittura legati da una connessione logica.
Tutto ciò sembra privo di senso, invece non lo è. L’interrogativo su questi personaggi ci rimanda all’interrogativo dell’antropologo René Girard a proposito dei dati sociologici che Hubert e Mauss forniscono sul sacrificio rituale: esso è al tempo stesso una “cosa molto santa” e una sorta di delitto. Possiamo dunque dire che Antigone e Týr si sacrificano nel senso “sociologico” del termine. Essi sono sia il sacrificante sia il sacrificato (anche se Týr sacrifica solo la propria mano): compiono un delitto contro se stessi, i condannati, ma questo delitto è “cosa molto santa” perché salva, o comunque difende, tutela, ciò che conta davvero e per questo sono eroi.
Fermarsi solo a uno dei due lati delle loro vicende è arbitrario, significa vedere solo mezza verità. Per questo la teoria del capro espiatorio di Girard è così efficace, benché sembri contraddittoria nella sua pretesa che la vittima di un linciaggio è ciò che viene venerato come divinità o come eroe: ha assunto e non censurato il doppio volto del sacro, mortifero e salvifico al tempo stesso; anzi è più giusto dire salvifico in quanto mortifero e mortifero in quanto salvifico. Il capro espiatorio è il condannato che deve morire e al tempo stesso il tutelare dell’armonia.
Per tornare al discorso iniziale sulla società greca e Sofocle confrontati con le altre e i loro narratori, Antigone, come l’esempio di Týr ha evidenziato, non è un caso eccezionale, nel senso che è un’eccezione, un personaggio unico nel mondo dei miti, ma è eccezionale perché in lei si manifesta con eccezionale chiarezza il doppio volto di tutti i personaggi mitici, come questo doppio volto non sia una coincidenza, ma un elemento necessario. Se a volte sembra che sia sottolineato solo uno anche dagli stessi narratori, è perché anche loro a un certo punto non vogliono più l’ambiguità e decidono di raccontare solo mezza verità. A quel punto diventa la sola verità del mito.
In Antigone sembra più sottolineato il fatto che lei è condannata e passa in secondo piano che tutela l’armonia tra vivi e morti, nell’Edda si sottolinea più la vittoria degli dèi sull’infero mostro Fenrir e passa quasi in secondo piano il fatto che Týr è condannato a restare monco. In altri miti ci sono eroi che sono solo eroi e mostri che sono solo mostri, ma non dobbiamo mai dimenticare che non esiste eroe senza mostro né mostro senza eroe: il doppio volto del sacro non sparisce mai, solo noi possiamo decidere di vedere mezza verità.
Articolo a cura di Pietro Somaini
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Delle cose nascoste , un blog che dalle idee di René Girard cerca di dare una nuova chiave di lettura sia della società che dei suoi prodotti culturali. Abbiamo voluto pubblicare questa rubrica perché crediamo che il pensiero di questo studioso, un intellettuale sorprendente che ha dato un contributo originale nei campi di studio più disparati (si spazia dalla letteratura all’antropologia, dalla sociologia alla storia delle religioni) sia di fondamentale importanza per coltivare una visione critica sul mondo, soprattutto sulla nostra contemporaneità.