Culturificio
pubblicato 6 anni fa in Girard gruppo studi

Ciechi come il ciclope

la riscoperta della famosa avventura di Odisseo

Ciechi come il ciclope

«Qui un uomo aveva tana, un mostro, che greggi pasceva, solo, in disparte, e con gli altri non si mischiava, ma solo viveva, aveva animo ingiusto» (Odissea, ed. Einaudi, trad. it. di Rosa Calzecchi Onesti, IX libro, vv. 187-89). L’avventura di Odisseo con il Ciclope è famosissima, la conoscono tutti. È un bel racconto: c’è il macabro, la suspense e tutti ricordano il colpo di genio dell’eroe, non tanto quello di accecare Polifemo, quanto di dire di chiamarsi “Nessuno”. Così scampa alla vendetta degli altri Ciclopi (anche se poi pecca di superbia e incontrerà la vendetta del padre Poseidone).

L’unico problema è che un racconto simile sembra avere poco del “mito” nel suo senso più solenne. Non ha nessuna funzione eziologica, non spiega niente. Si direbbe che abbia solo un valore letterario, eppure è il primo testo dell’antichità greca a cui fa riferimento l’antropologo René Girard in La violenza e il sacro, mentre ancora discute il problema del sacrificio, quindi un fenomeno reale e sociale. La prima testimonianza dal mondo greco che l’antropologo raccoglie non è quella dell’Edipo re di Sofocle, ma dell’avventura di Odisseo.

È una scelta discutibile? Forse la troppa famigliarità con questo racconto ci ha portato a sottovalutarlo, ci ha reso ciechi al suo straordinario valore.

Girard sottolinea il ruolo dell’animale per salvare gli uomini dalla violenza del mostro: è il primo passo per arrivare a quel meccanismo che non a caso chiama del “capro espiatorio”, per cui la violenza, quella umana e reale, per evitare che distrugga la comunità, deve essere tutta convogliata contro una vittima sacrificabile. Altre analisi lo porteranno a sostenere che i guerci abbiano un segno vittimario perfetto per attirare su di loro l’ostilità del gruppo. Tutto questo a prima vista sembra una serie di forzature inaccettabili applicate al racconto, ma forse Omero le rende meno tali.

Il solo passo prima citato, apparentemente innocuo, diventa curiosamente eloquente se si cambia l’ordine delle parole: Polifemo vive solo, non si mischia con gli altri, è proprio una brutta persona, dall’animo ingiusto, un uomo (in greco ἀνήρ) ma più che un uomo un mostro. Separando le parti del discorso si possono riscontrare tre considerazioni: una è un’osservazione, le altre sono giudizi e non è assurdo che siano legati alla prima, anzi in determinati contesti sappiamo per certo che sono presi per semplici deduzioni dalla prima. Ciò che è osservabile è che Polifemo vive solo, il testo sembra insistere su questo fatto. I giudizi messi in un certo ordine formano un climax: un uomo dall’animo ingiusto, un mostro.

Insomma non abbiamo neanche bisogno di parlare dell’aspetto fisico di questo personaggio: già abbiamo tutti gli elementi per descrivere la tipica dinamica che precede un linciaggio. In fondo qualunque segno vittimario è tale perché isola la vittima, facendo convergere su di lei tutti gli sguardi ostili: è esattamente quello che Omero racconta.

Eppure si obietterà ancora che si cerca qualcosa di reale in una “fiaba”. In effetti l’antropologo James G. Frazer ha mostrato che questa avventura di Odisseo ha molti tratti comuni con tante leggende popolari diffuse ovunque (peraltro non è l’unico che se n’è accorto). Ma ciò è tutto a favore della convinzione di Girard, perché dal confronto si scoprono altri interessanti indizi.

In alcune di esse non c’è un ciclope con un solo occhio in fronte, ma un guercio, che infatti viene accecato con la scusa di ridare a un occhio la vista che ha ancora l’altro. Se Girard avesse commentato una di loro non avrebbe dovuto proporre supposizioni: già i racconti dicono quanto basta sul tipo di individuo con cui abbiamo a che fare. Altro elemento è che in molte di esse il mostro muore. In alcune viene ucciso, in altre annega.

In una leggenda ungherese compare addirittura un indizio che quasi non avremmo osato sperare di trovare. Quando il gigante con un occhio solo, dopo esser stato accecato, si accorge che i tre protagonisti sono anche riusciti a scappare, si dispera e le sue urla attirano altri dodici giganti. A questo punto accade un fatto incredibile: i mostri al posto di inseguire subito i fuggitivi, prima, viste le condizioni in cui era ridotto il loro simile, lo afferrano e lo fanno a pezzi. I due protagonisti riescono intanto ad allontanarsi a sufficienza per non essere raggiunti.

C’è poco da commentare: il testo parla da sé, il linciaggio è esplicito e – dato ancora più sorprendente – lo è anche la causa, ovvero la menomazione fisica.

Per quanto riguarda il ruolo degli animali, in diverse leggende per fuggire i protagonisti non si aggrappano alle bestie, ma le uccidono, le scuoiano e usano le loro pelli, i loro manti come travestimenti per non essere scoperti mentre il mostro tasta sulla soglia. Sono tutti indizi di quanto sia pertinente recuperare un simile racconto da parte di Girard in un capitolo sul sacrificio: non c’è molto da discutere sul fatto che in questi casi esplicitamente gli animali vengono sacrificati per salvare gli uomini dalla violenza.

Naturalmente resta un’altra obiezione: perché privilegiare alcuni aspetti di alcune versioni del racconto e non altri? Questa domanda potrebbe essere più ingenua di quanto non sembri: essere indifferenti a tutti gli aspetti di tutte le versioni significa non avere pregiudizi? Oppure significa aver già stabilito in anticipo che non ha senso cercare riferimenti alla realtà di questi racconti? Non ci sono molti dubbi che certi aspetti sono più “realistici” di altri, come per esempio parlare di un guercio piuttosto che di un essere con un occhio solo. In qualunque caso bisogna assumere dei presupposti di partenza.

Di conseguenza una domanda forse più opportuna potrebbe essere: dobbiamo credere che tutti questi indizi, di un racconto che tutto sommato lo stesso Girard ha subito abbandonato, non ritenendolo tra quelli fondamentali, siano un’incredibile serie di coincidenze?

Articolo a cura di Pietro Somaini


Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Delle cose nascoste , un blog che dalle idee di René Girard cerca di dare una nuova chiave di lettura sia della società che dei suoi prodotti culturali. Abbiamo voluto pubblicare questa rubrica perché crediamo che il pensiero di questo studioso, un intellettuale sorprendente che ha dato un contributo originale nei campi di studio più disparati (si spazia dalla letteratura all’antropologia, dalla sociologia alla storia delle religioni) sia di fondamentale importanza per coltivare una visione critica sul mondo, soprattutto sulla nostra contemporaneità.

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Fonte per l’immagine: https://it.wikipedia.org/wiki/Il_ciclope_(Euripide)