Martina Madia
pubblicato 5 anni fa in Recensioni

“Circe” di Madeline Miller

“Circe” di  Madeline Miller

Madeline Miller ci racconta una Circe che è solo in piccola parte la maga che tutti conosciamo, la donna che nell’Odissea seduce Ulisse e trasforma i suoi compagni in porci. Questa non è la storia di una mangiatrice di uomini senza pietà, ma quella di una donna che cresce sentendosi fuori posto e che trova la propria dimensione tra gli uomini.

Circe è la pecora nera della famiglia, cresciuta tra titani e ninfe, figlia del dio del sole Elios e della ninfa Perseide, sente di non appartenere a quel mondo, niente nel suo aspetto e nel suo temperamento la avvicina ai fratelli o al suo splendente padre.

 Ero stata accanto alla luce di mio padre. Avevo tenuto Eete fra le braccia, e sul mio letto c’erano spesse coperte di lana tessute da mani immortali. Ma prima di quel momento non avevo mai saputo cosa volesse dire stare al caldo.

Il primo calore che la maga conosce è quello del pescatore Glauco, un uomo che le racconta la sua vita e la incanta con le sue mani segnate dalle reti per i pesci. È un calore tutto nuovo, quello che l’accecante luce di suo padre non le ha mai trasmesso nei tanti anni passati accovacciata ai suoi piedi nella speranza di ricevere qualche attenzione. L’amore per questo fragile mortale la spinge a scoprire doti magiche che non sapeva di possedere e a farne sfoggio davanti a tutti per salvarlo e contemporaneamente perderlo per sempre.

Per tutto questo tempo sono stata una tessitrice senza lana, una nave senza mare. E guarda adesso dove veleggio.

L’esilio forzato come punizione del suo essere: l’isola di Eea dopo un primo momento di sconforto si rivela più un regalo che un supplizio. Circe lontana dalla corte, dai suoi fratelli sempre pronti a schernirla e dalle occhiate scocciate e quasi disgustate della madre può finalmente conoscersi e uscire dall’ombra in cui è sempre rimasta. Si concede un altro amore, sempre per un umano, Dedalo: un amore più adulto di quello per Glauco e più consapevole. Sanno entrambi di avere poco tempo a disposizione, ne godono finché possono. Tutto ciò che le resta di lui un bellissimo telaio.

L’uomo mi spinse contro il muro. Sbattei la testa sulla pietra grezza e la stanza esplose in tante scintille. Aprii la bocca per lanciare l’incantesimo, ma lui mi premette il braccio sulla trachea, strozzandomi la voce. Non riuscivo a parlare. Non riuscivo a respirare.

Nonostante Circe sia una dea, nonostante abbia un’isola tutta per sé, davanti agli occhi degli uomini a cui dà asilo è soltanto una donna. Questa la parte del romanzo più attuale, quella che racconta lo stupro subito, il senso di impotenza sotto la forza dell’uomo e che indaga la ferita di Circe-donna per spiegare la magia di Circe-maga. Il solito mito viene rovesciato, la versione dei fatti è quella della vittima: trasforma in maiali gli uomini che le hanno fatto del male, in primo luogo per difendersi e poi per far provare loro la stessa paura.

Io non ero prudente. Io ero incauta, avventata. Anch’egli era una lama affilata, lo percepivo. Di un tipo diverso, ma pur sempre una lama. Non mi importava. Pensai: dammi la tua lama. Qualcosa per cui valga la pena sanguinare.

Odisseo giunge ad Eea, come una profezia le aveva anticipato, e succede quello che tutti sappiamo. Per Circe questo eroe tornato dalla guerra è novità e anche passione, vuole che rimandi la partenza sempre di un’altra stagione e soffre al pensiero che ci sia una moglie ad aspettarlo da qualche parte.

Prende tutto ciò che viene, si riempie la testa di immagini e racconti perché sa che arriverà il momento in cui lui dovrà tornare a casa e lei dovrà lasciarlo andare. Circe però non sa che, partito Ulisse, penserà di essere rimasta sola per poi accorgersi di aver ricevuto qualcosa dall’amore perduto: non un telaio questa volta ma un figlio, Telegono.

Da giovane udii per caso parlare il medico di palazzo. Disse che le medicine che vendeva erano solo per figura. Perlopiù le ferite guariscono da sole, disse, se tu dai loro il tempo necessario.

Telegono cresce, vuole conoscere il padre e dopo una serie di vicissitudini porta ad Eea Penelope e Telemaco in fuga da Itaca. Improvvisamente queste due famiglie ne diventano una sola e Circe si ritrova a condividere la casa e le ansie con la moglie del suo Odisseo. Madeline Miller costruisce con maestria lo scontro tra queste due figure femminili che si scrutano da lontano, imparano a conoscersi per il bene dei loro figli e danno vita a una vera e propria famiglia allargata. L’epilogo è tutto da leggere, poetico e a tratti sconcertante ma rappresenta perfettamente le difficoltà e poi le gioie che si incontrano nel costruire un rapporto lì dove qualcosa è stato distrutto.