Compendio di un mondo in trasformazione: la nuova edizione di “Grida”, Lu Xun
Da giovane ho fatto molti sogni che poi ho in gran parte dimenticato, ma la cosa non mi dispiace per nulla. I ricordi, sebbene possano far piacere, a volte sono anche fonte di inevitabile solitudine. Che senso ha lasciare che i fili dello spirito trattengano un passato solitario ormai trascorso? Io, al contrario, mi dolgo di non poter dimenticare tutto, e ciò che non sono riuscito a dimenticare completamente è all’origine, oggi, di queste Grida.
Davanti ai miei occhi annebbiati si aprì una verdissima spiaggia in riva al mare e in alto una luna piena giallo oro appesa in un cielo azzurro intenso. Pensai: la speranza di per sé non esiste, come all’inizio non esistevano strade sulla terra, la strada esiste quando molte persone fanno insieme lo stesso cammino.
Con un grande lavoro editoriale targato Sellerio, i racconti di Lu Xun tornano nelle librerie italiane: Grida, uscito a giugno 2021 e curato da Nicoletta Pesaro, è il primo dei tre volumi e comprende quattordici storie pubblicate tra il 1918 e il 1922. Il testo è seguito da un’esaustiva postfazione che condensa la caratura e la complessità dell’autore e della sua opera, estremamente utile sia per il lettore che si approccia per la prima volta a Lu Xun sia per quello che ha più dimestichezza con questa figura monumentale.
Parlare di Lu Xun (pseudonimo di Zhou Shuren, 1881-1936) è sempre complicato. Ci troviamo di fronte a un intellettuale straordinariamente eminente, rappresentativo dello sviluppo culturale della Cina del Novecento, il padre della letteratura cinese moderna. Se si vuole parlare di Cina non si può prescindere da questo personaggio che raccoglie in sé tutte le complessità del proprio contesto storico. Lu Xun fu un grande scrittore, ma anche traduttore, critico, esponente culturale e innovatore a tutto tondo. Un autore eclettico, capace di influenzare la propria epoca e quelle successive, valicando i confini nazionali e temporali. La sua figura è stata talvolta oggetto di manipolazione e strumentalizzazione politica, tanto è il lustro associato al suo nome in Cina.
Cresciuto in un periodo di transizione, Lu Xun ricevette una formazione ibrida tra quella tradizionale dei letterati mandarini e quella scientifica di ispirazione europea. Studiò per anni in Giappone e fu un avido lettore di narrativa estera. Il sistema degli esami imperiali stava tramontando, e i letterati cinesi esplorarono nuove possibilità stilistiche e nuovi spazi nel proprio contesto sociale; fu la generazione di Lu Xun a portare avanti l’istanza di una cultura più aperta, permeabile e soprattutto accessibile, attraverso l’adozione di forme linguistiche più vicine al parlato.
La profonda trasformazione culturale e il tentativo di scuotere la società sono apertamente visibili nei racconti di Grida. In questo senso, lo scrittore non perde la vocazione morale radicata nella tradizione cinese. Ogni pagina è un appello a prendere consapevolezza della condizione di torpore e passività in cui versa la nazione. Attraverso un’amara ironia, Lu Xun mette in luce il dramma di un paese oppresso dalle superpotenze straniere, da un sistema burocratico obsoleto, da retaggi culturali oppressivi di derivazione confuciana. L’opera è attraversata da una vena di critica sociale evidente che tocca i temi di rivoluzione, arretratezza e superstizione.
Grida contiene due tra i racconti più celebri di Lu Xun, che ebbero grande impatto letterario e significativa influenza culturale: Diario di un pazzo e La vera storia di Ah Q. Il primo (pubblicato nel 1918 sulla rivista simbolo di quell’epoca, «Gioventù nuova») fu un vero e proprio spartiacque perché segnò l’inizio della letteratura moderna scritta in baihua, lingua piana e divenne il manifesto di una generazione di intellettuali. Un giovane si autoconvince che gli abitanti del suo villaggio stiano tramando per cibarsi di carne umana e finisce completamente obnubilato dalle manie di persecuzione. L’autore, in un’allegoria ben congegnata, punta il dito contro il sistema autoritario dei clan e la cultura feudale che cannibalizza l’individuo. Dopo aver descritto minuziosamente il crescendo di paranoie del protagonista, Lu Xun chiude con un’inaspettata vena di speranza, come se volesse disperatamente trovare una via d’uscita dalla tragicità di quanto ha scritto. L’epilogo è rimasto estremamente celebre: «Ci sono forse ancora bambini che non abbiano mangiato altri uomini? Salvate i bambini…».
Nota di merito di questa edizione è, come dicevamo, l’approccio traduttologico e critico che tenta di restituire la caratura dell’opera sotto il profilo contenutistico e linguistico. Questo aspetto è particolarmente osservabile proprio nel prologo di Diario di un pazzo, scritto in un’esilarante parodia della lingua classica. La differenza di registro è stata mantenuta da Nicoletta Pesaro, che in merito afferma: «la scissione linguistica di cui sembra vittima il pazzo è, per Lu Xun, il vero iato tra passato e presente, il crinale di una lingua che impedisce ai contemporanei di esprimere idee nuove imprigionando il pensiero in traiettorie anguste e inintelligibili».
Anche La vera storia di Ah Q ha avuto grande fortuna letteraria, non solo in Cina (da noi fu messa in scena da Dario Fo la Storia di Qu), diventando un vero e proprio classico. Qui la penna di Lu Xun ha dipinto un personaggio indimenticabile, simbolo di viltà, arroganza e povertà d’animo. Ah Q è un debole che vuol spadroneggiare, tenta di riscattarsi dalla propria condizione umiliante ma finisce vittima della sua stessa prosopopea. È l’inetto per eccellenza, così patetico da sollevare una pietà amareggiata; nuovamente, la tragicommedia messa in scena da Lu Xun non si conclude in sé stessa, ma fa appello al risveglio della società.
Anche negli altri racconti Lu Xun si sofferma su personaggi marginalizzati, ma nella narrazione non c’è spazio per sentimentalismo o pietismo. C’è piuttosto un tono sferzante, un’ironia sagace che mette in discussione la coscienza della popolazione cinese. I suoi personaggi sono vittime e oppressori allo stesso tempo, schiacciati da un sistema che li avvilisce e che loro stessi si ostinano a perpetuare. Nonostante il tono amaro e talvolta grottesco, le parole dello scrittore sono finalizzate a destare gli animi dei concittadini abulici e subalterni. Sono grida che si rivelano straordinariamente pungenti e attualizzabili anche al contesto odierno, attraversate da una riflessione sulla natura umana così acuta da renderle universali.
Quelli qui illustrati sono solo pochi degli aspetti che caratterizzano Lu Xun e la sua opera. Lo spazio di una recensione non è mai sufficiente per dire tutto, ma questo è ancora più vero per Lu Xun, la cui grandezza non può essere condensata in parole che non siano le sue. L’invito alla lettura di questo classico, finalmente disponibile in libreria, e dei volumi che seguiranno (Esitazione e Antiche storie riscritte) è dunque un invito a conoscere, almeno parzialmente, una figura assolutamente unica nella storia della letteratura, esponente di una meravigliosa complessità.