Culturificio
pubblicato 3 anni fa in Letteratura

“Divano occidentale orientale”: Goethe in viaggio tra la Persia e l’Europa

“Divano occidentale orientale”: Goethe in viaggio tra la Persia e l’Europa

Goethe (1749-1832) è considerato uno dei più grandi scrittori di lingua tedesca, oltre che uno dei massimi poeti europei; alcuni lo annoverano tra i geni più poliedrici dell’età moderna: i suoi interessi spaziavano dall’ambito artistico a quello scientifico, in un solido e fecondo dialogo interdisciplinare. Quando pensiamo al Goethe preromantico quasi inevitabilmente ci vengono in mente titoli come I dolori del giovane Werther, Faust o Le affinità elettive, opere straordinarie che gli hanno conferito una grande fama. Tuttavia c’è un altro Goethe che vale la pena conoscere: quello lirico della maturità, autore del Divano occidentale orientale (1819), un’opera cardine per quanto riguarda il legame tra la cultura tedesca e il mondo orientale.

Nel corso della sua feconda attività di teorico della letteratura Goethe ha elaborato un concetto fondamentale per la letteratura odierna, ovvero quello di Weltliteratur, termine che convenzionalmente viene tradotto con “letteratura mondiale”. È molto interessante notare come sia stato proprio lui a coniare questa nuova idea di una letteratura aperta al confronto con una cultura altra in un periodo in cui un paese come la stessa Germania stava faticosamente costruendo la propria entità nazionale; in realtà il vecchio Goethe non poté certo ignorare il fervore patriottico dei tedeschi d’allora ma non ne condivise mai appieno l’entusiasmo.

Non aveva molto in comune neanche con il romanticismo – che ormai predominava sulla scena letteraria − anche se allo stesso tempo fu affascinato dalla sua tendenza universalistica, poi alla base del sopracitato concetto di Weltliteratur. Il pensiero dell’intellettuale tedesco si pone allora quale apripista di una riflessione estremamente prolifica che proseguirà per tutta l’età moderna e contemporanea con critici del calibro di Edward Said o Franco Moretti.

La curiosità di Goethe, mista alla tendenza a pensare in termini di connessioni universali, genera dunque un’opera come il Westöstlicher Divan.  Il testo è strutturato come se fosse un dialogo con il poeta persiano Hafez (1315-1390), vissuto ben quattrocento anni prima e considerato, ancora oggi, un pilastro della letteratura persiana. 

Viene naturale chiedersi come mai Goethe scelga proprio Hafez. La risposta sta nel fatto che all’epoca questo scrittore era stato recentemente scoperto e importato in Occidente; è Goethe stesso a dichiarare di trovarsi alle prese con un lavoro rischioso, audace e sorprendente poiché ciò che vuole fare, proiettando il suo sguardo verso est, è esplorare, farsi metaforicamente avventuriero e mercante assieme.

Si lascia volutamente alle spalle tutti quei temi e quegli elementi orientaleggianti di cui la letteratura europea settecentesca aveva già ampiamento fatto uso e sperimenta un modo diverso di rappresentare l’Oriente. D’altro canto riesce, incredibilmente, a tenere lontano anche il ben più fertile orientalismo della cultura romantica del tempo, impregnata di una certa dose di esotico onirismo.

La prima traduzione tedesca del Divan di Hafez risale al 1812-13 e porta la firma di Joseph von Hammer. Questi non si riteneva solo un semplice traduttore, bensì un interprete dello scrittore persiano; il suo obiettivo era quello di condurre il lettore europeo in una cultura completamente diversa da quella di appartenenza. Il lavoro di Hammer è di estremo interesse per Goethe perché coniuga diversi influssi, tenendo conto non solo del testo in originale persiano ma anche della traslitterazione in lingua ottomana fatta da Sudi.

Inoltre Hammer ha vissuto per molto tempo proprio a Costantinopoli, l’odierna Istanbul, con il desiderio di dirigersi verso il territorio di Shiraz (dove visse Hafez), progetto che non riuscì mai a realizzare a causa delle lotte intestine di quella regione. È chiaro che, vista da questa prospettiva, la traduzione di Hammer nasce e si sviluppa come un’opera del tutto ibrida, non collocabile né ad oriente, né ad occidente.  

Per giunta negli stessi anni la linguistica storico comparativa, soprattutto ad opera di Franz Bopp e Rasmus Rask, ben prima degli studi di Georges Dumézil, prova definitivamente l’esistenza di una parentela indoeuropea tra le lingue, oltre che l’esistenza di una prima vera lingua vicina al sanscrito con una sua produzione letteraria; dunque tutte le letterature del mondo provengono idealmente da questa prima letteratura universale, ormai perduta. Ed è forse proprio quest’ultima che Goethe vuole faticosamente ricercare.

L’opera ha la struttura di un canzoniere lirico diviso in dodici parti, ognuna di esse ha un titolo in persiano che ne esplica l’argomento principale. Ogni sezione consta di un certo numero di ghazal (tipo di componimento breve proprio della cultura araba e in generale della tradizione islamica). I temi sono davvero molteplici, e insieme tendono a tracciare un viaggio della coscienza e dell’anima, entità sempre in continua metamorfosi.

Goethe ha l’impressione che la storia dell’uomo e dell’universo sia in realtà già conclusa e che il progresso non sia altro che una derisione; c’è tuttavia qualcosa che muove l’essere del mondo ed è il caso, il caos che scompiglia, crea e ricrea ogni volta la vita; ecco allora che libri, lingue, culture ed esperienze si ammassano disordinatamente nella mente di Goethe, dando vita ad un libro straordinariamente denso come il Divano; del resto l’autore è un grande erudito e un appassionato studioso: è difficile contare le numerose fonti che lo hanno ispirato in questa particolare casistica… pare che avesse letto la maggior parte degli studi (dalle enciclopedie ai resoconti di viaggio) in materia d’oriente del Seicento e Settecento europei, che avesse studiato il corano e persino imparato la lingua araba.

Che da Jussuf Suleika fu incantata

è naturale:

lui era giovane, gioventù ha favore,

era bello, dicono, da estasiare,

e bella lei, fatti per darsi gioia.

Ma tu, attesa così a lungo,

mi lanci sguardi giovani e infuocati,

ora mi ami, poi mi renderai felice,

i miei versi questo canteranno:

in eterno per me ti chiamerai Suleika (Bur 1997, a cura di Koch, Porena e Borio).

Tra le varie parti del libro ricordo soprattutto il Libro di Suleika, nome persiano della donna amata da Hafez, che nel Divano, impersona Marianne Von Willemer, conosciuta a Francoforte all’alba del suo matrimonio con un banchiere, amico dello stesso Goethe. I due avranno un’intensa seppur breve storia d’amore, ed è proprio in questo libro − forse il più autobiografico di tutti − che si raggiungono le vette di maggior ingegno poetico dell’intero canzoniere. Per di più, tempo dopo, grazie al filologo Herman Grimm (uno dei fratelli Grimm, i famosi fiabisti) si scoprirà che parte dei componimenti di Suleika sono stati scritti proprio da Marianne in risposta ad alcuni versi che l’autore le aveva inviato.

Nel corso degli anni varie poesie tratte dal Divano sono state musicate da compositori quali Richard Strauss e Arnold Schoenberg: anche un’opera che definiremmo minore ha stupito tanti lettori, oltre che lo stesso autore; proprio Goethe, poco incline a nuove tendenze letterario culturali, si mostrerà un vero innovatore infatti, nonostante gli anni di gestazione del canzoniere ci riportino a quello che sembrerebbe un lontano Ottocento, è chiaro che siamo di fronte a un’opera intrinsecamente avanguardistica nel più pieno senso del termine, un lavoro rivoluzionario e, per la sua epoca, profondamente audace.

di Carmela Viscardi