Daniele Ramadan
pubblicato 4 anni fa in Filosofia

Filosofia della vita e della memoria

Letizia Cipriani risponde su Henri Bergson

Filosofia della vita e della memoria

Esistono concetti in filosofia che non sono concetti. “Memoria”, “tempo”, “esperienza”, per esempio, non sono mai puro astrattismo ma delineano anzi la dimensione del vivente nel suo anelito più profondo. Esistono pieghe, nell’andamento della filosofia, che sono connaturate al divenire stesso della vita. Per chi sappia ascoltare questo tempo che trascorre, è un ritrovarle in se stesso, nei propri cambiamenti, nell’erompere della propria esistenza.

Henri Bergson (1859 – 1951) è tra i testimoni più importanti per raccontarci questa filosofia della vita, del tempo e della memoria:

Ciò che esiste in realtà non è l’uomo in generale, è questo uomo, anzi ciò che esiste in realtà non è neppure questo uomo, ma un mutamento incessante, dato che in che questo uomo di reale non vi è che il mutamento.

È Letizia Cipriani, studiosa di Bergson, che guiderà i lettori del Culturificio all’interno dell’argomento.

Innanzitutto, chi è Henri Bergson?

Letizia Cipriani: Henri Bergson è stato un uomo, nel senso più ampio che questo concetto e lemma possano esplicare.

Bergson è stato molte cose nella sua vita, piccolo ebreo in fuga, audace studente dall’aria distaccata, a tratti saccente, professore capace di incantare l’uditorio. Anche un buon amico per chi riusciva a penetrarne la maschera sociale. Bergson era sempre di fretta, odiava fare le file e non riusciva a stare fermo. Parafrasando il contenuto della sua filosofia, ancora non chiaramente inserito nella nervatura delle discussioni filosofiche contemporanee, potremmo dire che Bergson era in anticipo. Aveva un ritmo vitale eccezionalmente dinamico.

Per delineare l’uomo, potremmo citare il suo scontro con Einstein sul concetto di “tempo impersonale puro”. La sua idea di base era che la Teoria della Relatività avrebbe comportato l’esistenza di una sostanza temporale indipendente dal punto di vista soggettivo, ossia il famigerato “divenire”, eppure bloccò la pubblicazione dell’opera quando si accorse di aver commesso un errore dal punto di vista matematico.

La vita di Bergson non getta luce solo sulla sua persona, bensì apre una panoramica molto interessante anche sul contesto storico, assai particolare e turbolento in cui è vissuto, a cavallo tra il XIX e XX secolo. Un mondo occidentale dove convivevano, negli stessi salotti, la scienza più rigorosa e lo studio spiritista del paranormale, dove era possibile trovare, durante una seduta spiritica, veggenti ciarlatani e premi Nobel come Bergson, oppure i coniugi Curie.

Vediamo, grazie al filosofo francese, anche una comunità ebraica legata alle sue radici e perseguitata fin dal XIX secolo, una comunità con la quale Bergson non andrà mai in accordo, ma che, dal punto di vista umano e civile, non abbandonerà mai, basti pensare che da anziano e malato, volle fare la fila per l’identificazione, come tutti gli altri ebrei, nella Parigi nazista. Parigi. Maledetta in quei decenni, eppure, in ogni suo mutamento, capace di essere splendida, ricca di progresso industriale e artistico, ma anche retrò, leggermente fuori tempo, nel suo ritmo magico, sintetizzato perfettamente nello stile Liberty.

Come introdurresti la filosofia di Bergson?

Letizia Cipriani: Bergson ha compiuto una “rivoluzione copernicana” non meno intensa rispetto a quella di Kant. Quando ci troviamo di fronte a questi giganti del pensiero non possiamo che parlare di rivoluzione. Nel caso di Bergson si è trattato di un capovolgimento della filosofia occidentale. Bergson ha infatti cominciato a pensare in termini di tempo. Ma non il tempo finto, ossia quello spaziale, rappresentato dalla cronologia, dall’orologio. Pensare “temporalmente” significa modificare il punto di vista su se stessi come corpi coscienti, e sul concetto stesso di vita. Pensare temporalmente significa capire che il tempo non ha una struttura lineare o gerarchica, che la vita, ogni forma di vita, ha un proprio ritmo peculiare. E, sopra ogni cosa, la forma delle vita è fatta di una sostanza temporale, strutturata in modo straordinario: la memoria. Memoria che in Bergson assume una struttura complicatissima, completamente diversa rispetto a come viene considerata ancora oggi, nonostante l’avanzare della psicologia e delle scienze fisicaliste. Pensare temporalmente significa pensare in movimento. Ciò che chiarisce il movimento, ancora, è la relazione analitica tra variazioni di qualità, e non di quantità. Bergson c’è riuscito mettendo al centro della sua filosofia una prassi agentiva, cioè il concetto di divenire.

Tempo, vita, azione, mutamento, sembrano tutti condurre alla memoria. Cosa intende Bergson per memoria?

Letizia Cipriani: Bergson è molto chiaro nel definire cosa per lui è la memoria: essa è la coscienza della vita. 

Un corpo cosciente, che vive, ha una durata molto particolare, poiché si sviluppa in una struttura, che è la memoria appunto. Per questo motivo la memoria di Bergson non si esaurisce con il passato, tutt’altro. Viene descritta come una struttura di compenetrazione di movimenti, cioè di momenti dell’esperienza vitale, tra loro sempre diversi, che valicano i confini del tempo spazialmente tripartito in passato, presente e futuro. Vista la complessità di questa memoria mutevole, può venirci in contro l’arte multidimensionale di Escher.

La memoria cambia da specie a specie. Anche la vita organica vegetale per Bergson ha memoria, una memoria “dormiente”. Ciò non è strano per questo filosofo, che diventa un vero e proprio biologo del tempo. Dopotutto, pur muovendosi, il mondo vegetale ha “scelto” per sopravvivere la strada della quasi immobilità. Ma la memoria cambia anche tra i soggetti della stessa specie e, di conseguenza, i ritmi vitali, cioè i ritmi di durata, risultano eterogenei e soggettivi.

Tuttavia, che esista una struttura in grado di astrarre (come un ricordo, o l’inconscio) tramite una “dilatazione e una contrazione”, tramite un “trattenimento di esperienze già state”, tramite una proiezione nel “non ancora”, è per Bergson fondamento della sua metafisica. Una metafisica che in realtà ha una memoria secolare, difatti è con Spinoza che si comprende davvero cosa intende Bergson per memoria. 

Perché oggi ci dovremmo rivolgere a questa filosofia?

Letizia Cipriani: Bergson stesso, come tutti i grandi pensatori, ha lasciato coscientemente una enorme eredità e responsabilità ai futuri studiosi. Lui ha fatto una breccia nel reale, una fessura dalla quale traspare una luce quasi accecante, luce affrontata da autori come Martin Heidegger, Maurice Merleau-Ponty, Gilles Deleuze e tanti altri. Probabilmente la filosofia della mente contemporanea, ma anche gran parte della psicologia, deve molto a Bergson senza neanche saperlo. Sicuramente la metafisica analitica di Bergson può portare contributi interessanti in filosofia, ancora non ottimizzati. Anche perché può attualizzare metafisiche portentose come quella aristotelica, spinoziana e leibniziana. Nello specifico, penso che il concetto di durata, di memoria, e soprattutto la struttura di quest’ultima, possano far guardare in modo diverso alla realtà, ma anche a quelle tipologie peculiari e problematiche di “ritmi vitali”, come i disturbi mentali, sia di origine psicologica che neurofisiologica. Lo stesso Bergson si occupava di fenomeni quali il dejavù, il sogno e le amnesie.

Letizia Cipriani, Il ritmo vitale. Henri Bergson, biologo del Tempo (Mimesis, 2020)