Caterina Marchesini
pubblicato 4 anni fa in Filosofia

Nietzsche, “Il viandante e la sua ombra” e lo spirito libero

Nietzsche, “Il viandante e la sua ombra” e lo spirito libero

Nell’opera autobiografica La mia vita, Nietzsche ricorda la sua nascita avvenuta in un piccolo paese di campagna vicino Lipsia, in una regione della Turingia annessa alla Prussia.

Io nacqui a Rocken presso Lutzen, il 15 Ottobre 1844, e nel santo battesimo ricevetti il nome Friedrich Wilhelm. Mio padre era pastore in questo paese. Era il perfetto ritratto del prete di campagna! […]

Il villaggio di Rocken è situato proprio sulla strada provinciale, non c’è sicuramente viandante che passi da quelle parti che non gli getti uno sguardo benevolo; giacché si stende grazioso, contornato da macchie e laghetti.

Proprio la figura del viandante ritorna in uno dei suoi libri di aforismi più belli, Il viandante e la sua ombra (del 1879). L’ispirazione per la sua stesura gli viene durante un viaggio a Saint Moritz, dove soggiorna tre mesi durante i quali si dedica a contemplare i paesaggi che vede passeggiando per i boschi ai piedi dei ghiacciai o sulle rive dei laghi alpini.

È questo un periodo molto intenso, durante il quale il filosofo, attraverso un esercizio ascetico, inizia una faticosa lotta per liberarsi di tutto ciò che non appartiene alla sua natura. Lotta dalla quale emerge il nuovo volto del filosofo, ossia lo «spirito libero».

L’ombra: Giacché è tanto tempo che non ti sento parlare, vorrei dartene un’occasione.

Il viandante: Parla – Dove? E chi? È quasi come se sentissi parlare me stesso, solo con voce più debole della mia.

L’ombra (dopo una pausa): Non sei contento di avere un’occasione di parlare?

Il viandante: Per dio e per tutte le cose a cui non credo, è la mia ombra che parla: la sento, ma non ci credo.

Il libro inizia così, con un dialogo tra un viandante e appunto la sua ombra, dialogo che si divide in due parti: Introduzione e Epilogo. Nietzsche colloca i trecentocinquanta aforismi dell’omonima raccolta fra la prima e la seconda del colloquio.

Si tratta di un dialogo surreale dove sin da subito l’ombra consiglia il modo in cui comportarsi; dice infatti che è bene che entrambi siano indulgenti verso loro stessi se per una volta la ragione tace, in modo tale da non adirarsi se nel loro colloquio la parola dell’altro suonerà incomprensibile; più avanti, il viandante si scusa con la sua ombra come se soltanto in quell’istante si rendesse conto della sua presenza.

Il viandante: Solo adesso mi accorgo quanto sono scortese nei tuoi confronti, mia cara ombra: non ho neppure fatto parola su quanto mi rallegra di ascoltarti, e non solo di vederti. Lo sai, io amo l’ombra come amo la luce. Perché esistano la bellezza del volto, la chiarezza del discorso, la bontà e fermezza del carattere, l’ombra è necessaria quanto la luce. Esse non sono avversarie: anzi si tengono amorevolmente per mano, e quando la luce scompare, l’ombra le scivola dietro.

Anche l’ombra, dal canto suo, ci tiene a manifestare al viandante che sono in sintonia.

L’ombra: E io odio quel che odi tu, la notte; amo gli uomini perché sono seguaci della luce, e mi allieta lo splendore che è nel loro occhio quando conoscono e scoprono, loro, gli infaticabili conoscitori e scopritori. Quell’ombra che tutte le cose mostrano, quando su di esse cade il sole della conoscenza. Io sono anche quell’ombra.

Così, essendosi capiti e scopertisi buoni amici, si accordano su cosa dirsi; il viandante le dice di avere centinaia di domande da porle prima che svanisca il tempo in cui essa potrà rispondervi. Numerosi difatti sono gli argomenti trattati e inseriti nell’opera sotto forma di aforismi.

Nell’ultimo di essi, ritorna la figura dello spirito libero. Nietzsche dice che all’uomo sono state imposte molte catene affinché disimparasse a comportarsi come un animale e che, nonostante sia diventato più spirituale e riflessivo di tutti gli animali, soffre ancora per aver portato così a lungo le sue catene (quegli errori gravi delle idee morali, religiose e metafisiche) e per essere rimasto privo di libero movimento e di aria pura per così tanto tempo.

Solo quando sarà superata anche questa sofferenza, sarà pienamente raggiunto il primo grande scopo: la separazione dell’uomo dall’animale. Dice infine che soltanto «all’uomo nobilitato può esser data la libertà di spirito», così da poter dire di vivere per la gioia e per nessun altro scopo con il suo motto: «pace intorno a me e compiacersi proprio di ciò».

Il viandante: Ah, voi ombre siete “uomini migliori” di noi, me ne accorgo.

L’ombra: Eppure ci avete chiamato “importune” – noi, che almeno una cosa sappiamo fare – tacere e attendere. È vero, ci si trova molto, molto spesso al seguito dell’uomo, ma mai come sue schiave. Quando l’uomo fugge la luce, noi fuggiamo l’uomo: a tanto arriva la nostra libertà.

Il viandante: Ahimè, tanto più spesso è la luce a fuggir l’uomo e allora anche voi lo abbandonate.

L’ombra: Ti ho abbandonato spesso con dolore: a me, avida di sapere, tante cose dell’uomo sono rimaste oscure, perché non posso esser sempre presente intorno a lui. Pur di possedere una totale conoscenza dell’uomo, sarei volentieri la tua schiava.

Il viandante: Lo sai tu, lo so io, se tu da schiava non diventeresti improvvisamente padrona? Oppure se tu rimarresti schiava disprezzando il tuo padrone, condurresti una vita di umiliazione, di disgusto? Accontentiamoci ambedue della libertà, così come è rimasta a te e a me! Giacché la vista di un essere non libero amareggerebbe le mie gioie più grandi; le migliori cose mi ripugnerebbero, se qualcuno dovesse dividerle con me – non voglio sapere di schiavi intorno a me.

Lo spirito libero non può più obbedire ai valori di un tempo. Di ciò ne è convinto il filosofo che, in questo periodo fondamentale della sua esistenza, si guarda indietro e pensa con afflizione alla sua precedente «fuga da sé». Ma più gode della sua attuale condizione, più intorno a lui si scandalizzano e giudicano il suo «libero pensiero» una decisione eccentrica che tradisce le sue attitudini personali. Nietzsche crede invece che fino ad allora la sua vita sia stata inattiva davanti alla missione affidatagli e che solo adesso, grazie a questa nuova posizione intellettuale, sia entrato in possesso della sua «natura originaria».

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