Il Cassola di “Fausto e Anna” e “Gli indifferenti” di Moravia
esempi di realismo e deriva sovrastrutturale del marxismo
A detta del “Gruppo ‘63”, Carlo Cassola (1917-1987), vista la sua preferenza dell’oramai anziano sentimentalismo a discapito del neonato sperimentalismo artistico, fu una perfetta “liala”, celebre autrice di romanzi rosa. Ci fu anche chi lo accusò di aver ucciso il neorealismo e di essere stato un diffamatore della resistenza. Prendendo in considerazione due tra le sue opere più significative, “Fausto e Anna” (1952) e “La ragazza di Bube”(1960), è possibile notare la grandezza dello scrittore fiorentino grazie alla sua grande capacità di osservare la realtà nelle sue più piccole sfumature. Cassola in questi due romanzi esplicita il suo reazionarismo sia dal punto di vista linguistico, con la scelta dell’italiano puro, che da quello strutturale; i protagonisti, Fausto e Mara, sono i suoi “alter ego”. Ma allora in che modo Cassola ha avuto una rivalsa nei confronti dei neoavanguardisti del “Gruppo ‘63”?
Se essere diffamatori della resistenza vuol dire, nel caso di Cassola, criticare la componente sociale di quest’ultima si rischia sia di avere pregiudizi ideologici che di essere superficiali. Cassola critica la violenza dei partigiani non perché li odia: lui stesso fu partigiano nella vita reale e ha visto questo genere di violenza e da grande realista ne ha riportato le immagini. Questo realismo è il denominatore comune sia di “Fausto e Anna” che della “Ragazza di Bube”. L’ortodossia marxista in campo prettamente teorico-letterario ci insegna che il vero realista è quell’artista in possesso di una profonda etica letteraria la quale esige la caduta dei pregiudizi « di fronte alla propria immagine soggettiva del mondo ». Di conseguenza dal complesso microcosmo letterario dei due romanzi sopracitati, derivano personaggi protagonisti tipo e non medie fotografiche. Fausto, Bube e Mara, così come Anna e Bice (personaggio minore in “Fausto e Anna”) sono personaggi tali da porsi come modello di una possibile condizione di vita del periodo narrato e non viceversa.
Cassola in “Fausto e Anna”, ci offre, a sua insaputa, con una straordinaria capacità artistica, una critica della classe borghese (quella di cui fece parte!) durante il periodo del fascismo. È proprio in qui che si può trovare una perfetta simmetria con “Gli indifferenti” di Moravia (1907-1990) romanzo edito nel 1929. Per focalizzare al meglio questo concetto è necessario parafrasare le parole spese da Sanguineti (1930-2010) nella prefazione critica degli “Indifferenti” secondo cui il fascismo, in due dei sette periodi schematizzati dallo storico Renzo De Felice (1929-1996) « periodo del consenso », dal 1925 al 1936, e « lo stato totalitario », dal 1936 al 1940, ha prodotto, a livello sociale, individui con un inconsapevole senso comune del tragico e dell’immutabile, ecco quindi che o si sceglie di salvare la propria « coscienza etica » da perfetti spettatori sdegnati oppure ci si adatta « senza inutile disperazione ». Alla luce di queste considerazioni è possibile trovare numerose affinità e divergenze tra il Fausto cassoliano e il Michele moraviano, divergenze perché “Fausto e Anna” è un romanzo di formazione. Nella prima parte dell’opera si assiste ad un Fausto seppur tormentato ma adattato ormai a un certo tipo di vita tale da essere peculiare a Carla degli “Indifferenti” mentre nella seconda parte si ribella e svela la sua vera essenza morale che è affine a quella di Michele. A testimonianza di questo è la “non impotenza sessuale” di Fausto di fronte ad una prostituta a dispetto invece di Michele che, negli “Indifferenti”, in una scena sorprendentemente analoga, non riesce ad assaporare una concreta ebbrezza con le donne perché ricerca quella profonda autenticità o purezza morale che nel determinato periodo storico sopracitato è impossibile e, forse, non si è nemmeno troppo retorici se si usa l’aggettivo “antistorica”. Una scena del tutto simile a questa si verifica nelle prime pagine di “Fausto e Anna” dove un personaggio secondario, Bice, amica di Anna e Nora, incarna le vesti del Leo moraviano poiché, a causa del suo comportamento e della sua mentalità libertina con gli uomini, diametralmente opposta alla “buon costume”, susciterà disagio nelle sue due amiche. Bice, a sua volta, rimane sconvolta da una, seppur piccola ma presente, etica di Anna e Nora. Tutto ciò non deve arrecare meraviglia, parafrasando le parole di Sanguineti « la purezza morale […] agli occhi dell’uomo borghese, non può che apparire come un tratto di straordinaria ingenuità inferiore, un vero e proprio capovolgimento dell’ordine “naturale” delle cose ». Bice è un po’ come il Leo moraviano che insegna e spiega a Michele che in amore non è necessario provare sentimenti reali.
Dov’è che allora il Fausto di Cassola smaschera la sua vera e propria coscienza e si configura al pari del Michele moraviano?
Fausto più volte nel corso del romanzo sarà sia indifferente nei confronti della vita che paranoico per il suo non adattamento alle tendenze morali dell’epoca da lui vissuta. Egli è una palinodia dello stesso Cassola. Non è un caso se Fausto è un intellettuale borghese che vive male il suo status ma a differenza di Michele si sforza di avere rapporti autentici con il mondo, pertanto, come dichiarerà alla fine del romanzo, divenne comunista perché ripudiò la sua stessa classe sociale, l’alta borghesia e divenne partigiano per « provare sensazioni nuove ». Si sforza quindi di essere un “intellettuale impegnato” ma non vi riesce nel momento in cui le sue idee devono concretizzarsi. In tal caso non sarebbe poi del tutto sbagliato parlare di « strutturalismo genetico » affine a quello che Sanguineti smaschera in Moravia tramite Michele. Fausto, sempre verso la fine del romanzo, si mostra ancor più classista di quanto crede, lui non sa uccidere, non vuole uccidere e condanna la violenza perché le sue condizioni sociali hanno fatto sì che egli si comporti in maniera differente dai partigiani, vorrebbe esser stato Bube il cui credo politico e le cui azioni sono state dettate dalle sue condizioni sociali.
Da tutto ciò forse traspare l’unico difetto del realismo di Cassola. In maniera coraggiosa, potrebbe esser lecito sostenere che lo scrittore fiorentino, come Moravia, abbia preso da Marx la sola « pars destruens ». Si prenda il romanzo “La ragazza di Bube”. Bube uccide un uomo in nome di una precisa ideologia ma alla fine finisce per pentirsi e Mara, alter ego cassoliano , compatisce suo marito abbondando di « sentimentalismo etico » causato da quello che Sanguineti negli “Indifferenti” definisce, a discapito di Michele e quindi a discapito anche di Moravia, come « trapasso dal negativo al positivo ».