Il discorso sui giovani: da Salinger a Skam Italia
Parlare della categoria bistrattata dei millennials in modo realistico e originale, senza che si finisca per assumere atteggiamenti paternalistici o superficiali, è difficile. Non tutti hanno scritto Il giovane Holden.
Se penso a rappresentazioni verosimili di quel che – per mia esperienza – sono i giovani oggi, mi vengono in mente Sally Rooney o Elif Batuman. Con risultati più o meno riusciti, comunque hanno entrambe trovato modalità convincenti per rappresentare i loro personaggi al liceo, all’università. Di Rooney si è parlato molto e se ne continua a parlare, complice la recente uscita della serie tv ispirata al suo Persone normali; L’idiota, per quanto sia certamente un po’ peregrino nella seconda parte, è un romanzo che ha centrato l’obiettivo, presentandosi come un romanzo di formazione originale, intelligente. Ma non sono questi i romanzi che i giovanissimi tendono a leggere, se non eccezionalmente.
Quello che si vede nelle librerie sono libri di giovani per i giovani – e sono nella grande maggioranza dei casi libri che verranno dimenticati con facilità – oppure serie tv dove ci sono, sì, i giovani, ma poi gli attori che li interpretano hanno trent’anni. Anche i fantasy young adult, che per gli adolescenti dovrebbero essere scritti, ricadono nella rappresentazione distorta di personaggi che sulla carta hanno sedici, diciassette anni, ma l’impressione è che ne abbiano una ventina in più. Un esempio su tutti la dilogia di Sei di corvi, uscita nel 2019 per Mondadori: qui l’età non è un dato tanto insistito da arrivare a guastare l’esperienza della lettura, che anzi è godibilissima, ma una spia di un atteggiamento forse sbagliato a monte.
A questo punto mi viene facile immaginare che sia, per la maggior parte degli autori (tv o di romanzi), quantomeno complesso rendere bene la giovinezza in una narrazione finzionale: se si è giovani probabilmente non si hanno ancora gli strumenti per analizzare la propria stessa generazione e si finirà per produrre qualcosa di superficiale, se si è adulti probabilmente sarà difficile evitare di assumere una posizione di distanza, anche critica.
Sono finita a ragionare sui libri che negli anni ho letto e che hanno per protagonisti giovani, passando per le serie tv e per quel poco di cinema che conosco, perché ho visto recentemente Skam Italia, nonostante la serie sia uscita da ormai due anni. Di Skam si può dire che è un prodotto molto bello, che si propone di mettere in scena la realtà della vita dei giovani (in questo caso italiani, ma ci sono stati remake della serie originale, norvegese, in tutto il mondo). Il lavoro che c’è dietro si vede tutto. A partire dalla colonna sonora, attenta e conforme a quello che gli adolescenti davvero ascoltano – Blink 182, Salmo, passando per il Renato Zero de I migliori anni della nostra vita, che tutti abbiamo cantato a qualche festa d’istituto –, per arrivare alla fotografia, aiutata anche da una Roma bellissima, Skam è innanzitutto una serie confezionata benissimo.
Più che altro, però, e senza nulla togliere alle motivazioni dette su che sono verissime e di cui poi magari parliamo, è la rappresentazione della giovinezza a essere originale e di grandissima qualità, capace di spaziare da argomenti frivoli a tematiche complesse, trattando tutto con la stessa freschezza.
Forse non c’è nemmeno bisogno di dirlo, ma nel 2020 un’educazione alla Emilio di Rousseau non è più contemplabile. Nemmeno il Discorso del metodo, che si può leggere anche come un romanzo di formazione (ed è bellissimo), va bene per parlare ai giovani di adesso. Ci si chiede perché i romanzi scritti dalle quindicenni star del web siano perennemente in classifica; sono in classifica perché è evidente che tutta una fetta di mercato non riesce a sentirsi rappresentata altrimenti. Non c’è rappresentazione nemmeno nelle serie tv – come quelle italiane – che propinano ragazzini mai costruiti con la stessa attenzione riservata ai personaggi adulti, schiacciati sotto lo sguardo svilente di chi scrive quelle parti.
Parlando di serie tv, non pensavo che avrei mai guardato Skam, perché le è stata appiccicata l’etichetta di “teen drama”, di fatto respingente e persino riduttiva. È più utile e meno controproducente guardare il problema da una diversa prospettiva: come in ogni campo, anche tra tutte le cose che gli adolescenti leggono o guardano per spirito di immedesimazione ci sono le cose-fatte-bene e le cose-fatte-male. Il discrimine sta lì, Skam è una delle cose-fatte-bene. Anche meglio di tante altre serie che hanno avuto un successo planetario: più intelligente, più matura, più pensata.
Non sto dicendo nulla di trascendentale. Chiunque abbia voglia di guardarla saprà subito – prima scena – che è così che i giovani pensano e si esprimono:
«Ore. Centinaia. Migliaia di ore. A non fare niente, a cercare di piacere agli altri, a comprare vestiti che costano meno dello schifo che mangiamo e soprattutto ore su ore a studiare. Cose inutili, cose utili, qual è la differenza? Cose che in ogni caso non ci ricorderemo mai», dice il tema che viene letto all’inizio della prima stagione.
Non che si debba necessariamente condividere la posizione, ma è verosimile che un ragazzo di sedici anni lo abbia scritto. Quando io avevo sedici anni guardavamo Skins ed era la cosa più simile che ci fosse a una rappresentazione realistica dell’adolescenza. E Skins non era realistica. Ma mi ricordo vividamente delle loro feste e ho impresse nella mente le scene della gita in Russia; ci si sentiva tutti un po’ Effy Stonem, o Cook, o Cassie. Tornavo a casa da scuola e non vedevo l’ora di potermi mettere a guardare Skins. Non che stessi a interrogarmi sul senso che potesse avere una serie come quella, ma intuivo vagamente che la mia passione avesse a che fare con un sentimento profondo di immedesimazione e comprensione.
Con Skam siamo lì, con meno comportamenti estremi e uno sguardo più sensibile forse, ma tratta di quello che gli adolescenti vogliono vedere, per questo viene vista. A riprova che non servono grandi produzioni, non c’è bisogno di storie ingarbugliate come quella di Riverdale (per quanto riguarda le serie-fatte-male). Non è vero che con i giovani necessariamente il tono della narrazione dovrà abbassarsi o che le tematiche saranno edulcorate, rese più digeribili. Si diceva dello sguardo: non superficiale o sciocco, paternalistico, ma complice e attento.
A quattordici anni (forse) non si guardano le serie tv sperando di trovare particolare eleganza nell’indagine psicologica dei personaggi, ma è innegabile che qui ci sia, e anche molto di più di quanto non si veda in tante altre serie tv italiane che vanno in onda quotidianamente e che ancora non hanno mai parlato di islamofobia, spiritualità e religione, omosessualità, sieropositività. Perlomeno non lo hanno fatto con tale cognizione di causa, e non ci si riferisce necessariamente ad altre serie per adolescenti, il panorama è desolante anche allargando il focus fino a comprendere la quasi totalità delle produzioni tv nostrane. Non ricordo nemmeno di aver letto un libro che presentasse una narrazione così convincente dell’esperienza della giovinezza, ma l’ha fatto una serie tv per adolescenti di cui si dice che sia trash.
Skam non è trash e probabilmente è da rivedere anche questa etichetta che ultimamente viene appiccicata un po’ a tutto. Non è nemmeno leggera ed è per questo che, come dicevo sopra, definirla “teen drama” è svilente, perché passa il messaggio che sia qualcosa di adatto agli adolescenti e agli adolescenti soltanto, quando è invece perfettamente apprezzabile da ogni fascia d’età. Di più: se una serie tv “per adolescenti” è all’avanguardia nella normalizzazione delle relazioni omosessuali o nella rappresentazione del femminismo islamico, ben vengano i teen drama.
Chiudo il cerchio tornando a Il giovane Holden. Se l’avete letto, sapete di che parlo: Salinger ha inventato un linguaggio nuovo da mettere in bocca a Holden, un linguaggio antiaccademico, sovversivo, ironico, iconico perché ha fatto parlare un adolescente come gli adolescenti parlano, senza fronzoli e pudiche correzioni. Non si sta cercando di paragonare Skam a Salinger, non è il caso. Ma il linguaggio anche qui fa la sua parte in una narrazione che raramente ha dei punti deboli. Vedendo le puntate si ha l’impressione che agli attori siano state lasciate libertà che nessun altro si sarebbe permesso di concedere, in ambito italiano, impressione che il regista ha confermato dicendo di essere sempre stato un passo indietro, chiedendo improvvisazione e pareri agli attori stessi, che lo sanno già, come interpretare se stessi e i coetanei. Non siamo all’avanguardia in quasi nulla, in Italia, ma stavolta si parla di un prodotto di grande intelligenza, costruito bene perché basato su solide premesse: forse il discorso sui giovani deve rimanere appannaggio dei giovani, se gli adulti non sono in grado di parlarne.