Federica Nardiello
pubblicato 3 anni fa in Letteratura

“Il lupo della steppa” – H.H. e la molteplicità dell’Io

“Il lupo della steppa” – H.H. e la molteplicità dell’Io

Harry Haller era un genio della sofferenza e aveva coltivato, nel senso di certe frasi nietzscheane, una capacità di soffrire illimitata, geniale, spaventevole. Compresi pure che il suo pessimismo non era fondato sul disprezzo del mondo, ma sul disprezzo di sé, poiché, pur parlando senza riguardi e spietatamente di istituzioni o persone, non escludeva mai sé stesso (Herman Hesse, Il lupo della steppa, Mondadori, traduzione di Ervino Pocar).

È dunque questo il cosiddetto “lupo della steppa”: un uomo di mezza età, estremamente colto, che prima di abbandonare la solitaria stanza in cui alloggia, lascia un manoscritto con le sue memorie. Harry è preda di una sofferenza quotidiana, una lotta psicologica fondata sulla dualità dei principi uomo/lupo, due esseri che sente dentro di sé. Tale è il suo dolore che è ormai consapevole che avrà fine soltanto con la morte.

Il lupo della steppa di Hesse è quindi il Bildungsroman di un uomo (le cui iniziali sono kafkianamente le stesse dell’autore – Kafka chiamò infatti K. i protagonisti del Processo e del Castello) che tenta di staccarsi dal mondo e dalle sue convenzioni, non essendo in grado di integrarsi, fino ad approdare alla conoscenza di sé: non necessariamente il risultato della distinzione tra bene e male, borghesia e proletariato, uomo e lupo; bensì l’insieme di molteplici Io e la loro accettazione.

Perché nonostante Harry dentro di sé senta insieme l’uomo – dotato di cultura, sentimenti, norme comportamentali – e il lupo – dunque una serie di istinti selvaggi, crudeltà e una non sublimata natura rozza – sa anche di essere troppo “complesso” per ridursi a un’immagine di sé così polarizzata: «[il lupo] crede, come Faust, che due anime siano troppe per un solo petto e pensa che lo debbano dilaniare. Sono invece troppo poche e Harry fa violenza alla sua povera anima quando cerca di comprenderla in un’immagine così primitiva […] Come corpo ogni uomo è uno, come anima mai».

L’Io e la personalità sono concetti molto cari a Hesse, fortemente influenzato dalla psicoanalisi: ricoverato a causa di una profonda depressione, sosterrà che essa non è altro che una conferma di quanto i poeti «avevano saputo sempre». Per questo autore il tema dell’antimilitarismo e l’approccio psicoanalitico all’esistenza sono talmente presenti che determinano all’interno della sua produzione due periodi, con il 1915 a fare da spartiacque: la sua piena adesione alle teorie psicoanalitiche è evidente nel Demian (1919), al quale seguirà il risveglio spirituale di Siddharta (1922), per raggiungere l’acme proprio col Lupo della steppa (1927).

Hesse abbandona il realismo borghese per addentrarsi in un romanzo al cui centro è posto il vagabondaggio spirituale alla ricerca di sé: per quanto Harry Haller sembri un uomo spacciato e tristemente finito, la cui unica soluzione è il suicidio, in realtà il cammino che lo porterà alla fine del racconto è un percorso terapeutico di salvezza. Sarà lo stesso autore, in una nota finale a sostenere che «la storia del Lupo della steppa rappresenta, sì, una malattia e una crisi, ma non verso la morte, non un tramonto, bensì il contrario: una guarigione». Harry è tuttavia un outsider che vive ai margini della società borghese, aspramente criticata soprattutto perché ritenuta responsabile della crisi del mondo moderno e del suo equilibrio. Il contesto che si delinea è infatti quello dell’Europa tra le due guerre. Il libro viene pubblicato nel 1927, un periodo storico fragile, durante cui prosperano i regimi totalitari che porteranno al secondo conflitto mondiale. Harry – alter ego dell’autore – ne è un precursore: «due terzi dei miei concittadini leggono questa razza di giornali, vengono lavorati ogni giorno, esortati, aizzati, e la fine di tutto ciò sarà di nuovo la guerra futura che sarà probabilmente più orrenda di quella passata…».

Ciò che viene criticato è proprio il leale e conforme rispetto delle istituzioni da parte dell’uomo borghese, in un meccanismo basato sulla superficialità e sul denaro. Il borghese è facile da governare; «ha sostituito al potere la maggioranza, alla violenza la legge, alla responsabilità la votazione»; è immagine dei limitanti convenevoli sociali quali l’impiego, il rispetto di un orario, l’obbedienza di una norma. La borghesia sembra essere una condizione immanente all’umanità e non è altro che il tentativo di vivere nel giusto mezzo, ma «rinunciando a quell’intensità di vita e di sentimento che offre una vita rivolta all’assoluto». Quella del borghese è una vita verso il nulla spirituale, l’attecchire del capitalismo e la morte dell’Io: Harry e la sua infelicità derivano dall’incapacità di inserirsi in un mondo che rifiuta e di cui comunque fa parte. Nelle sue memorie scriverà: «Oh, è difficile trovare la traccia divina in mezzo alla vita che facciamo, in questo tempo così soddisfatto, così borghese, così privo di spirito, alla vista di queste architetture, di questi negozi, di questa politica, di questi uomini! Come potrei non essere un lupo della steppa, un sordido anacoreta in un mondo del quale non condivido alcuna meta, delle cui gioie non vi è alcuna che mi arrida?».

Tuttavia, lo stesso Harry non è esule dal costume borghese: nella “Dissertazione – Soltanto per pazzi” (opuscolo di invito al “teatro magico” che gli consegna un uomo mentre passeggia in un vicolo), in una sorta di libro del libro, il protagonista scoprirà la più pura verità su sé stesso.

Non solo, dunque, l’eterna lotta interiore tra uomo, lupo e «il [numeroso altro] fascio di ii» che lo compongono, ma anche il suo rapporto con la borghesia; e benché si senta superiore, diverso, uno spostato, «una segreta nostalgia lo spingeva continuamente verso il piccolo mondo borghese, verso le case tranquille e decenti coi giardinetti ben curati», perché prova il desiderio di «sentirsi originale o geniale, al di là della borghesia, ma abitava e viveva, per così dire, soltanto in quelle province della vita dove ci fosse uno spirito borghese». L’amarezza nauseabonda della vita, l’inettitudine e la volontà di non farsi trascinare da tale meccanismo, porteranno Harry ad avere conforto soltanto nell’idea del suicidio, in un esilio fatto di solitudine, vissuto fino allo stremo.

Scelta che lo condurrà invece al di fuori della sua solitudine, da Erminia, che aprirà uno spiraglio nella sua vita. Come personaggio, la donna sembra incarnare la parte femminile dell’autore stesso (si vedano il nome Erminia/Hermann e la riconferma dell’accettazione di una moltitudine di personalità), impersonando la parte “leggera” – e non superficiale – di Harry, in grado di risollevare il suo animo e di spingerlo a ricercare la bellezza nelle cose semplici. Harry la definirà «una sorella in grado di comprender[lo]». Non a caso, Erminia gli insegnerà a ballare, per decostruire la figura del signor Haller quale misantropo e sentimentalista e riuscire a formarne una a suo agio anche nel frivolo mondo dei balli in maschera. Un legame necessario a entrambi, non singoli individui, ma due parti della stessa unità:

Oggi ti dirò una cosa […] Ti dirò quel che so di me e di te e della nostra sorte. Tu, Harry, sei stato […] un uomo pieno di gioia e di fede, sempre in traccia delle cose grandi ed eterne, mai contento di quelle piccole e graziose. […] E poi ti accorgesti a poco a poco che il mondo non chiedeva affatto gesta e sacrifici e cose simili, che la vita non è un poema sublime con personaggi eroici, bensì una buona stanza borghese dove ci si accontenta di mangiare, bere, di prendere il caffè e di far la calza, di giocare a tarocchi e di ascoltare la radio. E chi pretende quelle altre cose, le cose belle ed eroiche, il rispetto dei grandi poeti o la venerazione dei santi è uno sciocco, un Don Chisciotte. Bene: a me è capitato lo stesso, caro amico. […] Capisco fin troppo il tuo orrore della politica, la tua tristezza per le ciarle e i maneggi dei partiti senza responsabilità, della stampa, la tua disperazione per la guerra, quella passata e quelle che verranno, per il modo che si ha oggi di pensare, di leggere, […], di diffondere cultura! Hai ragione tu, lupo della steppa; mille volte ragione, eppure devi perire. […] Chi vuol vivere oggi e godere la vita non deve essere come te o come me.

Erminia salverà Harry dal suicidio anche grazie a Maria, che diventerà la sua amante, e all’amicizia di Pablo, un giovane saxofonista jazz. Tuttavia, sarà nel “teatro magico” che Harry vivrà a fondo le sue possibili, molteplici vite: in una sorta di sogno psichedelico, attraverserà diverse porte e barriere spazio-temporali che lo porteranno oltre ogni distinzione tra sogno e realtà, per poi ricongiungersi col suo Io e accettarlo una volta per tutte. Harry comprenderà che la riflessione e l’umorismo sono alla base della vita e che possedere più anime non significa essere malati o schizofrenici: al contrario, saper scindere sé stessi significa ricomporsi a proprio piacimento, in una varietà infinita di personalità possibili. E infine che se dentro di noi c’è un lupo addomesticato dalla società, un sognatore amico di Mozart o un ballerino di foxtrot, questo non è di certo un motivo per prendersi troppo sul serio.