Culturificio
pubblicato 3 anni fa in Bacchette corsare

In esilio sui monti e per le campagne: “La montagna dell’anima” di Gao Xingjian

In esilio sui monti e per le campagne: “La montagna dell’anima” di Gao Xingjian

Soffia un venticello fresco, non sudo più. Nel cielo grigio non ci sono stelle e le sagome degli alberi nel bosco sono indistinte. Sotto i tetti di tegole nere la gente dorme ancora profondamente. Non avrei mai immaginato di poter passare una serata così felice in un villaggio di montagna di una decina di famiglie, e l’aria fresca fa svanire il disappunto per l’interruzione del divertimento. La vita trascende il linguaggio.

Gao Xingjian è nato nel 1940 a Ganzhou, nella provincia dello Jiangxi. Suo padre era un funzionario di banca, mentre la madre un’attrice di teatro; grazie alla sua influenza Gao si avvicinò alle arti, dimostrando fin da piccolo un interesse per la recitazione, la scrittura e la pittura. Dopo il diploma si iscrisse alla Beiwai (BFSU Beijing Foreign Studies University) per studiare la lingua e a cultura francese.

Presto arrivarono gli anni della Rivoluzione Culturale, che vide il peculiare movimento shang shan xia xiang yundong 上山下乡运动 (letteralmente: su sui monti e giù nelle campagne). Molti giovani istruiti furono mandati nelle aree rurali per attività agricole o di manovalanza, così da distaccarsi dai propri privilegi e sviluppare una maggiore coscienza di classe. Questa fase coinvolse milioni di giovani cinesi, tra cui l’attuale presidente Xi Jinping.

Dopo cinque anni, Gao tornò a Pechino, dove iniziò a collaborare con alcune riviste e con il Teatro del Popolo. All’inizio degli anni Ottanta si distinse per lo sperimentalismo e il carattere avanguardista della sua produzione di drammaturgo, attirando il plauso di molti letterati, ma anche le critiche del governo e degli scrittori allineati. Alla posizione scomoda nel panorama culturale si aggiunse la diagnosi di cancro al polmone, in seguito alla quale Gao intraprese un viaggio di dieci mesi attraverso le province della Cina del sud. Fu una sorta di esilio autoimposto in terra cinese. Tenete a mente questa esperienza, perché ci torneremo presto. Prima però terminiamo brevemente il nostro abbozzo biografico: nel 1987 l’autore partì per il proprio esilio definitivo, inizialmente volontario e poi ufficializzato dalle autorità cinesi.

Gao è diventato cittadino francese. Ha portato avanti l’attività di drammaturgo e nel 1992 è stato nominato Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres. Nel 2000 ha vinto il premio Nobel, diventando la prima persona di origini cinesi a ricevere questo titolo. Uso questa perifrasi perché la cittadinanza francese e l’ostracismo da parte di Pechino hanno impedito il suo riconoscimento come primo scrittore premio Nobel cinese (che è stato Mo Yan, dodici anni dopo). Una curiosità: Gao Xingjian è anche regista, scultore e pittore, talvolta autore delle copertine dei propri testi.

I dieci mesi di viaggio in seguito alla diagnosi di tumore sono alla base del romanzo La montagna dell’anima (Lingshan), pubblicato nel 1990 a Taiwan (traduzione italiana di Mirella Fratamico, Bur 2002). Si tratta di un’opera monumentale, un’odissea dell’autore attraverso le campagne cinesi, lungo il corso dello Yangtze (da noi noto con il nome di Fiume Azzurro), ancora oggi punteggiato di zone spiccatamente rurali.

Come facciamo spesso in questa rubrica, concediamoci una digressione: le prime città cinesi industrializzate sono state quelle dell’area costiera, in particolare Shanghai e Guangzhou (la sfavillante Canton), l’ex-colonia inglese Hong Kong e ovviamente Pechino, oggi centro politico della RPC. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila il governo ha implementato la politica dell’“andare a Ovest” (Xibu dakaifa西部大开发), per velocizzare lo sviluppo delle aree interne. È stata costruita una fitta rete ferroviaria e sono state intraprese iniziative economiche per aumentare il pil di queste zone.

Oggi il Sudovest della Cina ospita alcuni centri urbani e produttivi notevoli, lanciati a tutta velocità verso il futuro. Basta pensare a Chongqing, prefettura autonoma che, tra città e hinterland, costituisce il più popoloso agglomerato urbano del mondo. O a Chengdu, capitale del Sichuan e bellissima metropoli che unisce alla modernità un ricco patrimonio storico e culturale. Proprio nel montuoso Sichuan inizia il viaggio del protagonista del romanzo, che attraversa poi le province di Guizhou e Yunnan. Nonostante le grandi città, queste regioni sono tuttora straordinariamente affascinanti. Fino a pochi decenni fa, rappresentavano pienamente «la periferia indomita ed eversiva rispetto alla centralità del potere burocratico (Pechino) o alla sedicente avanguardia rivoluzionaria (Shanghai)», come scrive Alessandra Lavagnino nella prefazione a La montagna dell’anima.

Oggi questa Cina è sempre più piccola, più accessibile, più turistica, minacciata dalla gentrificazione che incombe ovunque. Però a suo modo resiste. Mi consola pensare che l’urbanizzazione delle zone del sud non abbia ancora del tutto cancellato le risaie, i mercati tradizionali, le strade impervie sulle montagne. Come quella in cui, nella prefettura di Aba (amministrata dal Sichuan ma di popolazione tibetana), si bloccò l’autobus su cui viaggiavo. Ma questa è un’altra storia.

Come avrete capito dalla caratura dell’autore, Lingshan non è una guida turistica della Cina del Sud. È il racconto di un viaggio soprattutto interiore.  Il pellegrinaggio del protagonista verso la Montagna dell’Anima è un’anticipazione della condizione di esilio che segnerà la vita dell’autore. Già oggetto di critiche sul piano stilistico e politico, in questo lunghissimo monologo Gao descrive la propria condizione di isolamento, dando voce a temi centrali anche nella sua produzione successiva (che include un altro eccelso romanzo, Il libro di un uomo solo, pubblicato nel 1999).

Solitudine e incomunicabilità sono infatti tra le principali problematiche dell’uomo moderno, preponderanti nell’esperienza degli intellettuali emigrati. In questa dimensione, la letteratura si rivela l’unico mezzo attraverso cui è possibile riaffermare sé stessi, cercare una soddisfazione, liberarsi dalle pressioni delle circostanze esterne.

Per questa ragione Gao sostiene l’indipendenza della letteratura dalla politica. Crede che l’arte possa rappresentare una forma di salvezza spirituale dallo strangolamento dell’individuo da parte della società, condizione che trascende i confini, i valori politici, gli –ismi. La sua magistrale rappresentazione della solitudine, in Lingshan perfettamente esaltata dall’ambientazione del romanzo, è straordinariamente trasversale. La voce narrante ci trasporta in terre umide, affascinanti, povere, un po’ arretrate e a tratti crudeli, lontanissime nello spazio e ormai perdute nel tempo. Eppure, sono convinta che sia impossibile leggere questo testo senza empatizzare profondamente con il protagonista e con il flusso dei suoi pensieri.

Spalanchi gli occhi, la luce ti acceca, non vedi nulla, continui ad avanzare a piccoli passi, il fastidioso trillo è un ricordo lontano, una nostalgia confusa come cristalli che rilucono, frantumati, svolazzano in aria effimeri, ti brillano sulla retina, ti sforzi di distinguere i colori dell’arcobaleno, ruoti, volteggi, arretri, hai perso il controllo, è sforzo vano, desiderio confuso, rifiuto di estinguerti, buco nero pece, orbite di un cranio profonde come un tunnel, non c’è nulla, melodia dissonante, scissione, esplosione!

di F. Ceccarelli