Culturificio
pubblicato 8 anni fa in Interviste

Intervista a Liberascienza

Intervista a Liberascienza

Aboliamo anzitutto le definizioni! Il progetto portato avanti dall’associazione culturale Liberascienza (qui il sito: http://www.liberascienza.it) non ha confini. Dalle loro intenzioni emerge la volontà di proporre la cultura nel suo senso più esteso, senza vincoli di settore: andando oltre la tradizione che scinde gli interessi culturali tra i poli umanistico e scientifico. Liberascienza infatti approccia il sapere in maniera trasversale, confidando nella solidarietà e nelle interconnessioni, che esistono, tra l’espressività artistica in tutte le sue forme e il sapere scientifico.
Siamo ad un anno dalla prima proiezione di “Dalla Terra alla Luna”, esperimento di narrazione scientifica che, muovendosi tra i luoghi della Basilicata, racconta degli uomini di cultura (da Pitagora a Rocco Petrone, ingegnere capo della missione Apollo II della NASA) che hanno portato la Basilicata appunto dalla Terra alla Luna. Il progetto è firmato dalla regista Vania Cauzillo, su soggetto e ricerche di Pierluigi Argoneto, Presidente di Liberascienza. Il 31 dicembre 2015 “Dalla Terra alla Luna” ha esordito sul canale nazionale di Rai Scuola e da allora sta circolando tra le Aule universitarie e quelle delle Scuole superiori sia lucane che extra-regionali. Non solo: il documentario continua a viaggiare attraverso una fitta rete d’iniziative di promozione culturale, raggiungendo porzioni di pubblico sempre più ampie.
Stefania, la protagonista del documentario, deve lasciare la sua Regione, per l’Università e accetta la scommessa di passare gli ultimi giorni in Basilicata, viaggiando in macchina tra i posti laddove la scienza è nata e dai quali poi si è diffusa. Guidata dallo stesso Pierluigi, Stefania apprende a Metaponto (MT) di Pitagora e dei numeri irrazionali di Ippaso; tra i castelli federiciani di Melfi e Lagopesole (PZ) conosce le teorie filosofico-naturaliste di Federico II di Svevia; nel suggestivo scenario offerto dall’Incompiuta di Venosa (PZ) approfondisce grazie alla sua guida la conoscenza di Orazio e del maestro Gesualdo, maestro dei madrigali e padre della moderna polifonia. Il viaggio si conclude, quasi in una moderna reinterpretazione dantesca, a riveder le stelle dalla sede dell’Agenzia Spaziale Italiana, a Matera.

Adobe Photoshop PDFPierluigi, “Dalla Terra alla Luna” è il titolo di un romanzo del 1865 di Jules Verne, da cui fu tratto nel 1902 anche il primo film di fantascienza, opera del francese Georges Méliès. In quale misura vi siete sentiti autori di un logos fantascientifico, parlando della Basilicata meno nota e apprezzata?
Per un certo periodo, e lungo, periodo nella letteratura la Luna ha sostituito ciò che secoli prima avveniva con le isole. Da Omero con Ulisse, sino a Swift con Gulliver, passando per Piggy de Il Signore delle Mosche, le isole sono sempre state luoghi nei quali si sono concentrati e acuiti aspetti della vita umana, scenari nei quali mettere in scena in modo distopico quanto si analizzava e vedeva della società del tempo. Di buono, certo, ma anche di negativo e repellente. Poi è stato il turno della luna. Dal visionario Luciano di Samostata, passando per Godwin, Ariosto e perfino Keplero, la Luna è diventata il luogo nel quale far confluire le aspettative e le paure della nostra società. Con Verne però la storia cambia: Verne non è interessato a spiegarci cosa potrebbe esserci lassù, ma a misurare la capacità, prima scientifica e poi tecnica e tecnologica dell’uomo, di raggiungerla. E ci riesce alla grande, riesce in base ai suoi calcoli geografici, astronomici, fisici quasi a predire il futuro: il luogo di partenza del razzo, che, appunto, sarebbe stato un razzo, le sue dimensioni, il tempo di percorrenza e via dicendo. E così, mentre in Italia, complice un certo substrato culturale, nello stesso periodo ci si confronta e trastulla con storie romantiche, religiose e a loro modo fantascientifiche, come quella ad esempio narrata da Manzoni ne “I Promessi Sposi”, nonostante sia la patria di Galileo e Leonardo, comincia a posizionarsi indietro rispetto a contesti culturali decisamente più avanzati.
Con la narrazione del documentario ci siamo sentiti autori di un logos fantascientifico nella stessa misura in cui possa essere fantascientifico abbandonare i luoghi comuni, anche narrativi, a cui si è abituati (la natura, le tradizioni, il mangiar buono, etc. etc.) per avventurarsi a raccontare gli stessi e identici luoghi con l’occhio della storia della scienza. Esperimento sicuramente riuscito, il risultato RAI parla chiaro, ma ancora oggi non metabolizzato da moltissimi nostri conterranei, soprattutto coloro paradossalmente deputati alla progettazione e programmazione culturale.
Vania: sul piano della narrazione, il vostro lavoro si segue benissimo. Credo siano efficacissime le rappresentazioni che, a volte, hanno valore riassuntivo e permettono di seguire meglio l’itinerario sulla carta. Questo corrisponde a una finalità divulgativa e paideutica che sta alla base della narrazione?
Il processo di costruzione di un documentario mi entusiasma sempre, è affascinante perché si possono continuamente sovvertire e sperimentare le regole della narrazione. In questo caso specifico noi siamo partiti da una ricerca lunghissima, Pierluigi aveva raccolto informazioni, documenti, citazioni… un lavoro enorme! Come trasformare tutto questo in una narrazione visiva per me è stata la vera sfida.
Da subito ho pensato che per orientare lo spettatore questo strano viaggio avevamo bisogno di un mappa visiva, un luogo dove appuntare e rielaborare tutti gli stimoli, i salti pindarici, i volti, i nomi, tutte quelle tantissime informazioni che volevamo trasferire con il documentario. Ovviamente il tutto con – assolutamente – una finalità divulgativa sì, ma anche di piacevolezza dell’attraversamento dei luoghi e dell’attraversamento e l’avanzare dei saperi.
Il lavoro di concertazione fatto a tre teste (e una mano, quella dell’illustratore Gianluca Lagrotta) è stato fondamentale. Nel decidere cosa rappresentare nelle illustrazioni abbiamo dovuto trovare sempre una sintesi tra una “spiegazione-facilitazione” del racconto e una esigenza visiva per dare una forma-immagine a concetti o volti. Abbiamo infine aggiunto una funzione più squisitamente drammaturgica, gli appunti visivi in video portano dentro altri pensieri o considerazioni della protagonista che non sono sul piano del reale. Insomma volevamo fosse chiaro quello che avevamo in testa, come diceva Camus: “Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe!”
Pierluigi, il vostro progetto ha un’importanza fondamentale, nel porre le basi per una nuova forma di turismo, quello culturale e scientifico. Tuttavia pochissimi giorni fa è emerso un filone di indagini che, a partire dallo stabilimento estrattivo di Tempa Rossa, nella Valle del Sauro, in Basilicata appunto, pare aver scoperchiato anche la possibilità di disastri ambientali nella zona. Quanto, invece, avere cultura, nel senso primo di avere cura, può essere una risorsa, una forma di tutela per un territorio?
La questione petrolio in Basilicata è questione altamente sensibile: ci sono sicuramente molti aspetti importanti da tenere presenti: la salute dei cittadini, l’ambiente, la crescita, con lo sguardo disincantato di chi comunque è consapevole di vivere in un mondo e in una società profondamente energivora. La cultura può sicuramente fornire degli strumenti per meglio leggere la realtà e, di conseguenza, essere più consapevoli e responsabili per le scelte da effettuare, non basandosi sull’istinto o sul sentito dire, atteggiamento sempre pericoloso poiché strumentalizzabile. Tuttavia va detto che gli investimenti in cultura, perché siano efficaci, devono avere una buona base di programmazione, poi di attuazione e di verifica e validazione dei risultati. Inoltre, la ricaduta la si ottiene a medio-lungo termine, sicuramente con tempi molto più lunghi di quelli scanditi dalle varie tornate elettorali, motivo per cui continua ad essere il settore con una grandissima aspettativa, ma uno scarsissimo impatto sociale. Da un lato la politica dovrebbe quindi “creare” un humus fertile per attività culturale, sostenendo le iniziative meritevoli e non facendo contentini a pioggia, dall’altra gli operatori culturali dovrebbe smetterla una volta per tutta di fare i questuanti con il cappello in mano, al gioco del cacicco di turno, e puntare sulla professionalità e la qualità delle iniziative.

Vania, raccontaci un po’ di Stefania. Lei è come me e tantissimi altri ragazzi lucani, che per ragioni di studio ha deciso di abbandonare la propria Regione. Il vostro progetto mira anche a noi, che cerchiamo altrove?
Quello che volevamo fare era cambiare lo sguardo sulla nostra regione e innovare e innestare dei linguaggi che poco o per niente dialogano. Il gancio emotivo con una ragazza di quell’età serve certamente alla vostra generazione ma anche a quella successiva o quella precedente. Quello dei 18 anni è un momento in cui si fanno scelte importanti e per i lucani sembra quasi una tappa obbligata dover partire e probabilmente lo è davvero! Una volta una ragazza in una scuola, finita la proiezione, ci ha detto: “Ok, bellissimo ma non mi avete convito a restare! ”. Noi non volevamo di certo convincere nessuno: conoscere, fare esperienze, e viaggiare sono tappe obbligatorie per la crescita ma non solo per i ragazzi lucani! La nostra riposta a quella ragazza è stata una domanda “Ok, certo: ma d’ora in poi quando racconterai il luogo dove sei cresciuta, potrai raccontare qualcosa di più interessante o di cui andare molto ma molto più orgogliosa?”
La risposta è stata ovviamente sì.

“Dalla Terra alla Luna” potrebbe essere un nuovo strumento educativo. Pierluigi: avete riscontrato, nei vostri viaggi tra le scuole, l’esigenza di adattare il sapere a nuove formule comunicative?
Assolutamente sì. L’approccio trasversale al sapere, di tradizione europea e a ben pensarci italiana almeno fino al rinascimento, prima della odierna specializzazione spinta, suscita grande interesse. Non si tratta solo di “fare collegamenti”, come se fosse una tesina da scuola superiore, quanto andare alla scoperta dei comuni e condivisi interrogativi che spingono l’uomo ad approfondire la natura e il mondo che lo circonda, compreso se stesso. Il cosiddetto pensiero laterale, è una realtà. Una realtà che non si vuole sostituire alla sacrosanta specializzazione del sapere, che tanto benessere ha portato alla nostra società, pensiamo ad esempio alla medicina, ma che ridefinisce, allargandoli, i confini del sapere, posizionando nuovamente l’uomo al centro della conoscenza. Emerge anche, e questo è un dato, in alcuni casi la volontà, soprattutto da parte dei docenti e dei ricercatori, di migliorare la loro capacità comunicativa, in altri casi abbiamo riscontrato però una certa indolenza: mettersi in gioco comporta sempre rischi e non tutti sono disposti a correrne. C’è ancora molta strada da fare.

Dopo i bei risultati raggiunti, credete di collaborare ancora? Se potete svelarci qualcosa, ovviamente.
Beh, squadra che vince non si cambia! Ma la nostra è una squadra allargata, fatta da tutte le persone che hanno fondato Liberascienza e tutte quelle che poi che negli anni si sono unite a noi sposando progetti e idee in cui ognuno di noi ha creduto. E non è una frase fatta. Dalla Terra alla Luna, per esempio, è stato possibile grazie a Giovanni Salvatore, il direttore della fotografia che ha trovato il modo di rendere così bello il documentario senza avere una luce artificiale di supporto, girando tutto con luce naturale. Lui ha semplicemente detto “ci sto” ed è entrato in squadra. E come lui tutta Liberascienza, una strana banda composta da storici dell’arte, fotografi, scrittori, geologi, ingegneri, letterati, fisici… e speriamo si allarghi ancora, anzi, cogliamo l’occasione per lanciare l’opportunità di collaborare con noi, abbiamo tantissimi progetti in testa, uno su tutti? Il primo Festival della Divulgazione d’Italia il prossimo autunno!

 

Intervista a cura di Marco Miglionico