Intervista agli Opa Cupa
Il Culturificio ringrazia gli Opa Cupa per questa piacevole intervista, sperando che all’interno del panorama culturale, musicale italiano, le idee meritevoli vengano sempre prese in considerazione.
Innanzitutto, per cominciare, una domanda che potrebbe sembrare banale, ma suscita in ogni caso la nostra curiosità. Qual è la storia dietro al vostro nome, Opa Cupa?
La prima formazione del progetto Opa Cupa vedeva la presenza di Adnan Hozic, cantante bosniaco appena arrivato in Italia. Ha scelto lui questo nome, Opa Cupa (si legge “Opa tzupa”) è il grido di esortazione alla danza degli zingari del Sud Est Europa, è un modo per darsi il tempo e stimolare il ritmo
Nel cuore pulsante della Puglia, il Salento, nasce un gruppo sperimentale, come si sviluppa questa scelta di straordinaria contaminazione interculturale?
Quanto sono importanti per la vostra esperienza musicale le origini salentine?
Le nostre origini sono ovviamente fondamentali, è proprio in Puglia che sono giunti i primi sbarchi nell’epoca negli anni ’90 in cui con la caduta dei regimi comunisti dell’est, sulle nostre coste arrivavano tanti extracomunicati.
Con loro ci siamo incontrati qui, ecco perché la nostra Terra è importante. E’ la Terra che ha accolto e accoglie queste persone con le quali ci confrontiamo. Loro insegnano tante cose a noi, noi a loro e i risultati sono quelli che si possono ascoltare nei nostri album. Un mix di culture, di periodi storici e modi differenti di suonare e interpretare la musica.
Definirla musica balcanica sembra un po’ riduttivo. Quali sono le influenze che avete subito e acquisito in giro per il mondo?
Effettivamente non facciamo solo balkan, il nostro sound è mix di tradizione bandistica del Sud Italia, rock e musica progressive. Gli Area e quelle sonorità rimangono certamente un nostro punto di rifermento.
Nel 2010 esce il vostro album “Centro di Permanenza Temporanea” che presenta fortissimi riferimenti al tema dell’immigrazione. Oggi questo argomento si presenta con forza nel panorama del dibattito internazionale. Come nasce la vostra idea di trattare attraverso la musica la questione?
La necessità di parlare dei CPT nasce appunto perché molti dei musicisti che poi hanno lavorato con noi, chi per poco tempo e chi per più anni, sono passati dai centri di permanenza temporanea. Senza che neanche fossero loro a raccontarcelo, sapevamo esattamente come si svolgeva la vita in questi luoghi e come è tuttora. Ora hanno cambiato il nome, li chiamano hotspot o con altri termini, ma comunque la situazione non cambia affatto. Lavorando con persone che hanno vissuto questo genere di frustrazione stando chiusi in questi posti, la prima e più naturale cosa che poteva accadere era quella di dedicare un intero album alla questione dei migranti. Questione che purtroppo è ancora molto contemporanea.
Quanto i movimenti dei popoli contribuiscono nell’alimentare ed originare forme d’arte originali e nuove?
I movimenti dei popoli, soprattutto quando si parla di arte, sono quanto di più interessante perché molti di noi per vari motivi non potrebbero andare in alcuni posti, avrebbero quindi difficoltà a scoprire certe musiche. Quindi quando queste persone arrivano nella “tua casa” è interessante confrontarsi e sviluppare forme d’arte nuove che si riferiscono alla vita quotidiana dei nostri giorni in questo momento storico.
Abbiamo avuto la fortuna di assistere ad un vostro concerto in maniera del tutto gratuita. Qual è la vostra posizione in merito al mercato dell’intrattenimento culturale, al prezzo pericolosamente crescente dei biglietti di mostre, concerti e festival cosiddetti “commerciali”?
A me piacerebbe che le mostre e i concerti fossero tutti gratuiti o con biglietti popolari, è un vero problema che la cultura non sia sempre alla portata di tutti. Anche per gli organizzatori di opere artistiche le spese sono sempre più gravose, vedi gli oneri Siae, ecc. Ma ahimè se i politici rubano, da qualche parte questi soldi dovranno pur prenderli…
Il 2015 è l’anno di “Baluardo”, un crogiolo di grandi influenze. Dal vostro punto di vista, in che cosa differisce dai lavori precedenti? In che modo vi ha arricchito musicalmente?
‘Baluardo’ si differenzia dagli altri dischi perché ha un po’ di cattiveria in più nel suo nascere. Si fa carico di alcuni problemi e frustrazione che abbiamo avuto nei rapporti con la classe politica, confrontandoci con il nostro lavoro cioè quello di organizzare eventi e fare musica. C’è quindi una forte rabbia per come viene trattata la cultura, per come vengono trattati gli artisti e nel caso specifico, per come siamo stati trattati noi in questo territorio pur avendo fatto tanto in questi anni. Ecco quindi che ‘Baluardo’ è la dedica a quei politici della nostra area che ci hanno particolarmente danneggiato, in maniera del tutto gratuita. E’ un disco più “cattivo” che dedichiamo a questi politici, perché anche quando ci fanno arrabbiare, il nostro modo di rispondere è quello di fare nuova musica, nuovi dischi e suonargliene quattro!