Culturificio
pubblicato 3 anni fa in Bacchette corsare

“La casa dell’oppio” di Su Tong

il vecchio mondo va in fumo

“La casa dell’oppio” di Su Tong

Questi sono i papaveri da oppio della mia famiglia, i papaveri di cui non si parla nei corsi di botanica, vengono dai campi di mio padre e rendono il tuo viso pallido, come un’apparizione in un incubo. Dai campi si alzava il loro aroma intenso e soffocante, Chancao ebbe l’impressione di trovarsi su un’isola sperduta da cui tutto si allontanava, restava solo quell’odore soffocante che ti penetrava nei polmoni. Chencao vide il suo esile corpo sollevarsi dall’isola. Aveva il viso pallido, afferrò le mani del padre. Papà, disse, sto volando.

La nostra piccola antologia a puntate di letteratura cinese contemporanea, dopo qualche deviazione su autori emigrati, torna a puntare le bacchette su uno scrittore molto amato in Cina e all’estero: Su Tong. Tong Zhonggui – questo il suo vero nome – nacque nel 1963 a Suzhou da una famiglia di estrazione modesta. Si trasferì a Pechino per studiare all’Università Normale, dove tuttora insegna scrittura creativa. È considerato un maestro del racconto, e molte delle sue opere sono disponibili in traduzione italiana.

Iniziò a pubblicare poesie e racconti su varie riviste letterarie degli anni Ottanta. Era un’epoca di acuto sperimentalismo, in cui fiorì la letteratura di avanguardia. I giovani autori desideravano liberarsi dai canoni istituzionalizzati del realismo socialista (ispirato a quello sovietico) scoprendo nuove forme ed esplorando nuovi temi. Oltre a Su Tong, tra gli scrittori più audaci e rappresentativi ricordiamo Ge Fei, Yu Hua, Sun Ganlu, Ma Yuan e Can Xue.

Il campo di sperimentazione più interessante era quello stilistico, con il tentativo di sganciarsi dalle forme irrigidite e impersonali del linguaggio politicizzato. Dopo decenni di slogan gli scrittori si lasciarono andare alla manipolazione della lingua, per ottenere effetti di straniamento ed esasperazione. Tale libertà creativa era naturalmente figlia del proprio contesto storico: il nuovo corso inaugurato da Deng Xiaoping dopo la morte di Mao aveva aperto la strada a una frenetica febbre culturale (wenhua re).

Il dibattito tra gli intellettuali infiammò per qualche anno tutti i settori dell’arte e del sapere, animando la Cina con vivacità simile a quella del Movimento del Quattro Maggio 1919 (qui il nostro articolo). L’entusiasmo di questa prima fase denghiana fu poi smorzato dal ritorno alla ribalta dei conservatori, che culminò negli eventi del 1989 e portò a una nuova irreggimentazione del contesto culturale.

Pubblicato sulla rivista «Shouhuo» nel 1988, La casa dell’oppio è un esempio eloquente della narrativa d’avanguardia (traduzione italiana di Rosa Lombardi, Orientalia Editrice, 2018). Il testo segue le vicende di una famiglia di proprietari terrieri attraverso la prima metà del Novecento, fino agli anni immediatamente successivi alla fondazione della Repubblica (1949). Le vicende hanno luogo in un villaggio immaginario, Fengyangshu, nel sud della Cina. È una zona di campagna, sospesa in uno stato di cose di natura feudale, straordinariamente lontana dalle rivoluzioni, dai moti culturali e dalle lotte intestine che segnarono la storia cinese di quel periodo. Gli abitanti di Fengyangshu sono come sotto anestesia, ancorati a un sistema di rapporti dominato da violenza, dispotismo e sete di potere.

Al centro di questo romanzo breve c’è la famiglia di Liu Laoxia, latifondista arricchitosi con la coltivazione del papavero da oppio. Ricordiamo che in seguito alle Guerre dell’Oppio il consumo di questa sostanza era cresciuto a dismisura, fino a rappresentare una sorta di epidemia.

Gli intellettuali avevano segnalato a più riprese come la società cinese patisse la diffusa dipendenza da oppio, che diventò una questione politica sorprendentemente centrale per le sorti del paese. Alcuni attribuivano a questa abitudine anche lo stato di subalternità nei confronti delle potenze straniere e dei Giapponesi. Lo stesso villaggio immaginario di Fengyangshu appare coperto da una coltre di fumo che alimenta l’indolenza dei suoi abitanti.

Liu Laoxia è un uomo prepotente e gretto, circondato da figure altrettanto spregevoli: il fratello Liu Laoxin è un libertino, il bracciante Chen Mao è un dongiovanni ignorante, il primo figlio Yanyi è un idiota violento. Attorno a loro si muovono vari personaggi minori, tra cui un rivoluzionario e un bandito, e le donne della famiglia. Il secondogenito Chencao è l’unico personaggio tridimensionale della storia, diviso tra il desiderio di affrancarsi dalla logica crudele e arretrata del villaggio e l’incapacità di opporsi al sistema.

L’immobilismo di Fengyangshu finisce per intrappolare Chencao che (attenzione: spoiler!), troppo fragile per ribellarsi, finirà per soccombere egli stesso al vizio dell’oppio. Possiamo dire, semplificando, che Chencao incarna la precarietà della sua epoca, sospesa fra il passato feudale e il futuro comunista. Già intontito e perduto, perirà infatti per mano del rivoluzionario Lu Fang.

Lo stile è pienamente rappresentativo dell’avanguardia: le vicende sono raccontate da una molteplicità di punti di vista. Su Tong spezzetta la storia dei Liu, la disseziona, la frantuma in tante schegge che colpiscono il lettore trasmettendogli tutto l’affanno e la drammaticità del periodo storico. Ne deriva una sovrapposizione di piani narrativi in cui le voci dei personaggi si intersecano e producono un effetto di straniamento. A tratti sembra di perdere il senso della storia, a immagine di un’epoca dominata dal caos.       

Ambientato nel passato è anche il più celebre dei romanzi di Su Tong, Mogli e concubine (1989). Meno avanguardistico de La casa dell’oppio, racconta i rapporti tra le donne di una casata feudale indugiando sull’analisi psicologica dei personaggi femminili. La narrazione fa emergere la meschinità che regola le dinamiche familiari, portando alla luce la tragicità del destino della protagonista e delle donne attorno a lei. Il clima opprimente e claustrofobico della corte interna (per antonomasia lo spazio destinato alle donne nel contesto confuciano) è molto ben rappresentato anche nella trasposizione cinematografica del testo, Lanterne Rosse (1991) di Zhang Yimou, che ha consacrato Su Tong a livello internazionale.

Laoxin, gli dissi, tu non coltivi cereali, con che fiori ti sei messo a trafficare? Non sono fiori, ma il migliore dei cereali, rispose Laoxin, se lo mangi non hai più voglia di altro cibo. Ma cos’è? Oppio. Da quei fiori si ottiene l’oppio. Perché coltivi oppio? Per fumarlo, rispose lui. La gente di città non mangia cereali, ma oppio.

di F. Ceccarelli