La cattiva strada (Les Mal Partis)
di Sébastien Japrisot
Siamo a Marsiglia, in Francia, nel 1944: lo sfondo che si delinea è quello della seconda guerra mondiale, un conflitto che fa da scenario ad una storia d’amore tanto tormentata quanto irrealizzabile. Una passione proibita, erotica, così pura nella sua drammaticità che non riuscirà ad essere domata: la scrittura di Japrisot è leggera ma intensa, raffinata e pudica; le parole rispettano quell’ardore, quella fiamma interdetta che pur tuttavia non cessa di sprigionare calore.
Sébastien Japrisot, autore sconosciuto ai più e riscoperto grazie alla pubblicazione del suo primo romanzo edito da Adelphi, è stato un importate scrittore, sceneggiatore e regista francese: a soli 17 anni, nel 1948, scrive il suo romanzo d’esordio, Les Mal Partis, che nel solo nel 1966 riceve l’attenzione e lo sguardo del pubblico e degli intellettuali. È in quello stesso anno che riceve il Prix de l’Unanimité da parte di figure di spicco come Jean-Paul Sartre e Arthur Adamov.
Per scrivere questo romanzo è certo che Japrisot abbia preso ispirazione da un’opera di Raymond Radiguet, certamente più conosciuto dai poeti e dagli amanti della letteratura francese: Le diable au corps è un’opera altrettanto giovanile e precoce, che l’autore scrive a soli 19 anni. Ma cosa accomuna questi due romanzi? Entrambi ci propongono una storia d’amore impossibile, quest’impeto ardente che intercorre tra un adolescente ed una donna adulta, una relazione adultera e fortemente condannata dall’opinione pubblica. Il discrimine che differenzia i due scritti riguarda la riflessione che gli autori apportano all’interno dei due romanzi: mentre Radiguet incentra il proprio pensiero sulla guerra e sulla morte delle speranze adolescenziali e giovanili, Japrisot pone il centro nevralgico delle sue ponderazioni sui contrasti che presenta il sentimento amoroso. L’autore infatti ci presenta due binomi che lottano tra di loro, che collidono e che sono fortemente antitetici: etica-libertà e religione-amore libero. Questo avviene perché i protagonisti della storia sono eccezionalmente singolari: Denis, un ragazzo di 14 anni, indisciplinato, scapestrato, che viene educato in una scuola gesuitica e a cui viene impedito di accedere alla cultura mondana perché considerata come “peccato”, e Claudette, una ragazza di 26 anni che è stata costretta a diventare suora e che, rassegnatamente, ha accettato il proprio destino e la propria condizione. I protagonisti, oltre a condividere l’irrefrenabile eros che li travolge, hanno un’altra cosa in comune: entrambi vivono in una condizione di prigionia, in una situazione così cogente da diventare frustrante ed insofferente. Claudette è diventata suora contro la propria volontà, per realizzare il desiderio della sua famiglia, e Denis è costretto a fare propria un’educazione religiosa che non lascia spazio alla sua sensibilità e alla sua voglia di conoscere il mondo attraverso, ad esempio, letture che trattano argomenti scabrosi come il sesso e l’amore carnale.
Il nucleo dell’opera si incentra sulla storia d’amore che nasce tra i due protagonisti: un amore illecito sia per Dio che per la legge, ma talmente forte e risoluto da lottare fino all’ultimo momento. Ma perché parliamo di etica-libertà e religione-amore libero? Perché Japrisot ci pone davanti ad una passione che verrebbe considerata erronea, nociva, deleteria per entrambi i protagonisti: è una storia che ci presenta una suora che s’innamora di un ragazzo di 14 anni, che infrange i voti ed abbandona il velo, che non è totalmente libera di amare e di vivere; si tratta di un amore che non verrebbe considerato giusto da nessuno, perché contro la morale comune. Tuttavia la parola chiave del romanzo è proprio libertà: entrambi gli amanti vogliono essere liberi di amare, di poter possedere quella libertà del sentimento che tanto bramano e che viene loro impedita. Leggendo quest’opera si prova compassione, pena, tristezza per Claudette e Denis che vengono strappati l’uno all’altro, sradicati dalla loro intimità: Japrisot ci fa immergere nella psicologia di questi personaggi, le loro emozioni e i loro sentimenti ci travolgono e ci rendono partecipi della sofferenza che si annida nell’impossibilità di realizzare quel desiderio d’amore. Proprio perché l’autore ci presenta entrambi i punti di vista, il lettore può scindersi e vivere in duplice maniera quel che accade: percepisce e sente sulla propria pelle il tormento, il supplizio, la passione dei due amanti condannati da un destino a loro contrario. La traduzione italiana del titolo, La cattiva strada, sta proprio a significare questo: quest’amore è un sentiero impervio, dannato, la cattiva strada sia per Dio e che per gli uomini, che la condannano e la rifiutano.
La maestria e la delicatezza di Japrisot, nonostante tutto, sta proprio nel raccontare la libertà del sentimento d’amore senza introdurre giudizi o moralismi, senza far parte di coloro che provano repulsione nei confronti dei protagonisti e delle loro scelte. È come se lo scrittore fosse un fotografo, un pittore impressionista: coglie quegli attimi di passione, quell’amore che è nato e che si è consumato tra i due peculiari protagonisti, senza aggiungere né togliere nulla, ma semplicemente narrandolo per quello che è: struggente, intenso, palpabile.