“Malcolm & Marie”, una storia di dipendenze
Il film è splendido. Sono fiera di te. È stato un processo lungo e faticoso, ma ho una domanda. Credi che sarebbe venuto così bene se non fossimo stati insieme?
Da qui nasce la storia scritta e diretta da Sam Levinson, Malcolm & Marie (2021), il primo film americano girato durante la pandemia. I rigidi protocolli da seguire a causa del coronavirus e le conseguenti limitazioni hanno portato a un’opera che conta su un’unica location e due soli personaggi, interpretati da John David Washington e Zendaya.
Realizzato in soli sei mesi, compresi il montaggio e la vendita dei diritti di distribuzione a Netflix, Malcolm & Marie racconta una notte caratterizzata da un lungo litigio intervallato da momenti di passione.
I protagonisti sono appena rientrati a casa dopo l’anteprima del film diretto da Malcolm, che è entusiasta per i complimenti ricevuti e vorrebbe festeggiare. Marie invece appare visibilmente irritata perché il compagno si è dimenticato di lei nel discorso di ringraziamento.
Il problema però non sta soltanto nel non averla nominata, ma nel fatto che la storia che lui ha portato sullo schermo è anche ispirata alla vita della fidanzata, che si è sentita tagliata fuori, come se Malcolm le avesse rubato qualcosa, reinterpretandola e facendola diventare sua.
Non è invidia. È che non potrò più raccontare la mia storia. Non potrò articolare il fottuto caos che ho dentro perché l’hai fatto tu. L’avete già fatto tu e Taylor. So che non è una cosa solo mia. Lo so. So che è successa a entrambi. Ma tu hai saputo trasformare una cosa orrenda in una cosa bellissima. In qualcosa di buono. Qualcosa che commuove la gente. Mentre io non me la scollo di dosso. Vorrei solo aver condiviso questa cosa con te. E se devo essere brutalmente sincera, sì, sarei stata meglio di lei. Perché io ci sono passata. L’ho vissuta.
Più che sulla relazione tra due fidanzati, Levinson riflette sul rapporto tra l’artista e la sua opera. Quanto è debitore nei confronti delle persone che lo circondano? Soprattutto di quelle che gli sono state più vicine contribuendo a creare insieme a lui il prodotto finale tramite la loro presenza, le loro storie e il modo in cui hanno affrontato certi traumi?
Uno dei temi centrali del film è l’autenticità. Marie afferma che se fosse stata scelta lei per interpretare la protagonista sarebbe riuscita a offrire qualcosa in più. Malcolm invece rivendica il ruolo essenziale della propria creatività, attribuendo più importanza alla capacità di mettere in scena la storia piuttosto che alla narrazione in sé.
Si tratta soltanto di una delle tante occasioni in cui il personaggio di John David Washington incarna, a volte calcando troppo la mano, il narcisismo di un artista così concentrato su sé stesso e sulla voglia di dar vita a qualcosa di suo da dimenticare il valore di chi gli è stato accanto e soprattutto lo ha ispirato. Un egocentrismo che si riflette nel rapporto di coppia.
Il protagonista continua a reclamare la centralità della sua prospettiva anche quando in piena notte legge la prima recensione sul suo film. A questo punto la sua rabbia viene rivolta alla critica che cerca a tutti i costi un messaggio politico soltanto perché lui è un regista nero.
Malcolm vorrebbe che gli spettatori si concentrassero sulle emozioni suscitate dalla sua arte, invece che trovare ulteriori significati. Come suggerisce Marie, però, qualsiasi rappresentazione finisce per trasmettere inevitabilmente un messaggio, senza che questo implichi la pretesa di dare delle risposte. Allo stesso modo ogni spettatore può cogliere qualcosa che a volte è diverso da ciò che pensava lo stesso autore. Ed è proprio questa la bellezza e l’unicità dell’arte, che non appartiene soltanto al suo creatore ma anche al pubblico.
Altro tema caro a Levinson, già affrontato nella serie tv Euphoria (2019) sempre attraverso un personaggio interpretato da Zendaya, è quello della dipendenza.
In Malcolm & Marie però non riguarda soltanto la droga e il passato di Marie, raccontato nel film di Malcolm, ma il loro legame emotivo. Il protagonista rinfaccia alla compagna l’aiuto che le ha dato a disintossicarsi, dicendole che non è abbastanza forte da crearsi una vita propria. Non si rende conto che pure lui dipende da lei, dal supporto che gli offre nel lavoro e che dà per scontato.
Durante il litigio emergono rimpianti e frustrazioni che si trasformano in un’arma fatta di accuse per ferire l’altro. Anche Marie sa dove colpire Malcolm per fargli più male, ma il suo sguardo, in fin dei conti da innamorata, rischia di risultare dopotutto troppo indulgente.
Il fatto che la coppia sia formata da un regista e un’attrice contribuisce a ricordare Storia di un matrimonio (Marriage Story, 2019) di Noah Baumbach. In quel caso però si parlava di una storia d’amore a partire da un divorzio e le parole venivano fuori in maniera spontanea. In Malcolm & Marie invece Levinson utilizza una relazione amorosa per interrogarsi sull’arte.
Tutto è costruito con attenzione, forse anche troppa, facendo perdere quel senso di naturalezza. Il risultato è un film di natura essenzialmente metacinematografica, in cui il punto di vista Malcolm, che molti ritengono un riflesso del regista stesso, viene controbilanciato da Marie.
In realtà quest’ultima condivide con Levinson un passato segnato dalla tossicodipendenza, e benché il suo personaggio sembri più legato alle emozioni è quello in grado di guardare le cose dall’esterno. Tra i due è lei che ha una prospettiva meno egocentrica, quasi rappresentasse una versione più matura del regista.
Lui invece si comporta in maniera detestabile, a volte ridicola, dando libero sfogo all’atteggiamento infantile di un uomo, soprattutto all’inizio della carriera, incapace di accettare interferenze alla sua visione dell’arte e delle sue opere.
Lo spunto per la sceneggiatura di Malcolm & Marie peraltro è nato da una lite tra il regista e la moglie davvero avvenuta qualche anno fa per un mancato ringraziamento durante la première di un film. È più probabile quindi che il punto di vista di Sam Levinson sia presente in entrambi i personaggi: Malcolm & Marie potrebbe essere un dialogo con sé stesso, con le sue paranoie ma anche autocritiche, sulle quali ha riflettuto negli ultimi anni.
Considerate le condizioni in cui è stato girato, con una troupe notevolmente ridotta e tutto concentrato sulla performance dei due attori e una lussuosa villa, il film risulta quasi per forza di cose verboso. Tutto gira attorno al rapporto tra i protagonisti e alle loro riflessioni, non accade nulla. Si tratta di una tipologia di racconto che può piacere o meno, ma sicuramente permette di affrontare argomenti stimolanti che fanno riflettere su cosa significa creare un’opera d’arte.
Il problema del film di Levinson sta più nel fatto che la lite e la passione si alternano senza soluzione di continuità e alla fine della storia non si comprende se un cambiamento sia davvero avvenuto.
Lo spettatore percepisce una strana distanza: a volte quando Malcolm e Marie sono dentro casa la macchina da presa è collocata all’esterno, come se li stessimo spiando. O al contrario, in altri momenti il punto di vista è interno e si osservano i personaggi che si muovono fuori dall’abitazione, lontani.
La villa quasi interamente in vetro permette questo gioco di sguardi, rappresentando un luogo che manca di calore, fatto di linee geometriche che accrescono il senso di freddezza.
Questa prospettiva riguarda sia lo spettatore che, in parte, il rapporto tra i due protagonisti. Dopo la lunga litigata in una delle scene finali finiscono per osservarsi attraverso lo specchio, a sottolineare la presenza di un filtro tra di loro.
Malcolm & Marie è un film ambizioso che può contare sull’interpretazione di Zendaya, una delle attrici più talentuose della sua generazione, capace di calibrare l’altalena di emozioni che caratterizza tutta la pellicola, dai momenti di ira a quelli più intimi.
La cura nella composizione delle immagini, in bianco e in nero, e nella scelta delle canzoni della colonna sonora, tipica di Levinson, non bastano a realizzare un prodotto che soddisfi a pieno le aspettative, ma resta comunque un esperimento interessante in grado di far discutere.
La storia è un avvicendarsi di frustrazione che diventa eccitazione, e viceversa, senza che ci sia una vera evoluzione. L’ultima parola però è quella di Marie.