Gianmarco Canestrari
pubblicato 7 anni fa in Letteratura

Mythos – Logos

alle origini della cultura greca

Mythos – Logos

Elemento costitutivo della cultura umana, al di la delle differenziazioni specifiche delle varie civiltà, è rappresentato dal patrimonio mitico. Il mito è quell’insieme organico, strutturato di racconti che stanno alla base di una determinata civiltà e che quindi la “fondano”, le danno consistenza ontologica. Il mito quindi non spiega la realtà ma la fonda, la garantisce, le conferisce senso culturale. È il discorso che getta le basi dell’esistenza. Ciò che però caratterizza il mondo mitico della civiltà greca rispetto alle altre culture è la dicotomia che ne sta alla base: quella tra mythos e logos, cioè tra il discorso che riguarda le fondazioni mitiche della realtà e il discorso “razionale”, scientifico e ordinato della realtà. μύθος designa infatti un discorso, un racconto pronunciato con autorità, e quindi “vero”. Il logos non necessariamente era vero, ma anzi aveva i caratteri quasi di un racconto persuasivo, incantatore. I Greci sono infatti un popolo che ha dato prova di una grande creatività, di una razionalità smisurata che ha saputo sviluppare anche nel discorso mitico, al quale conferivano il compito di illustrare i lati più affascinanti che la civiltà greca abbia potuto tramandarci: dalle teogonie e genesi degli dèi, all’analisi fondativa della realtà e della stessa civiltà, alle risposte ai grandi interrogativi umani che riguardano sofferenza, malattia, morte, senso dell’esistere. La mitologia greca è così importante che ha lasciato a noi posteri grandi spunti da cui sono state tratte le grandi opere d’arte che ammiriamo nei musei e nei siti di interesse storico e archeologico, i grandi classici che leggiamo e di cui sono ricche le nostre biblioteche per la grande influenza che hanno avuto sulla cultura, le usanze e i modi di dire che ancora oggi persistono. Col tempo però il termine mythologia e il corrispettivo verbo (mythologeuo), finirono per perdere la ricchezza e la vastità che il termine mito potesse contenere, per riguardare soltanto il discorso “non serio, non vero, privo di veridicità, senza fondamento di verità” che portò all’alba della civiltà moderna una svalutazione del discorso mitico la cui applicazione comparve solo nell’ambito magico – religioso. Tra le testimonianze più antiche riguardo al mito ricordiamo i poemi omerici e la Teogonia di Esiodo, i quali pongono enfasi ad un aspetto rilevante della civiltà greca: l’invocazione delle muse. Esse rappresentano l’ideale più alto che è la contemplazione delle verità eterne e immutabili, di cui i poeti cantano, “posseduti” dalla forza delle divinità, diventando entheos, ricolmi, pieni della divinità. Grazie alle muse l’uomo viene ricolmato di un grande dono che lo porta a “parlare con saggezza e verità” intorno alle cose sia divine che umane. Inoltre, essendo le muse figlie di Mnemosyne, consentono agli uomini di ricordare, rammemorare, rischiarire ciò che hanno appreso e che devono riattualizzare. Il racconto mitico è presente in quasi tutti i generi letterari greci con la funzione di arricchire, impreziosire, e fondare razionalmente ciò che si sta raccontando. Non a caso Esiodo riporta nella sua Teogonia temi come la creatio mundi, la nascita di dèi, eroi, genealogie, miti eziologici ma anche leggende ampiamente documentate (vedi i miti di Prometeo, Pandora) nella sua altra opera fondamentale, Le opere e i giorni. Dei miti più belli si trova traccia anche nelle opere dei poeti tragici, come Eschilo, Euripide, o dei lirici come Pindaro oppure su manufatti, vasi, brocche che ritraggono scene mitiche soprattutto legate al ciclo troiano. Per capire l’importanza dell’universo mitico nella mentalità e nella cultura greca è bene ricordare come si era soliti distinguere, sulla falsariga dei miti, l’età del mondo in diverse epoche o periodi: la prima riguardava l’ “età degli dèi”,comprendente i miti delle origini del mondo degli dèi e degli uomini; poi c’era l’epoca del sodalizio pacifico e idilliaco tra uomini e dèi; infine troviamo l’ “età eroica” di cui la più famosa e illustre testimonianza sono i racconti sulla guerra di Troia. Tale suddivisione, riguardante la ripartizione mitica e reale della storia del mondo, influenzò molti autori che la riprodussero nelle loro opere, come testimoniano Le opere e i giorni di Esiodo, che presentano le quattro età dell’uomo, riprese successivamente da Ovidio nelle sue Metamorfosi. Molti dei miti dell’antichità greca mostrano come tutto il loro impianto metodologico e narrativo sia attraversato da una grande ricerca di logica e razionalità: in altri termini i Greci cercavano attraverso le loro storie di dare un senso e una ragione scientifica al divenire e alla temperie di avvenimenti che accadevano quotidianamente. Ne è un esempio il celebre mito di Pandora, che contiene in se una grande ambiguità, che è poi il segno distintivo dell’essere umano: lei è la donna dispensatrice “di tutti i doni” (etimologicamente parlando) ma è allo stesso tempo il viatico mandato dagli dèi per diffondere il male e le disgrazie nel mondo (ne è simbolo il vaso). Dalla benevolenza degli dèi venne mandata Pandora sulla terra ma dalla curiosità della giovane (dono degli stessi dèi) venne la sciagura e il male tra gli uomini. Il mondo divenuto luogo inospitale e desolato, abbandonato perfino dalle divinità, non aveva via d’uscita se non Elpis, la speranza ,che rimase l’unico dono, tra le tante disgrazie, che rimase chiuso nel vaso. Ecco allora come l’antichità, tramite il mito dello scrigno di Pandora, cerca di dare una spiegazione razionale alla presenza del male nel mondo; fu la curiosità, l’astuzia, la superbia della giovane (figura dell’Umanità) , che portò il male sulla terra. Così Esiodo richiama quel gesto fatale:

Ma la donna di sua mano sollevò il grande coperchio dell’orcio e tutto disperse, procurando agli uomini sciagure luttuose. Sola lì rimase Speranza nella casa infrangibile, dentro, al di sotto del bordo dell’orcio, né se ne volò fuori; ché Pandora prima ricoprì la giara, per volere dell’egioco Zeus, adunatore dei nembi. E altri mali, infiniti, vanno errando fra gli uomini. (Esiodo, Le opere e i giorni)

La sapienza mitologica dei Greci permea anche l’ambito dei sentimenti e degli affetti umani: ne è uno splendido esempio il mito di Filemone e Bauci attraverso cui si è cercato di dare fondamento razionale a uno dei cardini dei sentimenti e “doveri” propri della civiltà greca, l’ospitalità. Attraverso una teofania gli dèi si avventurano sulla terra per provare la grandezza e il livello dei sentimenti umani, i quali però si erano corrotti e non rispecchiavano più la bontà di quelli divini. Così gli dèi decisero di unire gli uomini per la loro arroganza e inospitalità a cui scamparono però due innamorati i quali

uniti in casto matrimonio, vedevano passare i loro giorni belli, invecchiare insieme sopportando la povertà, resa più dolce e più leggera dal loro tenero legame. (Ovidio, Metamorfosi, Libro VIII)

La loro ospitalità fu premiata dagli dèi che vedevano in loro il rispecchiamento di sentimenti celesti che dovevano regnare anche sulla terra: infatti al momento della loro morte vennero risparmiati alla corruzione e al deperimento proprio degli esseri umani, e trasformati in una quercia e in un tiglio uniti per il tronco, a simbolo della loro unione duratura ed eterna. Infine possiamo dire che il mito attraversa anche il mondo e la riflessione sulla morte e la fugacità dell’esistenza umana: anche qui i Greci hanno voluto dare una risposta piena di senso e razionalità. Di fronte al divenire e all’imperituro, davanti ad un mistero così grande ed oscuro come la morte, l’antichità, come tutte le civiltà umane, ha cercato di rispondere con le sue “armi” più particolari: la religione e il mito. Ne è un bellissimo esempio il racconto di Orfeo ed Euridice che corona tutta la riflessione che l’antichità greca ha potuto lasciarci su temi simili. Ciò che ci insegna la storia del cantore innamorato della ninfa è che l’uomo per quanto si sforzi di voler capire e annientare un male così grande come è la morte delle persone care, non ci potrà mai riuscire data la sua natura flebile e imperitura. La morte è costitutiva dell’essenza degli uomini, è una compagna con cui deve convivere e combattere ogni giorno, ma senza riuscire a capire la sua “logica”. Ecco allora come i Greci spiegavano o cercavano di capire il mistero della morte dell’uomo, del perché un essere così forte, così astuto e così intelligente potesse e dovesse lasciare questa esistenza. Uno sforzo,quello dell’antichità greca, che ha attraversato tutta la storia del genere umano, non finendo mai di stupire e stimolare la ricerca e l’approfondimento dei grandi perché che interrogano l’uomo fin dalle origini. La Civiltà greca è la testimone esemplare del grande desiderio dell’uomo di razionalizzare il divenire e l’intera esistenza umana; con la sua sapienza ci mostra come il patrimonio mitico non sia solo un discorso falso, ingenuo o senza senso, ma attraverso i grandi racconti tramandateci dai Classici del pensiero libero ci illumina su una grande verità (di cui essa è esempio concreto): di come il mito, a volte, può trasformasi in logos, in discorso razionale e sensato sulla realtà.