Noriko’s Dinner Table
Noriko’s Dinner Table (2005) è un’opera collocata in un momento preciso della filmografia di Sion Sono; prende infatti le mosse dagli avvenimenti di un’altra opera cruciale del regista, Suicide Club (2001). Si presenta come un’acuta e perversa riflessione sui ruoli e le dinamiche affettive nella famiglia giapponese di fine millennio, luogo in cui non è raro che questi ruoli si scambino e si confondano.
Il “circolo dei suicidi” è lo sfondo di entrambe le pellicole, una comunità online di adolescenti problematici che, apparentemente, orchestrano il proprio suicidio collettivo. Noriko, la protagonista, si sente distante dalla famiglia; la sorella Yuka non capisce le sue difficoltà relazionali e il padre Tetsuzo è totalmente avvilupato nel suo lavoro, è un reporter. Noriko corona l’alienazione sul sito haikyo.com, dove si fa chiamare Mitsuko. Haikyo vuol dire letteralmente “rovine”, ed il sito si rivelerà il principale portale del “circolo dei suicidi”. Noriko, che è già Mitsuko, sogna di fuggire a Tokyo per congiungersi con le ragazze che ha conosciuto su internet e avere finalmente una vita normale. Si lega ossessivamente a Ueno Station 54, a.k.a. Kumiko, che nell’ora della fuga la introduce alle sue famiglie temporanee. Kumiko è nata in un armadietto della stazione di Ueno, il numero #54; cinquantaquattro come le ragazze che si sono suicidate a Shinjuku lanciandosi sotto un treno in corsa.
Il tema portante della narrazione è la lenta costruzione del mondo di Kumiko, che vive saltuariamente tra una famiglia e l’altra, essendo a capo di un servizio di famiglie adottive; la vediamo interpretare una figlia che recita la gioia di una cena in famiglia o che si finge sottomessa emotivamente al padre, una nipote che finge la disperazione al capezzale del nonno. Ben presto Mitsuko (Noriko) si troverà coinvolta in questo giro di sostituzioni e scambi, e successivamente verrà coinvolta anche Yuka, che ha aderito al circolo in una disperata ricerca della sorella e si fa chiamare Yoko.
Il padre Tetsuzo, per ristabilire un contatto con le figlie perdute, assume Ikeda, che fingerà di comandare una famiglia su misura; Kumiko interpreterà la madre Taeko (che è la vera moglie di Tetsuzo e si è lasciata morire dopo la scomparsa delle figlie), e Mitsuko e Yoko le due figlie. Chiamata a fingere di essere di nuovo la sorella di Yuka, pur essendolo davvero, Noriko si ritrova in quello strano palcoscenico su cui «non si può recitare, se non si ha un ruolo».
Il cliente ricerca nella simulazione familiare la pura recita, non è interessato alla realtà assoluta dietro la rappresentazione; non deve sapere, quindi, che Mitsuko e Yoko sono realmente sorelle, deve solo credere che stiano fingendo di esserlo. Nella lente della simulazione, quindi, che qui è inequivocabilmente incarnata nella lente della cinepresa, la recita dev’essere più credibile della realtà, poiché in effetti con la recita si arriva dove la realtà non può, laddove si scontra con i tabù e le ristrettezze dell’educazione famigliare.
Nella simulazione ultima, quindi, quando Tetsuzo prende finalmente il posto di Ikeda e diventa il padre assoluto, nella realtà e nella recita, il rapporto padre-figlie viene sanato, finalmente la sorella minore Yuka ritrova la serenità dell’infanzia e Noriko supera l’adolescenza, supera le haikyo della crescita, neutralizzando Kumiko come avrebbe fatto con la mera madre, e soprattutto oltrepassa il riflesso falsario di Mitsuko ritornando ciò che sempre è stata.
Anche da questa pellicola emerge una chiara interpretazione di Sade da parte di Sono; come ha evidenziato Klossowski, infatti, nel sadismo è necessaria l’unione sodomita della figlia col padre, che ha estorto alla figlia una coalizione crudele col fine preciso di far soccombere la madre. Come si evidenzia anche in Deleuze, «la figlia viene promossa alla condizione di complice incestuosa […]. Da ogni punto di vista il sadismo presenta una negazione attiva della madre, e una inflazione del padre, il padre al di sopra delle leggi…».
Il padre, qui, quantunque simulato, rimane al di sopra di ogni legge; rimane l’unico a scindere nettamente il reale dalla finzione. Noriko, per esempio, non vi riesce; la si chiama per nome e quella continua a ribattere di essere Mitsuko. La madre, interpretata da Kumiko, è già un fantasma; il suo ruolo è l’unico a non avere un risvolto effettivo nella realtà. Ecco, quindi, che il ricongiungimento delle figlie col padre, sadico dal principio, avviene solo mediante l’uscita di scena della madre; Kumiko tiene in piedi lo spettacolo, e finché il suo ruolo non viene neutralizzato, prostituito dal padre, la finzione non può essere dissolta.
Ora Tetsuzo, Noriko e Yuka sono riuniti, la famiglia reale si è riassimilata nella finzione; Kumiko no, lei è la madre, esterna alla rappresentazione famigliare perfetta, pur essendo segretamente mandante della separazione e del massacro. Non si può credere, però, nonostante la prostituzione, che la madre sia la vittima della recita; si deve credere, piuttosto, come converrebbe Deleuze, che Sono stia mettendo in piedi una farsa masochista, più che sadica. Nel masochismo, infatti, è il padre che viene eletto a oggetto sessuale; quando Tetsuzo, dopo che la madre ha lasciato la stanza, cerca di far ricordare insistentemente a Mitsuko di essere Noriko, Yuka irrompe piangendo, singhiozza: facciamo finta, per una volta, che vada tutto bene; di essere una famiglia felice.
In questo modo, è il padre che viene neutralizzato, viene costretto ad abitare l’autentico ruolo famigliare all’interno della finzione, e, come chi ha commissionato il servizio, deve fingere di non sapere di stare fingendo. Continua a fingere per tutta la durata del film, ed è stato quindi completamente quietato e reindirizzato, accettando il piacere della figlia piccola, che gli ha imposto la finzione; così come un masochista, più che un sadico, avrebbe accettato le frustrate di una madre potenziale, col desiderio di debellare il padre che gli abitava in corpo.
di Biagio Montanarella