Nuovi versi della poetessa Saffo
Il ruolo poetico dei personaggi e nuove prospettive biografiche
Il professore Dirk Obbink ha recentemente pubblicato (2014 a) gli ultimi venti versi, in strofe
saffiche, di un componimento della poetessa eolica sui fratelli: sono menzionati tanto Carasso e le sue attività sul mare (vv. 5s. e 11s.), quanto il giovane Larico (v. 22). Ne riportiamo il testo e una traduzione puramente di servizio, tuttavia filologicamente coerente con il testo riportato da Obbink:
Ma tu non fai che ripetere che Carasso è arrivato
con la nave stracolma: è cosa, credo,
che sanno Zeus e tutti gli dèi, ma non a questo
tu devi pensare,
bensì a congedarmi e invitarmi a rivolgere
molte suppliche a Era sovrana perché
giunga fin qua portando in salvo
la sua nave Carasso
e sane e salve (o ‘sani e salvi’) ci trovi:
tutto il resto affidiamolo ai numi,
ché a grandi tempeste d’improvviso
succede il bel tempo.
Coloro a cui il sovrano d’Olimpo voglia
mandare un demone che infine li protegga
dalle traversie, quelli diventano felici
e molto prosperi.
Anche noi, se alzasse la testa Larico
e diventasse finalmente un vero uomo,
allora sì che saremmo subito liberate (o ‘liberati’)
da molte tristezze.
Un carme di famiglia, dunque, che ha pure un evidente valore esemplare: una situazione concreta e angosciosa dalla quale origina una più ampia riflessione sul rapporto tra le relazioni sociali e la giustizia divina. L’alone angoscioso e teso è, secondo taluni critici (cfr. Liberman, 2014), riflesso in uno stile altrettanto ansioso e involuto, quasi frettoloso e talora impreciso, ma la semplicità del dettato di Saffo s’innesta anche a preziose anafore e rispondenze. Si pensa allora che i versi possano rappresentare il preludio di un canto a solo, una preghiera più ampia, oppure di un’esecuzione corale (cfr. Bierl, 2015a).
Al di là delle numerose questioni filologiche che contribuirebbero certamente ad ampliare la conoscenza del carme, dai versi in nostri possesso, giunti tra l’altro in uno stato ottimale e lacunosi solo dei primi versi, si apre un’importante questione: l’identità e il ruolo dei protagonisti poetici.
Carasso e Larico sono i due fratelli di Saffo. Lo sappiamo da Erodoto, il quale di Carasso ci ricorda un’avventura piuttosto romanzesca: egli si spinse fino a Naucrati d’Egitto per il commercio del vino, e lì s’innamorò dell’etéra Rodopi (o Dorica come la chiama la poetessa di Lesbo). Per lei il giovane spese folli somme di denaro e, per un amore cieco, mise a repentaglio il buon nome della famiglia. Ritornato in patria, Carasso venne aspramente rimproverato proprio dalla sorella.
Larico invece era un giovane bellissimo d’aspetto, rampollo della famiglia; pare che, in virtù delle sue efebiche sembianze, fosse stato scelto come coppiere nel pritaneo di Mitilene. Il nuovo carme allora s’inserirebbe assieme agli altri frammenti nel quadro che di Larico già possediamo: un fratello lontano, cui Saffo rivolge accorati inviti e ammonimenti. Altrettanto probabile però che il fratello sia la proiezione soltanto di un ruolo poetico più generalizzato, che bene si accorderebbe al valore etico del carme.
Le imprecise coordinate contestuali non ci permettono di stabilire con certezza a chi dovesse essere rivolto il carme. Diverse sono infatti le ipotesi:
-il padre Scamandronimo. L’augurio che Carasso torni sano e salvo e che Larico si faccia uomo infatti sembra appellarsi a una figura autorevole (prevalentemente maschile) che è tuttavia lontana. Sarebbero così escluse le diverse ipotesi che riconoscono nel destinatario proprio Larico o magari l’altro fratello, E(u)rigio.
-il gruppo della locutrice (cui Saffo si appella collettivamente con un “Tu” confidente e al tempo stesso impersonale), secondo taluni, ma il “Noi” ai vv. 13, 21 e 24 escluderebbe un destinatario che non sia un parente stretto.
I primi versi, seppure in uno stato lacunoso, sembrano in realtà appellarsi alla madre, Cleide, che potrebbe essere il destinatario reale e al contempo fittizio in quanto anche in lei s’innestano motivi autobiografici e poetici. A lei potrebbero essere rivolte le richieste dell’io parlante di pregare Era perché i due fratelli possano vivere al meglio, crescere e fare ritorno. Nella letteratura ci sono altri esempi di madri che inviano le figlie in missioni religiose: in Eschilo Coef. 22 ss., dove Clitemestra manda Elettra oppure in Euripide Ores. 107 ss., in cui Elena fa lo stesso con Ermione. La Kurke vede infatti nella divinità e nell’atto una sorta di “gender segregation”. Tra le altre considerazioni che potrebbero militare a sostegno dell’identificazione di Cleide il mix di auctoritas e di confidenza con cui Saffo le si rivolge e che può contribuire anche a un migliore apprezzamento di quali fossero i rapporti tra le donne di una famiglia. Infatti è suggestivo pensare che qui la poetessa eolica sia al contempo ispiratrice ed esecutrice materiale della preghiera, quasi nella madre riconoscesse l’autorità che le manca e che possa sostenerla nell’accorato invito a Era, pure lei “padrona” e madre. Un carme tutto al femminile, dunque, e pienamente femminile, date la sensibilità dell’invito rivolto al destinatario e la levità dei toni, che nella fretta hanno solo l’ansia della realizzazione immediata.
Infatti è la preghiera il punto focale di tutto il carme, perché al resto penseranno gli dèi onnipotenti. Giorni di sereno seguiranno all’improvviso (αἶψα, l’avverbio della manifestazione del divino) dopo “grandi tempeste”. Un’immagine che sarà sfruttata metaforicamente anche da Solone (fr. 13, 17-24 W.) e che è altrettanto ricorrente in un altro autore, latino però, e nei suoi accorati inviti familiari: Orazio, nel passo di Carm. I 9, 9-12 “permitte divis cetera qui simul/ stravere ventos aequore fervido/ deproeliantis, nec cupressi/ nec veteres agitantur orni”.
Saffo insomma, in un carme dalla chiara valenza paideutico-esemplare, proprio come nel fr. 98, che con questo condivide con ogni probabilità la natura di preludio, ha scritto un carme inteso a catalizzare l’attenzione e a focalizzare lo stile e gli accenti con cui una celebrazione a più ampia partecipazione e più solenne deve essere vissuta per educare il proprio “genos”. Tutto ciò perché i motivi più economici e materiali rimangano da parte rispetto alla preghiera da rivolgere a Era, divinità del principale santuario di Lesbo. Si avrebbe dunque un preludio (P. Sapph. Obbink) che invita a una preghiera (fr. 17 cui potrebbe connettersi questo), laddove ai vv. 1-4 sono auspicati tutti i ritorni, mitici e storici.
Se il rotolo sistemato come nell’edizione alessandrina venisse rispettato, il colloquio di Saffo con sua madre sui suoi fratelli –collocato in relazione agli altri “carmi di Carasso”- rispetterebbe anche una visione che gli Alessandrini ebbero della poetessa di Lesbo, attenta ai valori civili oltre che agli affetti, al rispetto della divinità e dell’amore di figlia. Un’immagine di Saffo senza eros, senza stelle e senza Luna.