“Ohio” di Stephen Markley
il sogno americano: paradossi e frangibilità in Roth e Markley
La lettura di Ohio di Stephen Markley è stata definita la rivelazione dell’anno, un romanzo degno erede dei pionieri di quella letteratura americana volta a svelare l’inganno dietro il sogno americano. Ohio è la storia di alcuni ragazzi di provincia, cresciuti nella cittadina di New Canaan, tra i fulgori di una società che fagocita tutto ciò che di più autentico rimane nella vita dei singoli.
In questa società dominata dalle grandi multinazionali, nel regno dei Walmart e del bieco consumismo, i giovani protagonisti del romanzo riescono ad instaurare dei legami duraturi che influenzeranno diversamente le loro vite. Il loro è un sentire adolescenziale, fatto di impulsi, passioni, invidie e rancori; più i ragazzi crescono, più questo sentire si scontra apertamente con un mondo che impone di schierarsi, che non consente di ragionare su una scala di grigi.
È così che Rick Brinklan, dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle, decide di entrare a far parte delle forze armate statunitensi per compiere il suo dovere di cittadino americano, indottrinato da quella che allora era un’autentica caccia al terrorista islamico. La Grande Cosa Americana, come viene chiamata da uno dei protagonisti la forza invisibile che incorpora qualsiasi persona o ideale entri in contatto con lei, non lascia più spazio per esprimersi liberamente e manipola le coscienze. Chi si ritiene libero dalla Cosa, da quella mentalità che corrompe qualsiasi slancio genuino, è la prima vittima ad essere mietuta.
Rick coltiva l’ambizione di salvare gli Stati Uniti. Bill Ashcraft, il suo migliore amico, si ritrova a guardarlo con commiserazione e a poco a poco si trasforma nel suo più accanito oppositore: agli occhi di Rick, infatti, rappresenta il demagogo che vorrebbe fossero tutti dei miseri falliti. Bill non può perdonarlo. Questo evento segna un punto di non ritorno. Rick non tornerà mai dall’Iraq, lasciando coloro che sono rimasti in preda alle domande e ai dubbi più atroci, spinti a cercare dentro loro stessi verità che sono state sempre sotto gli occhi di tutti.
Questa è la generazione dei figli del sogno americano, persone disilluse, che vengono trascinate dagli eventi senza neanche più la possibilità di autoaffermarsi, di riuscire ad incarnare il dogma del self made man, principale motivo d’orgoglio e massima aspirazione del cittadino americano. Chi prova a imitare tale modello è destinato a un fallimento certo.
Tra le righe di Ohio è impossibile non scorgere Philip Roth e la sua critica a una società improntata a ideali di perfezione insostenibili e ipocriti. È possibile interpretare questo libro come un figlio di Pastorale Americana. Protagonista del romanzo è Seymour Levov, un cittadino americano esemplare, eccellente negli sport, orgoglioso del proprio successo e della propria patria e innamorato della sua bella famiglia. Nella sua realizzazione personale e lavorativa, per gli altri personaggi, Levov è inarrivabile; eppure Roth riesce a sbirciare attraverso il buco della serratura e dipinge un ritratto quanto mai contraddittorio, che vede il fallimento di un uomo e dei suoi ideali, dopo un evento imprevisto che sconvolge la sua esistenza e quella delle persone che gli stanno intorno.
Nonostante questo, Seymour fino alla fine si ostinerà a negare la frantumabilità dei suoi sogni, delle sue aspettative, anche dopo la tragedia che lo colpisce. Il suo desiderio di essere normale, un buon americano, attraversa tutto il romanzo e dura tutta la sua vita; echeggia intorno alla sua figura solo una vaga sensazione di quello che ha perso, di ciò che si nascondeva dietro la facciata, e questo è reso possibile dal narratore, Zuckerman, che forse indirettamente riesce a cogliere meglio di una confessione ciò che è stato, lasciando spazio alle cose immaginate e non dette.
In questo senso Ohio compie un passo in avanti: i personaggi tratteggiati dall’autore hanno la forza o l’incoscienza di guardarsi dentro e di rivelare tutta la fallibilità di questo progetto, di questo sogno utopistico. Il Seymour Levov che si cela dietro ogni personaggio di Ohio non aderisce più ai vari travestimenti che ricalcano gli stereotipi più diversi. Il trucco è stato svelato.
Tant’è che nessuno dei protagonisti si presenta alla parata in memoria di Rick. Non c’è Bill Ashcraft, né Stacey Moore, né Dan Eaton, tantomeno Tina Ross e l’affascinante asiatica Lisa Han. È la fiera dell’ipocrisia, cui non vogliono prendere parte, soprattutto nel tentativo di sfuggire ai loro fantasmi. Ma un senso di ineluttabilità conduce i protagonisti della storia a trovarsi nello stesso luogo in una notte estiva di sei anni dopo. Ognuno di loro sembra predestinato al compimento di una missione il cui scopo è oscuro a tutti. Attraverso le loro storie personali si forma il mosaico di una città e dei suoi abitanti, dei suoi innumerevoli segreti e dei misteri irrisolti.
Ohio è uno di quei libri che non vorresti finisse. Quando l’autore fa posto a un altro personaggio, lasciando indietro quello con cui ormai avevi familiarizzato così bene, ci si sente come abbandonati. Sedotti e abbandonati. Senza mezzi termini. Markley tocca l’umano, il suo apice e il suo degrado e lo trasporta sulla carta attraverso parole di una poesia nostalgica. La trama intricata che Markley riesce a tessere con maestria svela un disegno bellissimo e struggente. Ohio ci riporta a tutto quello che abbiamo perso della nostra infanzia e della nostra adolescenza, quando il mondo, per quanto ferino, riusciva a essere ancora spontaneo.
Le amicizie giovanili, gli amori, i tradimenti e persino le storie di violenza vengono guardati quasi con rimpianto. Di questo tempo ormai andato, della sua bellezza e di tutte le sue possibilità ancora aperte, rimangono solo assenze incolmabili e cicatrici che si riflettono nel presente dei personaggi, per quanto tentino di nasconderle. Cicatrici mostruose che non lasciano scampo. Esistenze normali che non possono far finta di esserlo. La storia futura dei protagonisti è scritta nel loro passato a New Canaan: devono tornare per portare a compimento un piano già scritto.
Nonostante il dolore palpabile e la disillusione che emergono dalle pagine, oltre le perdite e il male che sembra avvolgere New Canaan, in Ohio troviamo «il dono più sbalorditivo della coscienza e anche la nostra tragedia, il nostro luogo comune, la nostra grande maledizione: l’Amore e il suo rifiuto totale di arrendersi». È difficile non rimanere conquistati da questo libro: a una copiosa ondata di dolore corrisponde un sentimento altrettanto potente e inspiegabile.
L’amore è ciò che rende umano, la forza che riporta a una realtà brutale e disillusa e al tempo stesso impedisce di gettarsi nel baratro e di lasciarvi scivolare l’altro. Consente di guardare attraverso l’inferno, trovando la forza di sopravvivere, una volta che tutti i sogni sono stati infranti.
di Caterina Nisi