“Quaderno ideale” di Brenda Lozano
Così come tutte le canzoni d’amore si assomigliano, tutte le poste del cuore si assomigliano, e allo stesso modo le sale d’attesa sono tutte simili fra loro. L’attesa non ci rende unici, ma ordinari. E un’attesa amorosa è la più ordinaria delle attese. Forse proprio in questo sta il suo fascino.
È ancora una volta grazie alla traduzione di Giulia Zavagna e al lavoro di Alter Ego che possiamo leggere Brenda Lozano in Italia: dopo Streghe, ecco la seconda opera della giovane scrittrice messicana, Quaderno ideale, scritta nel 2014.
La voce narrante – sempre femminile – è una moderna Penelope, in attesa del ritorno del suo compagno Jonás, volato oltreoceano in Spagna per entrare in contatto con alcuni ricordi e luoghi amati dalla madre, scomparsa poco prima. La giovane narratrice si rivolge in un continuo dialogo a distanza con il suo compagno, scrivendo su un quaderno di marca Ideal –«la Moleskine messicana» – sogni, pensieri, sensazioni, lunghe confessioni in un flusso di coscienza da cui è facile lasciarsi travolgere.
Questo libro può essere interpretato come la riproposizione narrativa di uno dei più celebri frammenti amorosi di Roland Barthes, quello sull’attesa. «Sono innamorato? – Sì, poiché sto aspettando» scriveva infatti l’intellettuale francese, e la protagonista vive le sue giornate proprio soggiacendo all’incantesimo di tale «tumulto d’angoscia suscitato dall’attesa dell’essere amato». Soltanto attraverso la scrittura riesce a tenere traccia dello scorrere – lento – del tempo e, simultaneamente, dell’immobilità che aleggia nel limbo in cui si ritrova da quando Jonás è partito.
Nei primi anni Duemila è stata pubblicata The Paris Review. Book for Planes, Traines, Elevators and Waiting Rooms. In questa antologia alcuni racconti già pubblicati sull’omonima rivista sono stati organizzati a seconda della loro durata, così da poter ingannare i tempi morti della giornata (come si legge dalla quarta di copertina infatti «provides a poem for that elevator ride to the lawyer’s office; a short story for the thirty-minute commute; a novella for the three-hour plane ride»). Credo che sarebbe stata una lettura piacevole per la protagonista del romanzo di Lozano, che tenta di riempire questa immensa e interminabile attesa con le parole, sue e degli altri.
Alla ricerca del tempo perduto. Quando compro dei dischi, quando guardo i vestiti girare nella lavatrice, quando passo tempo in abbondanza sotto la doccia, quando prendo la strada più lunga per tornare a casa dal lavoro, quando guardo il gatto addormentato, quando perdo deliberatamente tempo al computer mi sembra che il titolo di Proust sia un piccolo monumento.
L’attesa della scrivente è allo stesso tempo passiva, nostalgica e intrisa dalla speranza quasi illusoria connaturata a tale stato, e incredibilmente attiva, nel recuperare il significato etimologico del verbo corrispettivo, attendere, ovvero adtendere, “tendere verso”.
Piena di dubbi e contraddizioni, statica e in tensione, la narratrice si fa accompagnare in un viaggio intimo nella sua vita grazie alle note disparate che si affastellano in questo quaderno che può portare ovunque con sé.
Nei paragrafi del diario, tenuto senza coordinate temporali, si alternano quindi consigli musicali a ricordi di un grave incidente subito che ha lasciato una cicatrice che si può rimarginare solo con le parole; considerazioni sul valore della perdita a brevi statistiche sulle condizioni sociopolitiche del Messico. Al suo interno, giustapposti tra loro, troviamo fotografie di vita quotidiana, stralci di incontri e uscite serali tra amici; riflessioni sull’odonomastica o sul tipo di righe di un quaderno; ossessive ricerche al limite dello stalking su un elegante vicino nano o metafore astruse su vasta scala. E tanti, tanti riferimenti letterari. Citazionistico ed erudito, il libro attraversa autori e autrici di tutto il mondo. Il primo e più ovvio richiamo è proprio alla storia tra Odisseo e Penelope, chiamata in causa diverse volte nel corso degli appunti. Sono echi tratti sia dal classico poema di Omero (pure contrapposto all’Iliade), ma soprattutto dalla celebre lettera di Penelope a Odisseo delle Eroidi di Ovidio: «Questa lettera te la invia la tua Penelope, o Ulisse che indugi a tornare. Ma non rispondermi, vieni di persona!».
Una sorta di ritornello è invece il saluto di Menenio nel Coriolano di Shakespeare,«A hundred thousand welcomes. I could weep and I could laugh. I’m happy and sad», che compare anche come esergo e che fotografa perfettamente lo stato d’animo della narratrice. O ancora Kafka e i suoi aforismi – su tutti, inevitabilmente, «Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te». Talvolta oltre che come evocazioni letterarie, gli scrittori prendono forma e si muovono tra le strade di Città del Messico, come un giovane di ventiquattro anni con un occhio nero che assomiglia a Proust, altro nume tutelare evocato già dalla prima pagina. E non mancano citazioni e riferimenti a Pessoa (non potrebbe d’altronde non esserci Il libro dell’inquietudine, in un’opera fatta a tal punto da frammenti), Simone Weil, Clarice Lispector, Samuel Beckett e il suo (a proposito di attese) Aspettando Godot.
In una società che sembra volere tutto e subito, dove la pazienza non è considerata più una virtù, la comunicazione è pressoché istantanea e si cerca di riempire il singolo momento, la protagonista riesce ad aspettare. E in quell’attesa scopre di potersi conoscere davvero e andare avanti. «Questa storia contiene tutte le storie che sono?», si chiede a un tratto, quasi spaesata. Sì, viene immediato rispondere, perché la storia d’amore centrale si intreccia a una serie di storie di diversi amori: quello tra madre e figlia, figlio e madre, padre e figlia, amiche e amici, tra ex fidanzati. Questi rapporti sono i fili della tela che la nostra Penelope crea e disfa di continuo, e che formano il textus della sua vita; questi rapporti sono i legami che la tengono insieme e la rendono quella che è.
I voli pindarici della protagonista si presentano sotto forma di lunghe note a tratti poetiche, elenchi incalzanti o frasi stringate, ancor più spesso domande incerte, direttamente rivolte al lontano Jonás – seconda persona evocata in absentia – o a sé stessa. Il risultato è un colorato e disomogeneo patchwork di viaggi, matite, rimpianti, rondini e porte aperte dalla letteratura.
Lozano mostra anche in questa opera di saper maneggiare con arte le parole, fino a creare storie e personaggi che, per forza di cose, riescono a parlare di te e a te.