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pubblicato 12 mesi fa in Letteratura

Una riflessione su Penelope in “Itaca per sempre” di Luigi Malerba

rileggere il mito

Una riflessione su Penelope in “Itaca per sempre” di Luigi Malerba

Alla tradizione è stata consegnata come moglie irreprensibile e devota, paradigma di virtù muliebre, inclusa perciò fra le donne castissime insieme a Lucrezia nelle Fabulae di Igino.

Eppure, nell’Odissea l’epiteto che maggiormente accompagna il suo nome non è legato alla sfera della fedeltà, ma alla saggezza: astuta e scaltra come Odisseo era la paziente e pudica Penelope.

E nel mondo antico, oltre alla più famosa di Omero, circolano altre storie che ne tramandano un’immagine ben diversa dallo stereotipo. Nella perduta Telegonia, si unì in matrimonio a Telegono dopo che questi uccise il padre Ulisse. Ancora Apollodoro scrive che secondo alcuni Penelope fu sedotta da uno dei Proci, Antinoo, e pertanto ripudiata e rispedita dal padre Icario.

Dalla varietà del mito e da una lettura più attenta dello stesso testo omerico traspare quindi una figura differente.

È incredibile pensare che Penelope porti avanti per così tanti anni l’inganno della tela, ma al contempo sia l’unica a non riconoscere Ulisse e addirittura a metterlo alla prova.

Bisogna forse cambiare angolatura e leggere, come fa la filosofa Adriana Cavarero, una «smagliatura» nella trama dell’Odissea, un non detto, una malizia stilistica che nasconde la vera Penelope e che si tramuta in appiglio ideale per ripensare un femminile che, nella lontananza, ha conquistato una sua autonomia.

Nello spazio circoscritto dell’isola e ancor più ristretto delle stanze nella reggia, scorre lenta la vita di Penelope, nell’attesa logorante dello sposo. Nascosta dietro al «sipario di finzioni» e alla tenda da cui spia il mondo, tesse e disfa l’inganno del sudario, conscia che la farsa non durerà ancora a lungo.

In Itaca per sempre (1997) di Luigi Malerba, Penelope si è adattata a un microcosmo essenzialmente maschile con tenacia e determinazione, affinando le tradizionali doti di Ulisse, e nonostante le sofferenze non manca ai doveri e ai costumi imposti dal suo rango per reggere le sorti di un regno alla deriva. Lungi dall’aver bisogno di un riscatto che passi per il marito, se non nella misura di personaggio pienamente ancorato al mondo greco antico, medita vendetta e attende il ritorno dell’eroe per mettere fine alla sua solitudine di moglie incerta nei riguardi del futuro prossimo.

Nel frattempo gli amici sono diventati nemici e i servi traditori, ma la speranza non mi ha mai abbandonata e ho imparato a destreggiarmi anch’io alla maniera di Ulisse e aspetto con lo sguardo fisso all’orizzonte l’ora della vendetta come premio per la mia pazienza. 

È un’odissea silente e statica quella di Penelope, che si fa carico di un eroismo appartato e nascosto, a differenza della grandezza delle avventure di Odisseo. Malerba costruisce un personaggio con comportamenti ascrivibili alla mentalità arcaica, ma profondamente consapevole e riflessivo, che si interroga sulle sorti sue e del marito. Penelope si mostra fin dal principio «più scaltra dello scaltro Ulisse» ­nel riconoscere senza esitazione nel vecchio mendico a palazzo il marito invecchiato e cambiato dai lunghi anni della guerra e dei viaggi per mare.

È questo il nodo centrale del romanzo a due voci di Malerba, suggerito peraltro da un’intuizione della moglie Anna Lapenna durante una discussione con l’omerista Pietro Pucci:

Penelope, ha detto mia moglie, aveva capito subito che sotto quelle vesti di mendicante si nascondeva Ulisse, ma ha voluto fingere per un po’ di non riconoscerlo per fargli scontare le sue avventure amorose durante il viaggio di ritorno, ma soprattutto la sua mancanza di fiducia che lo aveva indotto a rivelarsi a Telemaco e alla vecchia nutrice Euriclea e non a lei.

Ferita che si sia rivelato a tutti, anche al figlio lasciato in fasce e ritrovato uomo, ma non a lei che per tanti anni lo aveva sospirato, soffrendo per un’assenza fin troppo prolungata, Penelope decide di ripagare Ulisse con la stessa moneta. Decide di vendicarsi, con intelletto e astuzia, tradizionali armi dell’eroe greco, per affermare la sua volontà e non essere «ridotta a un arredo della casa». Nel farlo rovescia anche i classici epiteti di Ulisse e una certa immagine di uomo forte e impenetrabile: il più astuto fra gli uomini è davvero ingenuo se pensa di riuscire a ingannare Penelope e di restare impunito.

E ancora, quando si rende conto che Ulisse dubita anche della sua fedeltà in quanto donna, considerata per natura inaffidabile, e la accusa tacitamente di aver accettato le avances dei Proci, viene ferita nel suo orgoglio di moglie fedele, che si è peraltro interrogata sulla disparità di codici comportamentali fra i due sessi:

È forse meno doloroso per una donna il tradimento del suo uomo di quanto non sia doloroso per un uomo il tradimento della sua donna? Chi ha stabilito che una donna debba soffrire e perdonare? […]

La paziente, la gentile, la dolce Penelope non era disposta ieri a tollerare le volgarità dei Proci, e non è disposta oggi a sopportare che Ulisse abbia per lei pensieri così abietti.

La persona che Ulisse ha di fronte non è più la giovane e ingenua sposa che aveva lasciato, ma una donna forte e determinata, a tratti austera, segnata dalla sofferenza dei lunghi anni dell’assenza, bella come una dea, ma anche altrettanto possente nel rimarcare il rispetto che le è dovuto e ormai avvezza «alla menzogna e alla simulazione» più del marito. La caparbietà e l’ostinazione di Penelope nel condurre il gioco delle finzioni, nonostante le costi fatica e sofferenza, inducono Ulisse alla confusione e a dubitare di sé, ormai vittima delle sue stesse menzogne:

Sono arrivato con l’idea straziata di riconquistare Itaca e di controllare la fedeltà di Penelope e mi trovo sperduto e confuso […]. Devo convenire che è più facile prevedere le mosse di un nemico in guerra che i pensieri dell’ingenua Penelope. Una volpe.

Penelope rivendica per sé stessa pari dignità e intelletto, qualità che si accompagnano alla fermezza d’animo e alla sicurezza di un’identità solida, chiave per lo scioglimento della vicenda. Così, mossa a compassione dalle lacrime dell’eroe e atterrita all’ipotesi che Ulisse lasci di nuovo Itaca, decide di sciogliere finalmente una finzione pericolosa che minaccia di danneggiare anche Telemaco.

Gli anni sono stati inclementi e Ulisse è cambiato nell’aspetto e nello spirito, piange arrivando a non riconoscersi, eppure sono mille i piccoli segni che Penelope ritrova nel marito. E, nell’accettare il mendicante come Ulisse, sceglie di riconoscere come vera una delle realtà del mondo.

Le verità del mondo sono tante, ma vale soltanto quella che tu hai scelto secondo i suggerimenti dell’amore e dei buoni spiriti.

di Elisa Centinari

Bibliografia

S. Alessi, La figura di Penelope in Itaca per sempre di Luigi Malerba, Aigne, 2013

L. Malerba, Itaca per sempre, Mondadori, Milano, 2021

P. Mauri, L’Odissea di Luigi Malerba, in «La Repubblica», 20 marzo 1997

Sitografia

Brevissima riflessione di Adriana Cavarero su Rai Cultura: https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Adriana-Cavarero-le-figure-femminili-nella160filosofia160antica-d1f6263c-2dae-4cf6-ba32-b106d82c42e7.html