Marius Ghencea
pubblicato 6 anni fa in Recensioni

Degas parla

di Daniel Halévy

Degas parla

Era l’aprile del 1960 quando fu pubblicato in Francia un libro misterioso che portava il titolo “Degas parle”. Il suo autore, Daniel Halévy, all’epoca aveva ottantotto anni ed era praticamente cieco. L’opera in questione raccoglieva una serie di testimonianze degli ultimi vent’ anni di vita del pittore Edgar Degas; oggi aggiornata, è stata appena tradotta in italiano da Tommaso Pezzato per Adelphi. In sé una forza lucente, portato verso la bellezza dell’antichità classica, Degas è riuscito forse con la sua vita a insegnarci grandi cose, supreme e di moralità limpida, con vista intransigente. Si entra dentro questo libro come se fossimo a cena dal vivo con i personaggi che lo popolano, ma con la mente sparpagliata verso altro che è il mistero di ogni idea e rapporto conflittuale: la genesi.

Quasi sedicenne, il giovane Daniel, d’indole così attenta, inizia ad essere affascinato dallo spirito di questo uomo, un amico di suo padre che per lungo tempo lo ascolterà incantato a pranzo, a cena e nelle passeggiate. Inizia così a tenere un diario dove appunta le parole che sente uscire dalla bocca di Degas; è così che in gran parte nasce questo libro che realmente testimonia l’esistenza di un regno che non esiste più, quello della bellezza.

La mente creativa di Degas fu sempre abitata dalla percezione e dai simboli di questa bellezza che è insieme vita e arte e il suo intelletto non rinunciò alle antiche concezioni e aspirazioni, proprio come fece il suo maestro Delacroix. Dedicarsi alla pittura attraverso lunghe sedute preparatorie che per la grande varietà dell’ispirazione mettevano a rischio l’opera stessa è stato sempre il suo metodo; –per l’uomo attento che era, la preparazione quasi equivaleva al mettere il suo genio nei colori a pastello; bramava tanto quella lieve traccia della bellezza e la ricercava con paradossale nevrosi, a volte con quella squisita grazia che si mescolava ai suoi giorni, come la brezza mattutina sulle case: “Dalla natura adesso/non ci si stacchi di un solo passo”, disse La Fontaine.

È nel nudo però che Degas colse i suoi più alti gusti, in quella naturale ambizione, divenuta focosa, di rigenerare rigenerandosi. Perciò dimentica le ballerine e la danza per concentrarsi, per esempio, su una lavandaia, oppure su una cameriera che pettina dolcemente la sua padrona. Sì, gesti meno aggraziati come quello della donna che entra in una vasca da bagno, la sua donna nella tinozza. “Trovava il bello nella deformità quotidiana che svilisce la donna” spiega Halévy, e il tutto si manifesta nel mistero dell’esistenza e della sua difficile condizione che lo portava a volte a fissare un muro vuoto per ore, per poi uscirsene a tono con una battuta. Oltre che per la pittura, Degas amava molto la fotografia ed era un ottimo intenditore di musica. Leggeva i romanzi di Dumas padre e Le mille e una notte, come testimonia Daniel:

Mi rendo conto soltanto adesso che unicamente in tarda età è possibile leggere. Da giovani si vuole arrivare alla fine di un volume, da vecchi si vuole rallentare il ritmo delle cose: si legge una seconda, una terza volta, indugiando sul minimo dettaglio e ogni riga acquista un senso nuovo” e conclude: “Occorre scegliere non più di cinque libri, e attenersi a quelli.

Cosa che colpisce molto –ed è anche un nucleo essenziale di queste testimonianze di Halévy – è la fatale ammirazione per tutta una vita di un’amicizia purissima tra un adulto intento a rivelare ed un giovane intento, con sensibile orecchio, ad ascoltare; di animo nobile anche nel suo arenarsi su un percorso quasi di inquietudine, quasi direi, di sofferenza d’amore per una vita nella vita che ha perso l’incanto che si è occupato da tempo. Degas sente questo, Daniel Halévy lo coglie con fiuto sensibile. Spesso ripeteva:

Il bello è un mistero, ma nessuno lo sa. Si smarriscono le ricette, i segreti, si piazza un giovane in mezzo a un campo e gli si dice: “Dipingi!”. E quello ti fa una fattoria tale e quale. Che idiozia!

La migliore produzione di Degas nasce forse dalla sola catastrofe, come tutta l’arte francese a partire dal 1870, ma in tale catastrofe nessuno è stato più grande di lui, nessuno ha saputo trarre dalla propria disperazione con così tanto amore risultati altrettanto magnifici; la catastrofe inconfessata ha modificato la sua vita, accresciuto i suoi sensi e la sua arte. Era Degas come la donna nella tinozza, i suoi quadri la realtà stessa in cui lui viveva.

Fonte per l’immagine: https://www.adelphi.it/libro/9788845933226