Declinazioni d’inconsistenza
"Diario di un uomo superfluo" di Ivan Turgenev
Ci sono persone cattive, buone, intelligenti, sciocche, piacevoli e sgradevoli; ma non… superflue. Cioè, vorrei che mi si capisse: anche di costoro l’universo può fare a meno; ma l’inutilità non rappresenta la loro caratteristica principale, non è il loro tratto distintivo e, quando vi capita di parlare di costoro, ‘superfluo’ non è la prima parola che vi si arrampica sulla punta della lingua.
Diario di un uomo superfluo (Dnevnik lišnego čeloveka, scritto da Ivan Turgenev nel 1850 e tradotto per Voland nel 2010 da Alessandro Niero) è la commovente via crucis di un essere in sovrappiù. Inguaribile “quinta ruota del carro”, l’inutile Čulkaturin intraprende un cammino di dolorose rimembranze e ripercorre scrupolosamente le tappe salienti di un’esistenza ossimorica. Personaggio estremamente contraddittorio, infatti, il moribondo narratore di questo breve e fittizio racconto autobiografico è impiegato in un persistente tiremmolla con se stesso, sorgente di entusiasmo intermittente per un passato dai tratti assurdamente stra-ordinari. Magnifica è – secondo il protagonista – la parola ‘superfluo’ e altrettanto magnifica è un’esistenza che in nulla sembrerebbe distinguersi da quella degli altri… autocelebrazione o, forse, autoironia?
Superfluo, superfluo… Magnifica parola, e ben trovata. Più penetro in me stesso ed esploro con attenzione la mia vita passata, più mi convinco che questo termine risponde rigorosamente a verità. Superfluo, appunto. Termine che ad altre persone non si applicherebbe…
Come un criceto in una ruota, Čulkaturin è preda di una spirale discendente cui viene condannato dall’acerrima nemica dell’antieroe ottocentesco russo: una coscienza ipertrofica che non lascia spazio alla quiete interiore e che individua nelle bianche pagine del diario, unico valido alleato, un silente ascoltatore. Estremamente lucido ed obiettivo, il protagonista-narratore è consapevole dell’inutilità scaturita dal timido approccio alla vita di un uomo – sottolinea Alessandro Niero nella postfazione al libro – ‘in uscita dal mondo’. Sino ad allora spaventato dalla forma che avrebbero assunto i propri pensieri e da sempre incapace di fornire concretezza ad una volontà annichilita, Čulkaturin può infine, sull’uscio dell’esistenza, dar voce alle vanità terrene. Una volta giunto in prossimità della morte, concede a se stesso di imprimere su carta fuochi ormai domati e ire mai sopite.
Fra i miei pensieri e la loro manifestazione si è sempre frapposto un qualche ostacolo insensato, incomprensibile e invalicabile; e quando trovavo la risolutezza per vincere di forza tale ostacolo, per abbattere questa barriera, nei miei movimenti, nella mia espressione facciale, nell’intero mio essere si leggeva una tensione tormentosa: non è che sembrassi innaturale o forzato – lo ero realmente. Avvertendo io stesso tutto ciò, mi affrettavo a rintanarmi dentro di me.
Invisibile ad una società già di per sé occultata nella prudente scissione politica tra centro e periferia – la Russia era, nell’Ottocento, una vasta distesa di province attorniate da un vuoto ideologico in espansione –, l’autore di quelle che potremmo definire “confessioni” è un uomo alla ricerca di un trampolino di lancio verso l’auto-accettazione. Bramoso di riscatto contro la propria natura, ma sfortunato nella sfortuna di un amore non corrisposto, si troverà smarrito e prigioniero di se stesso dopo essersi reso ridicolo in un inutile duello per il cuore della giovane Liza.
Tutto d’un tratto sentivo in me una straordinaria cattiveria; ricordo che, straordinariamente rallegrato da questa nuova sensazione, presi a nutrire perfino un certo rispetto nei confronti di me stesso.
Malgrado i tentativi di sottrarsi all’indeterminatezza, il protagonista del Diario vedrà, incredulo, appassire l’unica opportunità di assistere alla fioritura della propria anima. Čulkaturin, nulla potrà contro le intangibili forze che nel corso del XIX secolo, agendo sulle radici sociali dello Stato russo, indebolirono e paralizzarono un’intera generazione di personaggi letterari, dall’Onegin di Aleksandr Puškin all’Ivanov di Anton Čechov. Come ad ogni lišnij čelovek che si rispetti, in attesa che giunga la fine, al povero moribondo non resterà che cercare di opporsi al marcato senso di impotenza con sterile malignità e stentato autocompiacimento.
Quando le sofferenze arrivano a un punto tale che tutto il vostro essere, dentro, cigola e scricchia come un carretto stracarico, esse dovrebbero smettere di apparire ridicole… E invece no! Il riso non soltanto accompagna le lacrime fino all’ultimo, fino alla consunzione, fino all’impossibilità di versarne ancora: macché! Esso risuona ed echeggia là dove la lingua ammutolisce e muore il lamento…
La morte, impietosa assassina, assume qui le sembianze di premurosa benefattrice e appone il proprio sigillo alla parassitica inutilità che ossessiona Čulkaturin. Salvato da un destino di elucubrazioni del tutto innecessarie, il protagonista è confortato dalla convinzione che, una volta scomparso, scompaia d’improvviso anche la propria superfluità. Solo l’incapacità di reagire dinnanzi alla mortalità dell’essere sopisce in lui l’angoscia derivata dall’incapacità di reagire nel corso dell’esistenza. Più si avvicina all’abisso silenzioso della morte e il senso di vacuità si impadronisce di lui, più il suo animo si acquieta e il suo stile si fa lirico.
La vita si allontana; mi fugge via con ritmo piano e silenzioso, come la riva agli occhi del navigante.
Il colto Čulkaturin, che sino ad allora aveva disseminato il proprio diario di riferimenti letterari, prende congedo dalla vita come la giovane Lucia Mondella, protagonista dei Promessi sposi, nel celeberrimo passo dell’addio ai monti: ennesimo – dotto – riferimento alla natura. Personaggio profondamente intriso dello spirito romantico del tempo, quasi immedesimandosi nell’universo che lo circonda e inerme preda dei mutamenti atmosferici, si mimetizza con uno sfondo dal quale in alcun modo riesce a dissociarsi. Vero e proprio scherzo della natura persino nel suo ultimo respiro, Čulkaturin si spegnerà il primo aprile del 18…
Domani è il primo aprile. Possibile che io muoia domani? Sarebbe quantomeno indecoroso. Del resto, la cosa mi si confà…