Leonard Matlovich: “Io sono un omosessuale”
Nel giugno del 1969, i moti di Stonewall avevano rappresentato il punto di svolta della lotta per i diritti LGBT: se prima omo e transessuali erano una “parte celata” della società, composta da uomini e donne considerati immorali, mammolette prive di scrupoli e valori, facilmente corruttibili proprio per il loro stile di vita e, addirittura, paragonati alle spie sovietiche negli anni del Red Scare, quei disordini avevano posto al centro una questione che, di lì a qualche anno, avrebbe rappresentato una delle lotte più importanti per l’ottenimento dei diritti civili.
Ma erano anni complessi per gli Stati Uniti: la guerra fredda con l’Unione Sovietica stava raggiungendo il suo climax dopo la questione dei missili cubani e i rapporti sempre più tesi dopo l’assassinio di Kennedy, con il governo Johnson prima e Nixon poi. In questa situazione, l’inasprimento del conflitto in Vietnam, iniziato addirittura nel 1955, scosse profondamente l’opinione pubblica e mise in ombra la lotta per i diritti LGBT: dal fronte arrivavano notizie terribili, le vittime e i feriti avevano raggiunto livelli simili a quelli del secondo conflitto mondiale e i soldati che tornavano a casa dalla prigionia dei Vietcong erano scossi nel fisico e nella mente.
Per cercare di mantenere alto lo spirito dell’opinione pubblica veniva spesso propagandata l’immagine del soldato americano, forte fisicamente e integro moralmente, pronto a combattere e morire per la libertà, un’immagine diametralmente opposta a quella degli omosessuali. Ma l’8 settembre 1975, pochi mesi dopo la fine del conflitto vietnamita, sulla copertina del «Time» apparve la foto di un soldato americano in uniforme, con più medaglie sul petto, corredata dall’emblematica didascalia I Am an homosexual. Quel soldato era Leonard Matlovich, decorato in Vietnam per atti eroici. Questa è la sua storia.
Matlovich nacque il 6 luglio 1943 a Savannah, in Georgia, uno dei più importanti stati del Sud, e ricevette, fin da bambino, un’educazione rigida e improntata al cattolicesimo. Finiti gli studi, all’età di 19 anni, scelse di arruolarsi nell’USAF (United States Air Force), seguendo le orme del padre, veterano della Seconda guerra mondiale, e venne inviato in Vietnam, nel 1963, durante la fase più violenta del conflitto.
Lì si dimostra un ottimo soldato e si distingue per il coraggio e l’intraprendenza: riceve la Air Force Commendation Medal, la Purple Heart, il “Cuore di porpora”, per essere stato ferito in azione dall’esplosione una mina e, soprattutto, la Bronze Star Medal, per aver compiuto atti eroici in prima linea e aver ucciso due vietcong. Decorato e ferito viene premiato con il ritorno in patria; inizia così un periodo di stazionamento in Florida, dove diventa istruttore per le nuove reclute. È in questo momento della sua vita che, quasi trentenne, comincia a prendere coscienza del proprio orientamento sessuale; coerentemente al codice di comportamento “non scritto” delle forze armate e all’educazione conservatrice ricevuta in famiglia, però, mantiene il massimo riserbo, maturando al contempo una maggiore sensibilità al problema della discriminazione.
In quel momento, all’interno dell’Aviazione Statunitense il tema delle discriminazioni razziali era particolarmente sentito per le difficoltà legate alla coesistenza di bianchi e neri tra i soldati da inviare in Vietnam. Proprio per risolvere il problema della conflittualità tra commilitoni di provenienza diversa, i vertici amministrativi dell’USAF crearono le Air Force Race Relations Classes, vere e proprie scuole per imparare a convivere, e Leonard, decisamente sensibile all’argomento e formato istruttore militare, si offrì volontario. Questo nuovo ruolo gli permise di viaggiare, visitare basi militari sparse negli Stati Uniti e di realizzare quanto, in tutto il paese, la discriminazione nei confronti degli omosessuali fosse feroce, se non superiore a quella riservata agli afroamericani.
Nel marzo del 1974 lesse un’intervista dell’attivista omosessuale Frank Kameny, prima di allora astronomo dell’esercito statunitense, congedato forzatamente per il suo orientamento sessuale, che già dai primi anni ’60 aveva iniziato una battaglia sociale e legale per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali all’interno dell’esercito, seppur con scarsi risultati. Matlovich, sempre più incapace di sostenere il peso delle discriminazioni di cui era testimone, chiese e ottenne un incontro con Kameny che, in quel momento, stava lavorando per portare alla luce elementi utili a sostenere un “caso” giudiziario e scuotere alle fondamenta l’istituzione dell’esercito, denunciando le iniquità nei confronti del mondo gay.
Un anno più tardi, il 6 marzo del 1975, Matlovich inviò una lettera all’ufficio dell’Air Force Base di Langley, in Virginia, con la quale dichiarava al Dipartimento delle forze armate degli Stati Uniti d’America la propria omosessualità; all’ufficiale che gli chiese spiegazioni, rispose: «Significa Brown contro l’Ufficio Scolastico», facendo riferimento alla sentenza della Corte suprema Brown v. Board of Education of Topeka che, nel 1954, dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche.
Leonard va però ben oltre una mera dichiarazione e l’8 settembre dello stesso anno sarà sulla copertina del «Time» con la dichiarazione ufficiale della propria omosessualità.
Le reazioni non si fanno attendere e, da entrambe le parti, sono passionali e violente: per i movimenti in sostegno dei diritti civili LGBT è un simbolo, un’icona da seguire per aver sollevato il velo di omertà nelle forze armate, mentre per i conservatori dello status quo è una presenza imbarazzante. I suoi genitori sono sotto choc, la chiesa mormone (cui si era avvicinato) lo allontana e avvia le pratiche per la sua scomunica, mentre l’USAF lo licenzia, nonostante il suo brillante passato e le onorificenze.
Matlovich non ci sta. Decide di portare il caso davanti al Tribunale militare e la Corte marziale per ottenere il reintegro nella USAF. Ne nasce un lungo processo che si protrae per cinque anni, fino al settembre del 1980, quando davanti alla precisa richiesta del giudice Gerhard Gesell di presentare un valido motivo per giustificare il licenziamento dell’imputato la difesa e i vertici dell’Aeronautica statunitense non riescono a dare una risposta congrua al regolamento. La sentenza avrà un impatto importante sull’opinione pubblica: il giudice ordina che Matlovich venga reintegrato, ottenga tutti gli stipendi arretrati e promosso di grado: è una vittoria schiacciante. Leonard però decide di rinunciare al reintegro, per il timore di future ritorsioni, e accetta un risarcimento economico di 160 mila dollari, ottenendo comunque il congedo definitivo “con onore”.
Dopo la storica sentenza, Leonard collabora con vari movimenti per i diritti civili e fonda la Never Forget Foundation, volta a mantenere vivo il ricordo dei leader del passato del movimento omosessuale. Nel corso degli anni ’80 sarà spesso protagonista di lotte e manifestazioni e al centro della cronaca con interviste e conferenze, per sensibilizzare e mantenere viva l’attenzione sulla causa omosessuale. Nel 1987, ospite al programma Good Morning America, annuncia di aver contratto l’AIDS ma che, nonostante questo, non smetterà di combattere. È così: viene arrestato, con decine di altri attivisti, mentre protesta di fronte alla Casa Bianca per le insufficienti misure sanitarie prese dall’allora presidente Ronald Reagan contro il virus; partecipa poi alle manifestazioni del movimento fino a poche settimane prima di morire. Tiene il suo ultimo discorso pubblico il 7 maggio 1988, davanti al Campidoglio di Sacramento, dove ha sede il governo dello Stato della California, nel corso di una manifestazione per i diritti civili, pronunciandosi ancora una volta contro l’indifferenza, le prevaricazioni e l’odio nei confronti degli omosessuali.
Durante quel discorso dichiara:
E voglio che guardiate la bandiera, la nostra bandiera arcobaleno, e voglio che guardiate con orgoglio nel vostro cuore, perché anche noi abbiamo un sogno. E qual è il nostro sogno? Il nostro è più di un sogno americano. È un sogno universale. Perché in Sudafrica siamo bianchi e neri, e in Irlanda del Nord siamo protestanti e cattolici, e in Israele siamo ebrei e musulmani. E la nostra missione è raggiungere le persone e insegnare loro ad amare e non odiare. […] E nella crisi dell’AIDS – e io ho l’AIDS – se c’è una parola che descrive la reazione della nostra comunità all’AIDS, quella parola è amore, amore, amore.
Per poi aggiungere:
… Arriverà un giorno in cui sarà possibile servire il proprio paese e amare una persona del tuo stesso sesso, ne sono sicuro. Fino a quel giorno andrò avanti, a testa bassa, manifestando, sostenendo amici e sconosciuti nella loro battaglia per i diritti di uomini e donne, omosessuali e lesbiche, e anche per i diritti a cure mediche e farmaci che ci vengono preclusi. So che un giorno l’AIDS mi scaverà una fossa, ma fino all’ultimo combatterò. Dopotutto sono e sarò sempre un soldato.
Matlovich morirà di AIDS il 22 giugno 1988. È sepolto nel Cimitero del Congresso, assieme ai grandi della storia americana; per sua scelta, la lapide non reca il suo nome ma solamente la dicitura A gay Vietnam veteran, quasi come fosse un monumento alla memoria dei tanti soldati omosessuali costretti a vivere nel silenzio. Scelse anche l’epitaffio, una frase che suona come un’ultima riflessione per tutti:
Quando ero nell’esercito, mi hanno dato una medaglia per aver ammazzato due uomini e mi hanno cacciato per averne amato uno.
Un primo punto di svolta nella questione si ebbe sotto la presidenza Clinton con un controverso accordo ricordato come Don’t Ask Don’t Tell (DADT), che permetteva agli omosessuali di continuare a prestare servizio nelle forze armate a patto di non rendere noto il loro orientamento sessuale. Una vera e propria giustizia si è ottenuta solo nel 2011 quando, con un decreto firmato dal Presidente Barack Obama, è stato abrogato il DADT ed è stato sancito che gay e lesbiche possano dichiarare ufficialmente il loro orientamento sessuale, all’atto dell’arruolamento ma anche se dovessero già indossare una divisa, con la certezza di non essere respinti o allontanati.
Fonti
Libri:
Mike Hippler, Matlovich: The Good Soldier, Alyson Publications Inc., Boston 1989.
Neil Miller, In Out of the Past: Gay and Lesbian History from 1869 to the Present, Vintage Books, Virginia 1995.
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