Bacchette corsare off-road: Il Movimento del Quattro Maggio 1919 e la rivoluzione letteraria
Il 4 maggio 1919 è convenzionalmente considerata la data di nascita della letteratura cinese moderna, promossa dal Wu si yundong (Movimento del Quattro Maggio, per l’appunto). In realtà, già da qualche anno gli intellettuali erano impegnati in un vivace dibattito incentrato sulla ridefinizione dei canoni stilistici e letterari. Con le proteste del 1919, le innovazioni che avevano proposto presero il sopravvento sulle forme tradizionali. A partire da quel momento, la Cina si trasformò in un incredibile laboratorio culturale, uno dei più vivaci del Novecento.
Facciamo un passo indietro; prima di parlare di letteratura cinese moderna, proviamo a capire cosa fosse quella classica. In epoca imperiale, le funzioni governative erano amministrate dai letterati funzionari, i cosiddetti mandarini. Il cursus studiorum che permetteva di accedere alla più alta carica statale, quella di jinshi, era multidisciplinare ed estremamente rigido. Per un cinese dell’epoca non esisteva un traguardo più prestigioso dell’esame di stato, ed erano molto diffusi racconti di ragazzi poveri che, grazie allo studio e all’impegno, superavano ogni genere di ostacolo, conseguendo il grado di jinshi. Li possiamo considerare come eloquenti antenati dei post motivazionali di LinkedIn: lo studio matto e disperatissimo era infatti la chiave di accesso alle alte cariche statali. La letteratura “alta” aveva uno stretto legame con il potere, ed era scritta in una lingua inaccessibile alla popolazione, il wenyan; parallelamente, esistevano forme di letteratura popolare in baihua, una lingua più piana.
Già dalla fine dell’Ottocento l’efficienza del sistema degli esami era stata messa in discussione, fino a quando (1905) non vennero aboliti; il sapere dei funzionari non era bastato ad arginare l’imperialismo europeo. Il mondo intellettuale, ormai libero dalle incombenze governative, poté finalmente dedicarsi a nuove forme di sperimentazione. Molti iniziarono a guardare con interesse alla produzione culturale occidentale, da cui forse si poteva imparare qualcosa, mantenendo «il sapere cinese come fondamento» e utilizzando «il sapere occidentale come strumento».
Nel 1917, Hu Shi e Chen Duxiu pubblicarono un articolo che inneggiava alla rivoluzione letteraria e promuoveva l’abbandono della lingua classica in favore di quella vernacolare. Nel 1918 Lu Xun scrisse in baihua il Diario di un pazzo, opera rivoluzionaria anche sul piano contenutistico (no, l’omonimia con il racconto di Gogol’ non è casuale, ma nemmeno indicativa di sostanziali similitudini). Attraverso il Diario, il grande scrittore mosse una feroce critica al sistema feudale, che opprimeva i cinesi e li rendeva incapaci di reagire alle angherie, incluse quelle dei colonialisti europei.
Arriviamo dunque al 1919, anno in cui la Conferenza di Parigi metteva fine alla Prima guerra mondiale. Tra le altre cose, a Versailles fu sancito che la Germania potesse mantenere le concessioni nella provincia cinese dello Shandong (il che andava contro gli accordi precedentemente contratti con la Triplice Intesa). Ancora una volta, la terra cinese veniva violentata dal colonialismo. L’ingiustizia subita a Parigi scatenò in Cina un’ondata di proteste, che dalle università si estesero presto al resto della popolazione. Nacque così il famigerato Movimento del Quattro Maggio, a chiaro sfondo antimperialista.
Cosa c’entra la letteratura? Quasi tutto, vista l’importanza sociale che ha storicamente rivestito in Cina. Secondo gli intellettuali del Quattro Maggio, se la Cina era in una tale condizione di svantaggio rispetto alle potenze imperialiste era anche e soprattutto a causa del suo assetto culturale obsoleto, di matrice confuciana e feudale. Era il momento di accogliere nuove idee ed elaborare un sistema di pensiero più internazionale e competitivo; il dibattito socioculturale iniziò ad accogliere nuove idee di socialismo, anarchismo, individualismo, nazionalismo e liberalismo.
Gli intellettuali si organizzarono in associazioni letterarie che dibattevano animatamente sulle funzioni le forme della letteratura. La nuova letteratura concedeva spazi inediti all’identità dell’autore, rompeva le rigide regole metriche, valicava i confini tra un genere e l’altro; parlava di rapporto con la tradizione, emancipazione femminile e modelli genitoriali con una modernità impressionante.
Per concludere, quella del Quattro Maggio sarà pure una data simbolica, ma segna sicuramente uno spartiacque importante per la storia culturale cinese. Da allora in avanti, la letteratura si è dedicata principalmente alla rappresentazione della vita. La rivoluzione letteraria ha portato la realtà al centro della riflessione artistica, raccontando in particolare i cambiamenti sociali che la Cina stava attraversando. Ne è emersa una generazione di autori di grande spessore, capaci di cambiare le regole del gioco e adottare prospettive inedite. La loro eredità di innovatori è tuttora viva e percepibile, e per questo ho ritenuto giusto spendere qualche parola in merito.
La continua riflessione sul passato e rielaborazione delle forme tradizionali è un aspetto interessante della cultura cinese, oggi propensa a un oculato recupero dei valori confuciani, mai del tutto scomparsi dalla mentalità delle persone. Per ricollegarci al discorso degli esami imperiali, ancora oggi in Cina la cultura è considerata come una chiave di accesso imprescindibile per i ruoli di potere. Vedere ministri privi di titoli di alta formazione (pratica dalle nostre parti ormai sdoganata) è impensabile per la realtà cinese, dove si tende a ritenere che solo con un’adeguata preparazione culturale si possano rivestire compiti di responsabilità collettiva.
Il business cinese legato all’istruzione è tra i più fiorenti al mondo, complice l’alto grado di competizione favorito dallo sviluppo economico. Il titolo di studio e la reputazione dell’istituto di conseguimento sono tra le credenziali principali di un cittadino. Sebbene questo meccanismo comporti una serie di problemi, prova quanto i cinesi siano ancora convinti che il sapere possa cambiare le cose, idea che era stata alla base della concezione tradizionali e delle innovazioni del Quattro Maggio.
Vi lascio con un estratto di un discorso di Lu Xun del 1927, dal titolo Cina muta (potete trovarlo in La falsa libertà, una raccolta di discorsi e trattati dello scrittore, curata da Edoarda Masi per Quodlibet, 2006), che offre spunti interessanti sull’importanza della cultura per l’autodeterminazione dei popoli.
Prima di tutto i giovani devono trasformare la Cina in un paese che abbia la voce. Parlare con coraggio, procedere con audacia, dimenticare ogni interesse, rifiutare gli antichi, esprimersi con sincerità. È vero, non è facile. Per esempio non è facile un contegno sincero: mentre faccio una conferenza non ho il mio vero contegno, perché quando parlo agli amici o ai bambini non sono così. Comunque, si possono pronunciare parole relativamente vere con una voce relativamente vera. Solo con una voce vera si commuoveranno i cinesi e gli uomini di tutto il mondo; occorre una voce vera per vivere al mondo insieme con tutti gli uomini.
di F. Ceccarelli