Gino Bartali
il “giusto” e quella telefonata che salvò l’Italia
Parigi, 30 giugno 1948, Gare de Lyon.
Insieme alle loro biciclette, sono arrivati gli atleti stranieri che prenderanno parte ad uno dei più grandi eventi sportivi del mondo: Il Tour de France. Quando scendono gli atleti italiani la folla inferocita scaglia insulti e minacce: i francesi non hanno dimenticato ciò che accadde appena otto anni prima quando l’Italia, alleata della Germania di Hitler, aveva dichiarato guerra alla Francia, con i tedeschi ad una manciata di chilometri da Parigi.
… la vostra è una pugnalata alla schiena ad un uomo già in ginocchio! …
con queste parole, del Ministro degli Esteri francese André François-Poncet a Galeazzo Ciano, si può riassumere come i francesi vissero quell’atto spregiudicato. Tra i giovani ciclisti italiani, c’è un uomo torvo e silenzioso che, dall’alto dei suoi 34 anni, si distingue in mezzo alla folla. Il suo nome è Gino Bartali e questa è la storia di come, grazie alla sua indole mai doma e al suo amore per la pace e per il sacrificio, sia riuscito a compiere una serie di imprese che salvarono migliaia di vite senza mai dimenticare le sue umili origini.
Gino, detto Ginettaccio per il suo carattere, nasce a Ponte a Ema, in Toscana, il 18 luglio del 1914 e, sin da giovanissimo, iniziò ad interessarsi al mondo delle biciclette. A soli 20 anni, entrato nella società Aquila Divertente, vinse la Coppa Bologna, divenendo campione di Toscana. Solo un anno dopo, fece il “grande salto” nel mondo dei professionisti e si iscrisse alla Milano-Sanremo, senza una società alle spalle: finì quarto in classifica ma il suo nome rimbalzò da un giornale all’altro perché si trovò in testa per diversi chilometri, sfidando in un vero e proprio “duello” Learco Guerra, il campione del Mondo, mostrando un’innata abilità. Nel 1936, passò alla Società Legnano, capitanata proprio da Learco Guerra! Il campione, ormai vicino al ritiro, era stato colpito da quel giovane dalle ampie prospettive e decise di concedergli la testa del gruppo, ritagliandosi il ruolo di gregario, per aiutarlo a diventare un grande ciclista. La coppia funzionava come il perfetto meccanismo di un orologio svizzero e Gino, dopo aver guadagnato la prestigiosissima Maglia Rosa, vinse il Giro d’Italia. Ormai il ragazzo era un campione e da lì iniziò la sua ascesa: nel 1937, arrivò il secondo successo alla “Corsa Rosa” (altro nome del Giro) e la nomina di capitano dell’Italia alla corsa più famosa del mondo: il Tour de France!
La corsa tuttavia si concluse nel peggiore dei modi, con Bartali costretto al ritiro per un infortunio. Il 1938 lo vide costretto dal regime di Mussolini a rinunciare alla partecipazione al Giro, dove partiva tra i favoriti, per una più ampia preparazione al Tour, vero obiettivo del Duce, alla ricerca di prestigio internazionale: l’Italia aveva vinto l’ultima volta solo 13 anni prima ma Gino mostrò al mondo intero una grandissima prestazione che si concluse con la conquista dell’ambitissima Maglia Gialla e conseguente vittoria del Tour. Durante la premiazione, però, decise di non fare il saluto romano, un vero affronto al Regime dimostrando, ancora una volta, il suo carattere e la sua avversione al fascismo. Il 1940 si aprì con altre vittorie: la Milano-Sanremo e il suo terzo Giro d’Italia! Inoltre, nella sua squadra, era arrivato un promettente ciclista piemontese, Fausto Coppi. Bartali lo prese sotto la sua ala e decise di fare ciò che Learco Guerra aveva fatto con lui anni prima: far nascere un nuovo talento. Bartali era comunque ancora lontano dal ritiro e solo un infortunio gli impedì di vincere il Giro d’Italia che, però, complice il suo fondamentale ruolo di “motivatore”, anche con metodi non ortodossi (celebre fu il suo sfogo in cui definì Coppi un “acquaiolo”, ovvero un portatore d’acqua, un gregario) fu vinto proprio da Fausto, aiutato però anche dall’improvviso ritiro di molti atleti stranieri dei paesi alleati contro la Germania.
Il giorno seguente, infatti, il 10 giugno del 1940, l’Italia fece il suo drammatico ingresso nella Seconda Guerra Mondiale e per la carriera di Bartali, i cinque anni del conflitto furono un vero e proprio colpo d’ascia: perse il suo migliore stato di forma, lavorando come riparatore di biciclette, utilizzate in operazioni minori al fronte. Bartali si rivelò oltre che un grande campione anche un grandissimo uomo: negli anni del conflitto, e soprattutto dal settembre del 1943, con l’occupazione nazista della penisola, si prodigò per aiutare centinaia di bambini ebrei, grazie alla collaborazione con l’organizzazione clandestina DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei) e con importanti esponenti della Chiesa cattolica, tra i quali spiccava cardinale di Firenze Elia Angelo Dalla Costa, e il Rabbino di Firenze Nathan Cassuto. Riuscì a trasportare falsi documenti, fototessere e lascia passare nel telaio della bicicletta, con la quale si allenava percorrendo in poco tempo la distanza tra Terontola-Cortona e Assisi: più di 185 chilometri, avanti e indietro. Si stima che Bartali riuscì, con il suo coraggioso operato, a salvare la vita a circa 800 ebrei italiani. Scoperto e ricercato dalla Gestapo e dalle Camice Nere, scappò e visse nell’anonimato a Città di Castello per quasi cinque mesi, senza mai raccontare a nessuno della sua attività “illegale”.
Nel 1945, la guerra vide la sua fine e, secondo la grande maggioranza degli esperti Gino, ormai 31enne, non avrebbe avuto modo di tornare ai livelli sportivi di qualche anno prima. Gino non voleva assolutamente arrendersi e decise di partecipare al Giro d’Italia 1948 ma, complice una brutta caduta, si piazzò solo all’ottavo posto. Nonostante questo, a causa di problemi avuti da Fausto Coppi con la federazione, si ritrovò ad essere il capitano della squadra Italiana al Tour de France. Il Tour è la gara più spettacolare per gli amanti del ciclismo: 25 giorni, 4922 chilometri, paesaggi meravigliosi, salite epiche, il sali-scendi delle Alpi e dei Pirenei e il trionfale arrivo nella città delle luci. In Francia, come detto, per gli atleti italiani non fu facile: i francesi nutrivano un enorme astio nei nostri confronti e alcuni atleti, come Fiorenzo Magni, che aveva note simpatie fasciste, furono costretti a rinunciare al Tour, per motivi di ordine pubblico. Gino non iniziò la sua Grande Boucle (altro nome del Tour) nel migliore dei modi e arrivò al 14 luglio, terzo giorno di riposo previsto per la festa nazionale in Francia, con quasi venti minuti di ritardo rispetto al campione francese Louison Bobet: con quel ritardo, e la differenza di età tra i due (Bobet era di 11 anni più giovane), la competizione era praticamente chiusa.
Qui, inizia un’altra storia che sarà parte della Storia …
Il 14 luglio, a Roma, il Segretario del Partito Comunista italiano Palmiro Togliatti sta uscendo da Montecitorio, mano nella mano con la sua compagna Leonilde Iotti. Improvvisamente, in Via della Missione, la coppia si trova davanti Antonio Pallante, un giovane studente di Giurisprudenza siciliano iscritto al Movimento dell’Uomo Qualunque che, estratta una pistola, esplode quattro colpi contro il leader comunista, colpendolo alla base del cranio, alla milza e al polmone sinistro. L’allarme viene immediatamente lanciato, Pallante fermato dalle forze dell’ordine di Montecitorio e Togliatti soccorso. “State calmi, non fate sciocchezze!” sussurrò Togliatti a Luigi Longo e Pietro Secchia, i suoi uomini di maggior peso nel Partito.
Ma quali erano le preoccupazioni del leader comunista? Per capirlo, è necessario un piccolo excursus storico degli anni immediatamente successivi la Seconda Guerra Mondiale in Italia. Quella italiana era una democrazia “imperfetta” perché il Partito Comunista, seconda potenza politica del paese, non avrebbe mai potuto governare a causa delle situazione politica internazionale: l’Italia era entrata nella sfera d’influenza americana e, per questo, contrapposta all’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti non avrebbero certo permesso ad un partito filosovietico di governare un paese alleato! Questo causava, ovviamente, un malcontento generale, soprattutto nelle sezioni del PCI dove si ritrovavano operai e studenti e, se a questo uniamo che, nella guerra appena conclusasi, moltissimi di quei militanti avevano combattuto come militari o partigiani, si può intuire come un attacco al leader comunista potesse far scattare una sommossa armata generale che, di conseguenza, avrebbe scatenato l’intervento americano sul suolo italiano. Questo spaventoso “effetto domino” che, poche ore dopo, iniziò a causare i primi morti in ogni città del paese, doveva essere immediatamente fermato. Ma come? I militanti in piazza erano numerosissimi e la polizia faceva fatica ad arginare la sommossa. Fu così che Alcide De Gasperi, storico Segretario della Democrazia Cristiana e Presidente del Consiglio, decise di fare qualcosa di folle per cercare di dare alla piazza un diversivo, un esempio da emulare, un qualcosa di talmente grande da unire gli italiani e fermare la guerriglia di strada: De Gasperi prese il telefono e fece una chiamata in Francia…
Bartali, nel frattempo, venne a conoscenza dei tragici eventi di Roma e, da capitano, decise di radunare la squadra italiana al Tour:
Se Togliatti muore si va tutti a casa. Scoppia la rivoluzione, voglio stare vicino alla mi’ famiglia. Se però Togliatti sopravvive, si continua a correre. E se si corre, si corre per vincere.
Parole da campione, parole da leader, interrotte solo da quel telefono che squillava e dalla solenne voce di De Gasperi. La conversazione, raccontata dallo stesso campione, sembra scritta per il cinema:
– De Gasperi: “Mi domandavo se tu potessi vincere il Tour?”
– Bartali: “Domani c’ è la prima grande tappa di montagna, da Cannes a Briancon, 274 chilometri durissimi”
– De Gasperi: “Lo so … ma è importante che vinci”
– Bartali: “Non posso prometterti che vinco il Tour perché il Tour lo si vince arrivando a Parigi in Maglia Gialla. Ti garantisco la tappa. La corsa è corsa: la farò bella”.
Si salutarono così, entrambi con la paura di ciò che sarebbe potuto accadere, entrambi con una situazione complicata da gestire. Le Alpi sono, da sempre, un enorme ostacolo naturale: invalicabili ai tempi degli antichi Romani e, più di mille anni dopo, impervio teatro della nostra Prima Guerra Mondiale … ma per un ciclista le Alpi sono il fresco del clima di montagna e il bruciore dei muscoli e dei polmoni, sono una sfida tra corpo e mente: se cede uno dei due, l’altro deve assumersi un carico sovrumano per arrivare alla fine. Bartali è, da sempre, uno specialista nella scalata e non delude le aspettative di De Gasperi vincendo la tappa. Il giorno dopo, il 16 luglio, Gino supera se stesso e vince ancora, divenendo leader della classifica generale e recuperando ogni minuto perso in precedenza: è Maglia Gialla! In Italia, la gente inizia ad accendere la radio, ad interessarsi a quell’impresa… comunisti, poliziotti, politici e operai: tutti si radunano per Bartali! Addirittura Togliatti, salvato miracolosamente dal Dottor Pietro Valdoni, dopo aver lanciato un messaggio di invito alla calma generale, chiede notizie del Tour. Bartali, a quel punto non si ferma più: vince altre due tappe e arriva a Parigi in Maglia Gialla, tra gli applausi dei francesi che non possono non onorare quell’impresa. La vittoria al Tour fu un successo sportivo pazzesco poiché nessun atleta è mai riuscito a vincere due edizioni così lontane l’una dall’altra. Fu il successo nazionale di un paese in difficoltà che uscì glorioso da una delle sue più profonde crisi. Fu il successo umano di un uomo dal cuore immenso.
Al suo ritorno in Italia, Gino ricevette i ringraziamenti da Togliatti e De Gasperi, dal Papa e dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Continuò la sua carriera, ormai al tramonto, fino al 1954, con una corsa speciale a Città di Castello, come ringraziamento per gli aiuti ricevuti durante la sua latitanza. Dopo il ritiro, visse sempre più lontano dalle telecamere e dal mondo del ciclismo, a suo dire rovinato dagli ingaggi troppo alti, dalla corruzione e dal doping. Visse, a fianco della moglie e dei tre figli, fino al 5 maggio 2000, quando si spense, all’età di 86 anni, tradito proprio da quel cuore così grande.
Bartali raccontò del suo sforzo in aiuto degli ebrei solo al figlio Andrea dicendogli:
…Ricordati sempre che il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca
Andrea però, dopo la morte del padre, fece il possibile per rendere nota questa meravigliosa storia. Fu così che, dopo aver raccolto numerose testimonianze, nel 2005, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnò la medaglia d’oro al valor civile alla moglie di Bartali e, tra il 2011 e il 2013, anche lo Stato d’Israele gli diede la cittadinanza onoraria e riconobbe al campione ogni merito, inserendolo nella lista dei Giusti, i non ebrei che, mettendo in gioco le loro vite, hanno aiutato i figli d’Israele durante l’Olocausto.
Il 16 maggio 2017, alla vigilia della partenza dell’undicesima tappa del Giro d’Italia (da Ponte a Ema a Bagno di Romagna), la squadra israeliana di ciclismo Cycling Academy, ha organizzato una corsa con partenza dalla stessa Ponte a Ema fino ad Assisi, sullo stesso tragitto che Ginettaccio percorse molte volte per aiutare gli ebrei perseguitati.
Fonti
Libri:
Gino Bartali, Tutto Sbagliato Tutto da Rifare, Mondadori, 1979
Simone Dini Gandini, La bicicletta di Bartali, Notes edizioni, 2015
Andrea Bartali, Gino Bartali, mio papà, Ed. Limina, 2012
Leo Turrini, Bartali: l’uomo che salvò l’Italia pedalando, Mondadori, 2004
Paolo Carusi, I partiti politici italiani dall’unità ad oggi, Studium, 2015
Video:
Gino Bartali – l’intramontabile, fiction Rai, regia di Alberto Negrin, prodotto da Endemol.
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