Niccolò Fallani
pubblicato 4 mesi fa in Letteratura

Il rapporto fra “Cesara” di Mihai Eminescu e “Il serpente” di Mircea Eliade

Il rapporto fra “Cesara” di Mihai Eminescu e “Il serpente” di Mircea Eliade

È sempre difficile periodizzare una tradizione letteraria. È per esempio quello che avviene con la letteratura romena, soprattutto con quella fantastica.

In questo articolo confronteremo due autori appartenenti a generazioni diverse e, in special modo, due opere: Cesara, novella di Eminescu pubblicata per la prima volta a puntate in appendice nel Corriere di Yaşi e poi comparsa nel volume Nuvele solo nel 1883, e Il Serpente, romanzo di Eliade edito nel 1937.

Mihai Eminescu (1850-1889) è considerato il più noto poeta e romanziere del proprio Paese. Autore prolifico già prima dei vent’anni, con lui il classicismo romeno raggiunge i vertici assoluti della poesia. Nella sua opera si ha la sincrasi fra la forma mentis dei letterati est europei e quella dell’Europa occidentale. Eminescu, e qui sta il suo grande punto di forza, è una personalità completa: si interessa di storia, filosofia, matematica, astronomia e guarda ai grandi romantici del passato con riserbo e nel contempo competitività intellettuale. Si ha, nella sua opera, una forte influenza del romanticismo Biedermeier e dei suoi temi, come il genio e la cosmogonia, che si intersecano e convivono con armonia anche la filosofia di Schopenhauer, conosciuto mentre studiava a Vienna, e la cultura orientale mediata dalla conoscenza del sanscrito. È molto specifico della sua arte il tema della solitudine inserita in un contesto cosmico, spesso accompagnato dal desiderio di morte intesa nel senso di dissoluzione che implica una reintegrazione all’interno del mondo naturale; in generale, il soggetto privilegiato è il personaggio-tipo del titano, genio demoniaco che conserva il daimon dentro di sé, fuoco sacro della creazione e della genialità ribelle.

Il suo poema Cesara propone l’antinomia angelo/demone, dove l’angelo è la donna e il demone è l’innamorato. Si ha però un’evoluzione rispetto a quello che sembra ricalcare lo schema petrarchesco uomo/soggetto donna/oggetto; qui il maschio è sì soggetto, ma demoniaco, e incarna perfettamente la figura dell’asceta, colui che rinuncia in ogni momento all’hic et nunc in virtù della meditazione, staccato dai desideri e dalla sofferenza dell’uomo comune. Il soggetto, quindi, non coincide più col principio attivo della coppia, ma guarda ad altri lidi. Se già il titolo mostra l’atteggiamento intertestuale adottato da Eminescu, traducendo Titan (Jean Paul, 1803), un romanzo tedesco, si noti anche che il marchese Castelmare, personaggio importante nella diegesi della storia, appare in una novella di Iacob Negruzzi, connazionale di Mihai.

La trama di Cesara è laconica, quasi eterea (molto spazio infatti è concesso a passaggi in cui i protagonisti riflettono su sé stessi): Cesara, donna bellissima e intelligente, è la protetta di un pittore, Francesco, e promessa in sposa dal padre al marchese di Castelmare. Un giorno vede dalla finestra dell’atelier Ieronimo, giovane che vuole diventare monaco, e il pittore avendo notato l’interazione fra i due lo invita a posare per un quadro. Cesara in poco tempo si innamora di Ieronimo e gli invia una lettera in cui le offre il suo amore. Nel frattempo, Ieronimo intraprende una corrispondenza piena di affetto con Eutanasio, monaco ritiratosi in un’isola paradisiaca, e si instaura un rapporto padre-figlio dove Cesara incarna inaspettatamente il polo attivo dell’innamoramento. Ieronimo riconosce di provare qualcosa per lei, ma poi a causa di un duello col marchese di Castelmare il ragazzo dallo sguardo malinconico lascia la città e intraprendere un nuovo percorso di vita nell’isola paradisiaca, raggiungendo così il monaco. Cesara, rimandate le nozze, vive un anno in convento e, una notte in cui stava nuotando in mare, arriva per puro caso all’isola, dove avviene l’agnizione degli innamorati.

I personaggi centrali, cioè Cesara, principio attivo della coppia ma allo stesso tempo figura angelica, passiva nell’attendere un responso, e Ieronimo, monaco di una bellezza eccezionale, sono una chiara allusione alla coppia primordiale di Adamo ed Eva, ma anche a Venere e Adone. Schopenhauer è molto presente: l’influenza del filosofo tedesco è palese nella visione della vita monastica come ritiro e distacco dal mondo, anche se alla fine vince la sensualità del protagonista, l’Es carnale.

La questione forse più interessante però risulta essere il cronotopo dell’isola; questa infatti designa uno spazio trascendentale e mitico, appartiene all’origine del mondo e sembra che tutto al suo interno violi la dimensione dello spazio e del tempo. È circondata dal mare, ci sono monti armoniosi, un fiume che la attraversa e una grotta che porta alla mente non solo il significato di protezione, ma anche e soprattutto quello di grembo materno all’interno del quale si ha la figurazione di un tempio dell’eros. Come in altre due opere emineschiane piuttosto simili, Espero e Genio Demoniaco, l’autore disegna un protagonista che rappresenti la fierezza e la freddezza. Il rifiuto (sebbene parziale) che si ha di Cesara non è dato dal disinteresse per la ragazza, ma da una lettura del creato come un qualcosa di destinato alla decomposizione. Ha luogo dunque un rifiuto della folla e dei sentimenti in virtù della speranza dell’ascesi. Cesara, al contrario, promuove una visione dell’amore naturale, senza costrizione e processi di coscienza, ma ciò non la relega in una posizione di inferiorità perché sapientemente comprende il punto di vista di Ieronimo e lo accetta, come dimostra la domanda «puoi sopportare il mio amore?» che suggella il pathos della mancata corrispondenza e della sofferenza che il protagonista maschile prova nel fingere naturalezza e aspirazioni mortali.

Sul finale, Eminescu viola il principio di non contraddizione e la narrazione scivola in un contesto onirico, come sospeso.

L’isola, con le sue sovrasignificazioni che attraversano la mitologia e la bibbia, non configura uno spazio reale ma è descritto attraverso una geografia fittizia che unisce il vero al falso, il dato storico al dato ontologico.

Passiamo invece a Mircea Eliade, celebre storico delle religioni, filosofo e antropologo. Eliade, natio di Bucarest, appartiene a una generazione successiva rispetto a Eminescu e lo studia con acribia, come dimostra nel saggio che scrive sull’isola di Eutanasio. Nell’isola di Euthanasius. Scritti letterari (1943) lo studioso guarda, ricollegandosi a ciò che fu la letteratura tardo-romantica, all’immagine dell’isola emineschiana definendola la più perfetta visione paradisiaca della letteratura romena e individua come elementi edenici le quattro sorgenti, reminiscenza dei quattro fiumi del paradiso, e la serra, una replica del giardino posto in mezzo al Paradiso. L’isola, nota sempre Eliade, non è un luogo casuale, ma è il posto dove si ha lo snodo narrativo più importante e la magia emanata dal locus amoenus annulla il dramma dei personaggi per un amore libero ed epifanico. La geografia è mitica e la vegetazione vergine accessibile solo a certi intelletti, come predisposta ad accogliere la coppia archetipica; la sacralità non esclude la morte, ma il cadavere si fonde con l’ambiente divenendo semente. Merita attenzione anche l’elemento oceanico, riscoperto dai romantici come topos poetico, che permette la catabasi a una matrice primordiale.

Eliade però non indaga solo le opere degli altri, essendo egli stesso romanziere. La sua opera in Italia fu osteggiata a causa del suo impegno attivo nella “Nuova generazione romena” e del conseguente contributo nel formare l’assetto teorico della “Guardia di Ferro”, movimento ultranazionalista di ispirazione fascista. Il principale studioso e traduttore di Mircea Eliade in Italia è Roberto Scagno, il quale evidenzia le due identità diverse e complementari dell’autore: lo scrittore, diurno e attratto dall’esoterico, e lo studioso, scientifico e razionale. Fu Pavese, in qualità di redattore editoriale, a prendere le difese dell’opera di Eliade e a giustificarne la pubblicazione per Einaudi.

L’opera su cui voglio concentrarmi, impiegando ancora l’isola e il suo ruolo centrale, è Il Serpente, romanzo del 1937. Un pomeriggio di primavera, i Solomon organizzano una festa in un villaggio a trenta chilometri da Bucarest per trovare a loro figlia Dorina un marito benestante. I pretendenti sono molteplici. Partono per un monastero situato sulla riva di un lago e la macchina è fermata da un giovane, Sergiu Andronico, che afferma di essersi perso. Di qui gradualmente la situazione precipita, perché Sergiu diviene una sorta di guida del gruppo e racconta di una barca affondata nel lago e dell’annegamento di un amico, poi li coinvolge in un gioco all’interno della foresta, dove i personaggi sono portati a tirar fuori tentazioni erotiche che reprimono nella vita di tutti i giorni. La giornata va avanti, Sergiu racconta agli uomini della famiglia di una ragazza morta nella cantina del monastero, poi inizia la festa e compare un serpente, che il ragazzo prontamente invoca con un incantesimo e gli ordina di partire per l’isola. L’incantesimo, però, comporta una sonnolenza erotica di tutti i personaggi e Dorina, in sogno, capisce di essere destinata ad Andronico (che vede come un uomo-serpente) e di dover raggiungere l’isola in mezzo al lago. Dopo meravigliose visioni, percorsi di vetro, epifanie e simbolismi, Dorina e Andronico si incontrano sull’isola e, sotto un cielo di stelle, si addormentano abbracciati.

Nell’opera di Eliade, come in quella di Eminescu, è fondamentale il simbolismo. Sono aspetti centrali la ierofania, ovvero la presenza o manifestazione di qualcosa di sacro, e l’unione dello scrittore con lo studioso delle religioni. Il serpente di Eliade è una commistione fra il male e l’instrumentum della scoperta amorosa, anche perché spesso nelle culture antiche era collegato alla luna in quanto «marito di tutte le donne» (luna infatti presente nelle immagini finali dell’opera).

La narrazione si articola in tre snodi, definibili iniziatici: il gioco dei pegni, dove i partecipanti non sono consci dell’esecuzione di riti iniziatici, l’incantesimo del serpente, che comporta la presa di coscienza di Dorina, e l’episodio dei sogni, dove si liberano gli istinti sessuali repressi. Il sogno di Dorina è quello più interessante ed è dimostrazione delle conoscenze di Eliade: si ritraggono sulla pagina elementi come una magnifica selva dalle pareti d’oro, poi un labirinto, una distesa d’acqua con un palazzo di vetro al suo interno. Queste immagini si metamorfosano l’una nell’altra e sono fondamentali gli spiriti, i quali sono uguali e contrari a Dorina, specialmente dal punto di vista estetico.

Guardiamo adesso al rapporto fra Eminescu e Eliade in virtù dell’immagine più importante: l’isola. Questa, che nel Dizionario dei simboli del 1987 (Rizzoli) è definita come «l’isola alla quale si arriva dopo una navigazione o un volo è centro spirituale e primordiale per eccellenza» è rimasta inalterata come topos letterario, che si parli della Bibbia o di qualunque romanzo odierno in cui i protagonisti vanno in vacanza in un luogo lontano. Il concetto di sacro si è degradato in quello di esotico, ma il simbolo permane ed è ancora estremamente forte. In Eliade l’isola è il centro del racconto, specialmente a livello inconscio, ed è raggiungibile facilmente, come del resto accade nel poema Cesara. Sicuramente, la geografia dell’isola de Il serpente è più semplice; ci sono infatti meno elementi e la geografia è pressoché reale, dal momento che si rifà ad una località vicina alla capitale. In Cesara, la vicinanza dell’isola al monastero è funzionale all’intreccio, mentre nel romanzo di Eliade si sovra significa anche questo elemento creando un grande spazio sacro dove si rivela progressivamente il vero. È molto scenografico il percorso onirico di Dorina, che si incammina in una serie di non-luoghi dalle caratteristiche metamorfiche che la portano alla conoscenza e anche la meravigliosa immagine finale, dove lei e Andronico si uniscono davanti al lago, che ormai è dorato, e fra gesti e parole da bambini, come neofiti della nuova prospettiva commista di vero e falso, sensibile e sovrasensibile.

In conclusione, entrambe le opere sono testi di grande rilievo che, ad oggi, andrebbero recuperati. Eminescu, con il suo liricismo che si riversa anche nelle opere in prosa, non ha niente da invidiare ai grandi scrittori tardo-romantici europei, se non forse il poco rilievo della sua letteratura nazionale nella cultura continentale. Eliade, più conosciuto e studiato come studioso, dà il meglio di sé anche come scrittore di fiction ed è meraviglioso vedere come si rifaccia all’auctoritas emineschiana, ne studi l’opera e la riproponga in un connubio di erudizione e immaginifico.

di Niccolò Fallani