“Il sorpasso” (1962) di Dino Risi
la commedia del boom economico
Il sorpasso ebbe delle grandi accoglienze, ma poi divenne un film fondamentale addirittura. Non soltanto nella commedia, ma nel cinema italiano. È stato riconosciuto come capostipite, anche dagli americani, di un certo tipo di cinema che loro chiamano oggi road cinema […] insomma, sembra che i francesi ieri, e gli americani oggi, abbiano fatto la scoperta della commedia italiana. Io ho sentito dire commedia italiana e non all’italiana, perché mi sembra più giusto, anche più civile e più intelligente chiamarla così e non all’italiana, come non diremmo mai una commedia all’americana o alla francese. (Dino Risi, «La grande radio», 1º gennaio 1966).
Il 23 dicembre 1916 nasceva a Milano Dino Risi. Dopo una laurea in medicina, scelse il cinema dirigendo titoli come Pane, amore e… (1955), Poveri ma belli (1956) e Belle ma povere (1957), ma anche La marcia su Roma (1962), I mostri (1963), L’ombrellone (1965), Profumo di donna (1974), Telefoni bianchi (1976) e tanti altri.
Ma il suo capolavoro Il sorpasso (1962), nell’immaginario collettivo, sembra essere più di tutte una pellicola davvero senza tempo. A distanza di quasi sessant’anni continua a raccontare qualcosa di nuovo, a documentare il passato e far comprendere meglio il presente dell’Italia, ma soprattutto degli italiani.
Al di sotto della superficie comica, i film di Risi degli anni Sessanta evidenziano con arguzia il desiderio di criticare la neonata società dei consumi, quella del miracolo economico, in cui l’acquisto di beni di prima necessità lascia spazio a quelli materiali. Ma le riflessioni toccano tematiche più ampie e i personaggi, sotto la direzione del regista milanese, diventano maschere ciniche e reali che rappresentano in modo sociologico il periodo. Risi fotografa lucidamente gli impulsi vacui di quelle generazioni uscite dalla guerra che volevano costruirsi un futuro confortevole. Le automobili, i vestiti, le sigarette, i vinili, i viaggi e le vacanze sono alcuni dei tanti elementi presi in considerazione; il microcosmo de Il sorpasso è l’esempio lampante che incarna questa analisi antropologica, stilistica e narrativa scritta dallo stesso Risi con Ettore Scola e Ruggero Maccari.
Senza soffermarsi sulla trama, cercando lo stesso di percorrere il lungometraggio nelle sue diverse tappe – mai come in questo caso, il termine tappe è adeguato –, si può notare come la prima scena esemplifichi quello che è stato anticipato: la camera da presa, posta direttamente sull’automobile, inquadra in primo piano un uomo di spalle – del quale possiamo intravedere il volto nello specchietto retrovisore – che si guarda intorno mentre è alla guida, un sottofondo musicale jazz a scandire il ritmo delle immagini. La strada deserta, l’architettura dei palazzi, la Lancia Aurelia, la velocità spericolata, il fischiare delle ruote, il rombo del motore e la musica incalzante; poche inquadrature iniziali che catapultano lo spettatore immediatamente all’interno della narrazione e, allusivamente, alla guida dell’automobile.
Roma, il giorno di Ferragosto. L’uomo che intravediamo di spalle è Bruno Cortona (Vittorio Gassman) che, alla ricerca di un telefono pubblico, si imbatte casualmente in Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant). Bruno, chiedendo di chiamare una certa Marcella, entrerà nell’appartamento dello studente e riuscirà a convincerlo a smettere di studiare per prendersi almeno un aperitivo con lui. I contrasti tra i due protagonisti sono subito evidenti: se Roberto mentre studia ascolta un vinile di musica classica, Bruno, prima di entrare in casa, canticchia Pinne fucile ed occhiali (1962) e, in bagno, Guarda come dondolo (1962), entrambe di Edoardo Vianello. Uno appare in camicia e l’altro con una polo aperta sporca di grasso del motore: «me so’ fermato dieci minuti pe cambià le candele», uno parla senza influenze dialettali e l’altro le sottolinea; poi: la differenza di “stazza”, l’insicurezza di uno e la spavalderia dell’altro, uno fuma e l’altro no, e così via. Tante piccole suggestioni che delineano già dal primo incontro due figure chiaramente distinte: Bruno incarna l’epoca dei consumi mentre Roberto non sembra esserne influenzato.
Inizia il viaggio verso “l’aperitivo” che si trasformerà in un pranzo a Civitavecchia. La Lancia Aurelia con il suo inconfondibile clacson sfreccia per le vie e le piazze di Roma quasi deserte, restituendo con le inquadrature la bellezza contemporanea della città, mentre Bruno fornisce i suoi consigli sulle multe: «mai fermarsi, se non te la contestano a voce la contravvenzione non è valida» e Roberto parla con se stesso – con la voce fuori campo che lo spettatore sentirà più volte – pensando cose che non riesce però a dire: «che scusa gli posso trovare, ma perché dovrei andare a colazione con lui, chi lo conosce? Non c’è nessun motivo», e infatti il viaggio prosegue a tutta velocità: «sono nelle mani di un pazzo».
Durante questo tratto insorgono nuovi e diversi riferimenti alla società dei consumi e all’attitudine di Bruno: la targhetta sul cruscotto con la foto di Brigitte Bardot e la scritta “Sii prudente a casa ti aspetto io”, l’incipit della poesia La sposa infedele di Gabriel García Lorca sentita nel disco di Arnoldo Foà, la richiesta a Roberto di mettere nel giradischi dell’auto il vinile di Modugno e il riferimento a Michelangelo Antonioni: «L’hai vista L’eclisse? Io ci ho dormito, una bella pennichella. Bel regista Antonioni, cià una Flaminia Zagato, una volta sulla fettuccia di Terracina m’ha fatto allungà il collo».
Dopo aver escluso due trattorie dove mangiare, aver inseguito una coppia di «tedeschine», essersi fermati per assistere a un incidente, dove per evitare la multa di un vigile Bruno imita la cadenza bolognese – il dialetto è uno degli elementi caratteristici della commedia all’italiana e delle pellicole di Risi –, arriva la sosta per il rifornimento e quindi l’autogrill. Questo è in parte lo spazio simbolo dell’epoca; luogo di ritrovo, di commistioni di culture, di turisti e soprattutto di consumi: la canzone Quando quando quando di Tony Renis in sottofondo, il distributore di sigarette o il cynar liscio. In questo ambiente Roberto inizia ad avere i primi dubbi riguardo il suo futuro e infatti rimane bloccato – in bagno – proprio in quel mondo, una sorta di costrizione, di gabbia, da cui Bruno lo libererà.
Inoltre, la suggestione sull’autogrill e sul consumo verrà amplificata anche nell’episodio Una giornata decisiva del film I complessi (1965), diretto da Dino Risi con Nino Manfredi.
Dopo il pranzo a Civitavecchia i protagonisti si rimetteranno in viaggio, questa volta per andare a trovare gli zii di Roberto verso Grosseto, dove affiorano i ricordi dell’infanzia. Qui Bruno diventerà per Roberto una sorta di lente per mettere a fuoco la realtà sia del passato che del presente, polverizzando le sue certezze. In questa scena viene messo in evidenza, ironicamente, l’arrivo della figura urbana nella società contadina: «Eh non mi dirai che non lo sapevi è così evidente, scusa perché secondo te lo chiamano Occhiofino?», «Hai visto, il cugino Alfredo non è mica figlio di zio Michele, è figlio del fattore», «Guarda ’n po’, la festa campagnola, il twist alla burina». In questa sequenza, Roberto palesa con una frase detta a sé stesso, voce over, la morale e l’orizzonte della pellicola: «Alfredino, se sarò bravo, arriverò dove è arrivato lui, alla Fiat 1005…».
Il tempo passa e il viaggio continua, questa volta verso Castiglioncello, con una gara contro una Fiat 600 e la sosta al Cormorano Night Club, dove Bruno incontra un commendatore di Varese con cui ha avuto degli affari e Roberto decide di tornare a Roma in treno. Ma, dopo il rifiuto di una ragazza, tornerà suoi passi e cercherà di aiutare Bruno in una rissa scoppiata nel locale. I due finiscono la serata bevendo alcuni amari e successivamente partono per andare a casa della (ex) moglie di Bruno, Gianna (Luciana Angiolillo), in Versilia.
Proprio in tale cornice la narrazione verte sul passato di Bruno, il matrimonio in giovane età e l’incontro con l’ormai cresciuta figlia Lilly (Catherine Spaak) e il suo compagno maturo Danilo Morelli (Claudio Gora), ricco imprenditore. Dopo le discussioni familiari, Bruno flirta con Gianna ma viene respinto – come successo in precedenza con tutte le donne che aveva cercato di corteggiare – e decide quindi di uscire di casa con Roberto per andare in spiaggia dove prima di addormentarsi sulle sdraiette finalmente si lascia andare anche ai sentimenti: «Sai una cosa, avessi avuto un fratello l’avrei voluto come te», «l’amore per la donna è mobile come la luna, l’affetto per il fratello è fermo come le stelle» e ancora, «No che cretino, sei in gamba! Sono io che so’ balordo».
La mattina seguente, in spiaggia, Bruno si sveglia nell’affollato marasma balneare con il sottofondo musicale di Pinne fucile ed occhiali. Come per le sequenze precedenti, all’autogrill e al Cormorano Night Club, Bruno sembra essere nel suo habitat naturale. A differenza di Roberto, che in autogrill rimane chiuso in bagno, al Cormorano si sente a disagio e si siede da solo in un tavolo. Tornando alla spiaggia, nella scena successiva, ancora in camicia e pantaloni – rimarrà così per tutta la sequenza – attorniato da ragazzi e ragazze in costume, Roberto cammina su alcuni scogli e scruta ciò che lo circonda, mentre Bruno indossa un costume e si esibisce in una verticale in spiaggia con il pubblico a tifare per lui.
Ma non solo lo sci acquatico, i tuffi in barca o la partita a ping pong, ancora una volta, Bruno, indossa le vesti di quella generazione, emblema dell’epoca che, in una dialogo con Bibì, sembra quasi giustificarsi: «ho avuto una vita difficile, prima la guerra, poi il matrimonio, mi hanno rubato gli anni migliori. Nel ՚56 ho avuto un’annataccia, è dura sa’ a 36 anni andare in giro in filobus».
Merita un approfondimento stilistico la scena in cui Roberto vaga tra le persone che ballano sulle note di Don’t Play That Song cantata da Peppino di Capri. Le inquadrature sono formate da primi piani e particolari delle persone che ballano, stacco e primo piano su Roberto che cammina in mezzo a loro come una presenza fuori dal contesto, stacco e carrellata nuovamente sulla folla fino ad arrivare a Roberto, che da una cabina telefonica prova a chiamare la vicina di casa di cui si era invaghito, Valeria, decidendo così di andare a trovala a Viareggio. Una passerella emblematica tra il vecchio e il nuovo Roberto.
I protagonisti si rimettono in viaggio, ma quella che doveva essere la svolta per Roberto diventa invece la fine della corsa. L’ennesimo sorpasso questa volta non ha lo stesso risultato, dopo alcuni gesti scaramantici: le corna e il tocco del cornetto porta fortuna, o il saluto a un bambino, la Lancia Aurelia precipita fuori strada e si infrange sulla scogliera. Bruno riesce a salvarsi e Roberto no. Ma è tutto quello che precede la caduta a essere interessante. Roberto sembra essere entrato nella parte, elettrizzato chiede a Bruno di andare più veloce, non vuole fare programmi a lungo termine, è felice: «Bruno, ho passato con te i due giorni più belli della mia vita». Proprio nel momento in cui Roberto è riuscito ad adeguarsi, tutto finisce. Dino Risi, cinicamente e nel suo stile, conclude con una metafora sulla società dei consumi, effimera e appagante, ma alla fine corrosiva.
Da Il sorpasso, sono partite altre suggestioni cinematografiche del regista: la tematica vacanziera, così viva e ricca di contraddizioni e di elementi sociologici da imprimere nell’immaginario cinematografico, approfondita tre anni dopo in una pellicola con Enrico Maria Salerno, L’ombrellone (1965); oppure l’importanza dell’automobile come status symbol nell’episodio Vernissage nel film I mostri (1963) con Ugo Tognazzi o ancora il rapporto tra padre e figlio in Il giovedì (1964) con Walter Chiari.
Purtroppo non bastano queste poche righe per descrivere l’universo di Dino Risi. Consideratelo un omaggio personale al miglior regista che la commedia all’italiana abbia mai avuto o, come avrebbe preferito dire, commedia italiana.
Riferimenti bibliografici
G. Manzoli, Da Ercole a Fantozzi. Cinema popolare e società italiana dal boom economico alla neotelevisione (1958-1976), Carocci , 2012.
M. Comand, Dino Risi. Il sorpasso, Lindau, 2007.
E. Giacovelli, C’era una volta la commedia all’italiana. La storia, i luoghi, gli autori, i film, Gremese, 2015.