Maria Concetta Fontana
pubblicato 3 settimane fa in Cinema e serie tv

“Prisma” – Le infinite sfumature dell’adolescenza

“Prisma” – Le infinite sfumature dell’adolescenza

Eravamo solo noi due e il corpo.

Dapprima c’ero io soltanto, lei venne poi.

Con l’urgenza piccola del vento, della pioggia, delle radici…

di tutto ciò che, insomma, non si può controllare, ma semplicemente accade […]

Dovetti, come ogni destino, prenderne atto.

Ispirata al libro di poesie Dolore minimo (Interlinea, 2018) della scrittrice Giovanna Cristina Vivinetto, è arrivata su Prime Video l’attesa seconda stagione di Prisma (2022), serie tv creata dagli stessi sceneggiatori di SKAM Italia (2018), Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo.

Entrambi sanno bene come rappresentare il mondo degli adolescenti con le sue complessità e sfumature, e il risultato ottenuto con la prima stagione di Prisma aveva superato le aspettative, offrendo una delle serie italiane più innovative degli ultimi anni. Soprattutto se si considera un panorama televisivo, in particolare quello indirizzato a un pubblico giovane, che punta agli eccessi delle situazioni e delle storie (vedi il caso delle carceri minorili in Mare Fuori o, prima, dei pariolini di Baby).

Come già fatto con SKAM, che però era l’adattamento di un prodotto norvegese, Prisma riporta l’attenzione sui piccoli drammi quotidiani dell’adolescenza, in una veste registica e fotografica più ambiziosa. Questa caratteristica si esprime anche nella scelta di un’ambientazione che si allontana dal centro, e da Roma si sposta nella provincia di Latina raccontando le vicende di un gruppo di adolescenti alle prese con i problemi tipici di quel periodo in cui si cerca di costruire la propria identità. Un percorso che in realtà, benché segnato dalle scelte prese da giovani, dura tutta la vita.

Ed è proprio questo a rendere le serie tv con protagonisti adolescenti interessanti anche per un pubblico più maturo che può comunque identificarsi in quel miscuglio di incertezze, errori, senso di inadeguatezza e paura di sbagliare. Quel non essere mai del tutto risolti, che a volte si traduce nel sentirsi bloccati in un’eterna adolescenza.

A ciò si aggiunge l’aver messo in scena storie che fino a poco tempo fa raramente venivano trattate dalla serialità televisiva italiana, tematiche legate al mondo queer che quei giovani oggi non più adolescenti non hanno visto rappresentate sullo schermo, ma in cui ora possono finalmente rispecchiarsi.

Il soggetto di Prisma nasce infatti dall’incontro di Urciuolo con Vivinetto all’università, un periodo durante il quale la poeta vive il suo percorso di transizione, caratterizzato dalla presenza di un “doppio”, suo fratello gemello.

Da questo spunto narrativo trovano ispirazione i due autori della serie, che a partire dalla figura di questi “gemelli diversi”, Andrea e Marco, i quali incarnano caratteristiche diverse che a volte però si mescolano, espandono il racconto fino a esplorare l’infinito e fluido mondo di sfumature che è l’adolescenza attraverso una storia corale. La metafora del prisma che riflette la luce donando un arcobaleno di colori rappresenta efficacemente quel tumulto di personalità ed emozioni, un misto di eccitazione, imbarazzo e confusione.

All’esordiente – e promettente – Mattia Carrano spetta il difficile compito di interpretare entrambi i protagonisti, identici nell’aspetto ma dai caratteri opposti. Costretto a ripetere l’anno scolastico dopo essere stato scoperto a spacciare erba a scuola, Andrea è il più ribelle tra i due e ha un atteggiamento protettivo nei confronti del fratello Matteo, più timido, nuotatore in riabilitazione a causa di un incidente al braccio. Attorno a loro gravita un universo di personaggi sfaccettati tra i quali spiccano Daniele, Nina e Carola.

Ognuno di loro è a suo modo un outsider. Matteo non è ben visto dai compagni di nuoto a causa del suo carattere difficile e chiuso. Andrea dietro l’atteggiamento strafottente nasconde una parte di sé che esprime soltanto attraverso un’identità segreta online. Il fatto di essere complementari causa talvolta un rapporto conflittuale, e crescendo le loro identità finiranno per separarsi sempre di più rivendicando ognuna la propria individualità.

Uno dei motivi degli scontri sarà proprio Daniele, interpretato da un Lorenzo Zurzolo molto convincente nel ruolo. Poco più grande dei gemelli, Daniele proviene da un contesto sociale e familiare parecchio diverso, ha lasciato la scuola e frequenta lo stesso club di nuoto di Marco, con cui c’è una certa competizione. Oltre al nuoto, la sua grande passione è la musica, ed è proprio quest’ultima che lo porterà a incrociare inconsapevolmente il suo percorso con l’altro gemello, Andrea.

Le due protagoniste femminili sono invece Carola (Chiara Bordi), ragazza sicura di sé, la cui disabilità viene resa senza moralismi, parte integrante della sua quotidianità ma non la sua storyline principale, e la scontrosa ma anche tenera Nina (Caterina Forza), che ritrovandosi nella stessa classe di Andrea si rivelerà una preziosa alleata nella sua scoperta di un’identità fluida.

Le scene tra i due sono tra le più riuscite, quelle da cui emerge la natura poetica e queer da cui è nata la serie. Molto bello in particolare il momento in cui una notte lui le illumina la strada con il faro della moto mentre lei è in bicicletta, segnando l’inizio di un’inattesa e bellissima amicizia che li porterà a esplorare un rapporto capace di andare oltre i rigidi binarismi di genere, e a proteggersi a vicenda. Dimostrazione del fatto che a volte è più facile confidarsi con persone nuove piuttosto che con coloro che si conoscono da una vita e ci hanno sempre visti in un certo modo.

Bessegato, che con la sua regia ama concentrarsi sugli sguardi e sui non detti, è bravo a cogliere la chimica tra i personaggi, i legami e gli intrecci che pian piano si creano, suggellandoli con scelte musicali efficaci. Inoltre, come ci tiene a sottolineare in varie interviste, non esiste un cattivo ma tutti sono in alcune occasioni l’antagonista di qualcun altro.

Nonostante appartengano a estrazioni sociali diverse, in Prisma non c’è quella tipica e spesso stereotipata divisione tra gruppi. Benché diversi gli uni dagli altri a unirli sono le fragilità e i sogni, che sia trovare il proprio posto nel mondo attraverso lo sport oppure la musica trap, partendo da un capanno abusivo sulla spiaggia in cui sventola una bandiera sarda.

Nella prima stagione di Prisma a differenza delle serie teen americane a cui siamo abituati, o di quelle italiane che cercano di scimmiottarle, le storie emergono per la loro spontaneità e un loro sapore tipicamente locale, in cui i giovani possono facilmente riconoscersi. Si tratta di ragazzi alle prese con scoperte, amori non corrisposti, il desiderio di fuggire e l’urgenza di sperimentare appieno la propria sfaccettata identità. A caratterizzarli oltre alla genuinità di certi sentimenti è l’imbarazzo di situazioni nuove che non si sa come gestire e gli scontri con gli altri, compresi i genitori, ma prima di tutto con sé stessi, con le difficoltà di non riuscire a capire in che direzione si vuole andare.

Grande attenzione va inoltre alla colonna sonora che, proprio come la serie, è un ibrido e alterna sapientemente brani vicini ai gusti musicali dei ragazzi a classici come “Rumore” di Raffaella Carrà, che rendono determinati momenti ancora più iconici. Questa scelta contribuisce anche a donare una sorta di sapore sempiterno alla storia, che, pure nella sua specificità contemporanea, ha qualcosa di universale, fuori dal tempo. Un po’ come il malinconico brano di Andrea Laszlo De Simone, “Vivo”, che con il suo sound e le atmosfere nostalgiche sembra provenire dagli anni Sessanta, bellissimo e tenero sottofondo di una scena dove Andrea si guarda allo specchio.

La seconda stagione, in cui alla co-sceneggiatura Alice Urciuolo è stata sostituita da Francesca Scialanca, purtroppo però perde proprio quella genuinità che aveva caratterizzato la prima, deragliando verso binari in alcuni casi banali o verso una drammaticità non necessaria. Quella spontaneità che non nasceva soltanto dal tipo di racconto ma anche dal modo di narrarlo viene un po’ meno, e la serie sembra peccare di alcuni dei difetti tipici delle serie tv per adolescenti nelle quali emerge il filtro dello sguardo degli adulti che l’hanno scritta.

Se la storia di Andrea e Daniele, sia individualmente che come coppia, continua il suo bel percorso di crescita, fatto di avvicinamenti e scontri, quelli che ne risentono maggiormente sono i personaggi femminili. In particolare Nina e Carola, le cui storyline, pur nel desiderio forse di renderle più indipendenti dalle controparti maschili, risultano però più deboli, con svolte di trama che non convincono o, peggio, affrontano temi delicati in maniera discutibile.

Nonostante alcune imperfezioni e le sbavature della seconda stagione, a Prisma va comunque il merito di essere una serie tv italiana rivolta a un pubblico teen, e non solo, che tratta temi quali il non binarismo di genere attraverso una storia scritta e diretta con cura, in cui si nota l’onestà del racconto e la ricercatezza delle inquadrature. Particolarmente riuscita inoltre la costruzione dei personaggi, merito anche della bravura di alcuni attori, che riescono a restituire con naturalezza la dolcezza e l’impertinenza sfacciata delle contraddittorie emozioni adolescenziali.

Bessegato e Urciuolo hanno creato una serie tv che si rispecchia nella sua ambientazione, Latina. Una provincia dall’identità ibrida, la città di Calcutta e Tiziano Ferro, realtà urbana giovane nata in epoca fascista in cui convivono un grattacielo e una centrale nucleare. La sua essenza camaleontica si integra con le storie dei personaggi, perfetta per rappresentare una generazione sfuggente, che nessuno conosce davvero, per citare la canzone più emblematica di Prisma.