Ludovica Valentino
pubblicato 8 anni fa in Letteratura

La storia di Marina Ivanovna Cvetaeva

la poetessa della desolazione umana

La storia di Marina Ivanovna Cvetaeva

Ci sono al mondo i superflui, gli aggiunti,
non registrati nell’ambito della visuale.
(Che non figurano nei vostri manuali,
per cui una fossa da scarico è la casa).

Ci sono al mondo i vuoti, i presi a spintoni,
quelli che restano muti: letame,
chiodo per il vostro orlo di seta!
Ne ha ribrezzo il fango sotto le ruote!

Ci sono al mondo gli apparenti – invisibili,
(il segno: màcula da lebbrosario)!
ci sono al mondo i Giobbe, che Giobbe
invidierebbe se non fosse che:

noi siamo i poeti – e rimiamo con i paria,
ma, straripando dalle rive,
noi contestiamo Dio alle Dee
e la vergine agli Dei!

Marina Ivanovna Cvetaeva è una voce originale, sicuramente tra le più genuine poetesse della Russia del XX secolo. Originaria di Mosca, mosse i suoi primi passi in un ambiente profondamente favorevole, ricco di stimoli artistici. La cvetaevamadre fu una pianista, il padre, Vladimirovic Cvetaev, fu un importante filologo e storico d’arte, nonché insegnante all’Università di Mosca, creatore e direttore del Museo Rumjancev, oggi intitolato a Pushkin.
Non c’è dunque da stupirsi se Marina cominciò a scrivere poesie alla sola età di sei anni.

Marina leggeva Dumas, Goethe, Pushkin, Hauff… formava quello che sarebbe stato il suo bagaglio, la sua grande formazione di base. La svolta letteraria avviene nel 1910, in seguito alla pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, “Album serale”.
La sensibilità della giovane donna, il talento ancora inviolato, vagamente acerbo, viene notato da poeti del calibro di Gumiliov, Briusov e Volosin. Sarà proprio Volosin ad essere fondamentale successivamente nella vita della poetessa; casa Volosin era il fulcro di una brillante e stimolante vita intellettuale, nessun autore di rispetto mancava di farvi visita, Volosin stesso volle la poetessa come sua ospite.
Fu proprio in quell’occasione cMarina Tsvetaeva and Sergei Efron_ 1912_he avvenne uno dei più significativi incontri nella vita di Marina, quello con Sergej Efron, suo futuro marito. La poetessa racconta: “Nella primavera del 1911 in Crimea ospite del poeta Max Volosin incontro il mio futuro marito, Sergej Efron. Abbiamo 17 e 18 anni. Decido che non mi separarerò da lui mai più in vita mia e che divento sua moglie.

L’amore
è lama? è fuoco?
Più quietamente – perché tanta enfasi?
È dolore che è conosciuto come
gli occhi conoscono il palmo della mano
come le labbra sanno
del proprio figlio il nome.

Da quei brillanti anni in poi, il dolore, la tragedia raggiunse Marina Ivanovna Cvetaeva, trascinata lentamente in un oblio dal quale purtroppo non riemerse mai più.

nei5Marina pubblicò altri libri, come “Lanterna magica” e “Da due libri”, diventò madre, visse sulla sua stessa pelle la drammatica rivoluzione bolscevica nell’Ottobre del 1917, contro le sue previsioni e i suoi intimi desideri, fu costretta a separarsi dal marito che si unì all’armata bianca.

Iniziò così l’esodo della poetessa, trasferitasi prima, temporaneamente a Berlino, successivamente a Praga.
Nella capitale ceca Marina e Sergej tempo dopo si ricongiunsero, ebbero un terzo figlio, Mur, e vissero anni di apparente tranquillità.
Malauguratamente il periodo di stabilità e serena quiete iniziò a vacillare, mostrando il preludio di una terrificante crisi.

Sergej fu costretto a partire, prima per la Spagna e successivamente per la Russia, in seguito al suo presunto coinvolgimento nell’uccisione di due uomini (tra cui il figlio di Trotskij, Andrej Sedov). Marina decise successivamente di seguirlo e tornare in patria, sfortunatamente il terreno che trovò non era più fertile e il rifiuto alle sue opere non fece altro che alimentare miseria attorno alla poetessa ormai emotivamente sfinita.

La Russia, la sua patria, la rifiutava: Marina era fuggita, aveva abbandonato le sue radici in cerca di fortuna lontano dalla sua vera casa. La miseria produceva un’eco incredibile in questo isolamento.

O lacrime agli occhi!
Pianto d’ira e d’amore!
O Boemia in lacrime!
Spagna nel sangue!

O nera montagna
che ha tolto ogni luce!
È tempo – è tempo – è tempo
di ridare il biglietto al Creatore.

Mi rifiuto – di esistere.
Nel bailamme dei non-uomini
mi rifiuto – di vivere.
Coi lupi nelle piazze

mi rifiuto – di ululare.
Con gli squali delle distese
mi rifiuto di nuotare –
giù – nella corrente delle schiene.

Non ho bisogno di cavità
auricolari, né di occhi che vedono.
Al tuo mondo dissennato
una sola risposta – il rifiuto.

L’estate del 1939 segnò il definitivo tracollo: una delle figlie fu fucilata, l’altra deportata in un campo di lavoro, Sergejmarina era stato ucciso in quanto traditore della causa, nemico del popolo.

Marina chiese aiuto, chiese solidarietà, ma la sua richiesta cadde inascoltata e condizioni di vita divennero per lei insopportabili. L’ultimo giorno d’Agosto dell’anno 1941, Marina Ivanovna Cvetaeva si impiccò alla trave della casa che aveva affittato.

La poetessa quel giorno lasciò un biglietto, ma questo scomparve per mano della polizia.
Sembra che la vera intenzione fosse quella di cancellare il suo ricordo, privarla di ogni dignità.

Nessuno sa dove fu sepolta.
Il 3 Settembre, al suo funerale, non si presentò nessuno.

Ai miei versi scritti così presto,
che nemmeno sapevo d’esser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille dai razzi.

Irrompenti come piccoli demoni
nel sacrario dove stanno sogno e incenso,
ai miei versi di giovinezza e di morte,
versi che nessuno ha mai letto!

Sparsi fra la polvere dei magazzini,
dove nessuno mai li prese né li prenderà,
per i miei versi, come per i pregiati vini,
verrà pure il loro turno.