Non si giocano volée con il boia Pinochet!
Cile ’76 tra sport e politica
La Coppa Davis è la massima competizione per le nazionali maschili di tennis e, ogni anno, tiene incollati allo schermo milioni di telespettatori. Diciotto squadre che si affrontano con la formula a eliminazione diretta, in una sfilata di campioni pari ai mondiali di calcio o di rugby. Quarantacinque anni fa però, in piena Guerra Fredda, questa manifestazione sportiva assunse un valore diverso: divenne la sfida di un gruppo di tennisti italiani a uno dei dittatori più feroci che il ’900 ricordi. Questa storia esaltante quindi non coinvolse solo i tifosi ma gli ideali politici, la geopolitica internazionale e la vita di molte persone.
Italia, 1976. Sono i difficili anni di piombo, segnati dall’austerity che il governo deve imporre per la crisi petrolifera, dallo scandalo Lockheed e dal processo ai neofascisti del massacro del Circeo. Un periodo complicato che vede, all’estero, l’elezione del presidente statunitense Jimmy Carter e la nascita di nuove forme di governo in Cambogia (con i Khmer rossi), in Africa (con Bokassa che si autoproclama imperatore) e in Messico (con José López Portillo). La difficile situazione internazionale è solo un condimento della Guerra Fredda che, dalla fine del secondo conflitto mondiale, divide il mondo in due aree di influenza: da un lato i sostenitori del modello statunitense, dall’altro di quello socialista.
In questo contesto, la squadra italiana di tennis composta da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli, Corrado Barazzutti e il capitano Nicola Pietrangeli raggiunge la finale della Coppa Davis, dopo aver compiuto un cammino incredibile, umiliando 4-1 gli inglesi nel tempio tennistico di Wimbledon e battendo gli australiani 3-2 al Foro Italico di Roma.
Ma in questi anni lo sport non è indipendente dal contesto politico. Fino al 1973, la Coppa Davis era stata vinta solo da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Australia/Australasia (nome usato per le squadre miste di australiani e neozelandesi).
Nel 1974 arrivarono in finale l’India e il Sudafrica (superando rispettivamente l’Unione Sovietica e l’Italia): per la prima volta la coppa non avrebbe avuto i soliti vincitori. L’India, però, si rifiutò di scendere in campo contro i rappresentanti del regime politico razzista dell’apartheid e il Sudafrica vinse senza giocare la finale. Quella contro il Sudafrica era una lotta internazionale che perdurava dalle olimpiadi di Tokio del 1964, quando il Comitato Olimpico Internazionale decise di ritirare l’invito per il paese africano dopo aver saputo che il governo di Pretoria non avrebbe permesso agli atleti neri di partecipare ai giochi. Il Sudafrica venne anche escluso dalle olimpiadi del 1968 e dal CIO nel 1970.
La Regina Elisabetta II si impegnò per raggiungere l’accordo di Gleneagles che, nel 1977, vedeva uniti tutti i paesi del Commonwealth delle nazioni per contrastare il razzismo, ostacolando il Sudafrica, con qualsiasi mezzo economico o simbolico. L’esempio del boicottaggio del Sudafrica è emblematico per capire l’atteggiamento tipico di quegli anni.
La finale della Coppa Davis 1976 si sarebbe tenuta in casa dell’altra squadra finalista, il Cile, giunto in finale dopo che i suoi avversari sovietici si erano rifiutati di scendere in campo. Un altro caso di boicottaggio legato stavolta alla terribile repressione messa in atto, nel paese latino-americano, dal feroce dittatore golpista e filo franchista Augusto Pinochet. Il generale aveva preso pieni poteri, tre anni prima, dopo un violento colpo di stato che rese, per la prima volta, la data dell’11 settembre sinonimo di tragedia.
Ma occorre fare un passo indietro per capire come sia avvenuto e quanto questo golpe abbia influenzato l’opinione pubblica internazionale.
Nel 1970, il candidato filomarxista Salvador Allende vinse le elezioni presidenziali cilene con quasi il 40% delle preferenze. Una vittoria democratica che però, nel contesto internazionale, minava decisamente gli equilibri del duopolio mondiale. Con la vittoria di Castro a Cuba nel 1959 gli Stati Uniti avevano già perso una pedina fondamentale nello scenario latinoamericano ed eventi come la crisi dei missili del 1963 rischiavano di indebolire il modello occidentale agli occhi del mondo. Il nuovo presidente Richard Nixon, con l’aiuto del consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger, scelse di seguire la linea delle covert operations, appoggiando colpi di stato nei paesi dove era necessario allontanare la minaccia comunista (per l’America Latina si parla di “Operazione Condor”).
Con l’appoggio americano e il controllo dell’esercito, il generale Augusto Pinochet riuscì a prendere il potere l’11 settembre 1973 e, dopo la morte di Allende – che si suicidò quando comprese di essere rimasto solo –, instaurò un regime di terrore il cui obiettivo era l’eliminazione di tutte le forze di opposizione. Lo stadio nazionale venne temporaneamente trasformato in un enorme campo di concentramento al cui interno avvenivano persecuzioni, torture, interrogatori violentissimi che, per le donne, terminavano con stupri di gruppo da parte dei soldati carcerieri. Si calcola che circa 130.000 individui vennero arrestati nei tre anni seguenti e che molti di loro vennero, letteralmente, fatti sparire. Il fenomeno dei desaparecidos, divenuto successivamente famoso con l’Argentina di Videla, venne attuato per la prima volta sotto il controllo dispotico di Pinochet: gli oppositori venivano arrestati di notte, quando erano soli e senza nessun testimone presente, il loro arresto non veniva notificato, le famiglie non venivano allertate e, molto spesso, questo girone infernale terminava con i voli della morte: i prigionieri venivano sedati e gettati, ancora vivi, da aerei o elicotteri militari nell’Oceano Atlantico.
Il golpe cileno ebbe un’eco incredibile in tutto il mondo. In Italia il segretario del Partito comunista Enrico Berlinguer ne venne a tal punto scosso da ragionare sul rischio di una concreta rinascita del fascismo mondiale, decidendo quindi negli anni successivi, assieme al segretario della Democrazia cristiana Aldo Moro, di raggiungere un’alleanza politica senza precedenti: il compromesso storico.
La nazionale di tennis qualificata alla finale, dunque, non era soltanto un evento sportivo da festeggiare ma un caso politico su cui riflettere e un’ulteriore possibilità di manifestare la nostra opposizione nazionale agli eventi cileni.
Pinochet era solo l’ultimo dei dittatori a vedere nello sport un’occasione per propagandare l’immagine di un paese forte all’interno e all’esterno dei confini nazionali. Dai tempi dell’antica Roma il panem et circenses era lo strumento primario per ottenere consensi e le dittature del ’900 ereditarono tale atteggiamento: basti pensare ai mondiali di calcio del ’34 e del ’38 utilizzati da Mussolini per elevare il fascismo, le olimpiadi del ’36, fiore all’occhiello della Germania nazista, i mondiali del ’78 usati da Videla per nascondere la povertà e la violenza dietro l’albiceleste campione del Mondo. Come si poteva impedire tutto questo? Con il boicottaggio.
L’opinione pubblica italiana, infatti, si schierò quasi totalmente in favore del boicottaggio, con numerosi cortei sostenuti dallo slogan non si giocano volée con il boia Pinochet, con l’identificazione dei tennisti come fascisti arricchiti e pronti a svendere la figura del paese davanti al vile denaro, con la voce di Domenico Modugno che scrive una canzone (La ballata della Coppa Davis) in sostegno della scelta astensionista.
Il governo, che vede la guida di Giulio Andreotti, non prende posizione, aspetta. I comunisti vogliono il boicottaggio ma capitan Pietrangeli e i tennisti vogliono giocare.
Andreotti, per allontanare dal governo ogni responsabilità, passa la palla al CONI che, però, si affida al parere della Federazione. Il ruolo decisivo lo avrà, infine, lo stesso Enrico Berlinguer, l’ideatore dell’euro-comunismo, che si muove in direzione contraria rispetto all’Unione Sovietica. Berlinguer matura la decisione dopo essersi consultato con il leader comunista cileno Luis Corvalán, che gli suggerisce di evitare un boicottaggio che si sarebbe potuto rivelare vantaggioso per il consenso nazionalistico di Pinochet. Contro ogni pronostico la decisione viene presa: la nazionale giocherà la finale in Cile.
La partita decisiva si gioca a Santiago, allo stadio nazionale, lo stesso nel quale tre anni prima sono avvenute le indicibili violenze della dittatura; eppure lo stadio si presenta in festa, con gli spalti colmi di tifosi – i posti vennero addirittura aumentati prima della partita – e il generale nella tribuna d’onore. È in quel momento che Adriano Panatta, scelto da Pietrangeli per giocare il doppio, dice al suo compagno di squadra Bertolucci:
Paolo, oggi ci mettiamo le magliette rosse.
Adriano Panatta, figlio del custode del Tennis Club Parioli, è da sempre un uomo di sinistra e un cuore ribelle pronto alla provocazione. Quel colore non è la prima scelta della nazionale – la prima maglia è del classico azzurro italiano e la seconda è di tonalità verde – ma Adriano vuole dare prova del suo sostegno alla causa degli oppressi e decide così di provocare il dittatore, nello stadio simbolo dei suoi crimini. Bertolucci teme ritorsioni ma, dopo averci pensato, si lascia convincere: gli italiani scendono in campo con la duplice motivazione sportiva e di giustizia.
La partita è un successo italiano. Dopo aver perso il primo set i nostri giocatori non sbagliano più un colpo e, dopo tre ore di battaglia e un cambio di maglia all’ultimo set – il successo va celebrato con i colori italiani –, la coppa è nostra.
Il boicottaggio di un evento sportivo ricorrerà spesso durante la Guerra Fredda: gli esempi più clamorosi saranno quelli delle olimpiadi di Montréal 1976 (gli stati africani non si presentarono in blocco dopo la mancata esclusione della Nuova Zelanda, che aveva dato sostegno al governo sudafricano); delle olimpiadi di Mosca 1980 (edizione a cui non parteciparono gli Stati Uniti e una sessantina di loro alleati per protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan dell’anno precedente) e le successive olimpiadi di Los Angeles 1984 (furono i sovietici, stavolta, a boicottare la festa sportiva statunitense, non presentandosi assieme a numerosi loro alleati).
Fonti
Libri:
Paolo Carusi, I Partiti Politici Italiani dall’Unità ad oggi, Studium 2015.
Loris Zanatta, Storia dell’America Latina contemporanea, Laterza 2012.
Raffaele Nocera, Stati Uniti e America Latina dal 1823 a oggi, Carocci 2016.
Sergio Giuntini, L’olimpiade dimezzata. Storia e politica del boicottaggio nello sport, Spedizioni 2009.
Lorenzo Fabiano, Coppa Davis 1976. Una storia italiana, Mare verticale 2016.
Video:
La maglietta rossa, di Mimmo Calopresti, prodotto e distribuito da Cinecittà Luce.
Collegamenti esterni: