Paragrafo 175: Karl Gorath e i dannati tra i dannati
Secondo il paragrafo 175 del Codice penale tedesco, entrato in vigore il 15 maggio 1871, «un uomo che ricopre un ruolo, attivo o passivo, in un atto di fornicazione è punito con la reclusione». Il Secondo Reich tedesco, nato dalla battaglia di Sedan e dalla sconfitta di Napoleone III, considera l’omosessualità una malattia, una predisposizione da contrastare. Non è inusuale vedere uno stato ottocentesco avere un atteggiamento ostile nei confronti del mondo omosessuale ma ciò che spaventa è la data in cui il paragrafo 175 è decaduto: il 10 marzo 1994. Sì, avete letto bene. Neanche ventisette anni fa.
Per oltre cento anni, dall’Ottocento alla fine della Guerra Fredda, passando per il nazismo, milioni di persone sono state perseguitate, più o meno brutalmente a seconda del periodo storico, solo per ciò che erano, per il modo in cui amavano.
Questa è la storia di Karl Gorath che, come molti altri uomini, ha vissuto cercando il suo posto in un paese che non tollerava neanche la sua esistenza.
Karl Gorath nasce a Bad Zwischenahn, vicino Brema, il 12 dicembre 1912. Studia infermieristica e a diciannove anni trova lavoro in ospedale. È il 1931, sono gli anni della Repubblica di Weimar. Nel mezzo di un’esplosione artistico-culturale, nonostante le autorità non cancellino mai il paragrafo 175, l’atteggiamento generale non è solo tollerante ma addirittura a favore della libertà sessuale. Solo a Berlino erano presenti circa quaranta locali per omosessuali e travestiti, luoghi come l’Eldorado sembravano essere una zona franca dove la legge contro la promiscuità non aveva valore.
Ma nel 1933 tutto cambiò radicalmente.
La vittoria elettorale del Partito Nazionalsocialista di Hitler sigla la fine della libertà sessuale, con una serie di limitazioni e persecuzioni verso il mondo gay (i gestori dei locali furono costretti prima a fornire una lista dei frequentatori più assidui e, successivamente, a chiudere) e un inasprimento del paragrafo stesso che, con la sua modifica del giugno 1935, rendeva l’omosessualità un crimine grave come lo stupro o la violenza sessuale sugli animali. Nella versione del 1935 (così come nella successiva modifica del 1969) è presente una frase ricorrente con minime variazioni; nella sua prima apparizione è:
…mit einem anderen Mann Unzucht treibt oder sich von ihm zur Unzucht missbrauchen lässt.
Questa espressione non è facile da tradurre in italiano perché, in contesto sessuale, Unzucht treiben descrive una persona che fa qualcosa ad un’altra. Per questo motivo le pene divennero insostenibili: dieci anni di reclusione che, con l’apertura dei primi lager, significavano una vera e propria condanna a morte.
Karl, come molti altri, è costretto a vivere una doppia vita fra pubblico e privato ma non rinuncia a ciò che è. Purtroppo, però, in una notte del 1938 accade l’impensabile: un suo amante, geloso della sua vita libertina, decide di denunciarlo alla Gestapo che, immediatamente, lo arresta. Viene condotto al tribunale di Brema, davanti al giudice Rabien che lo condanna alla massima pena detentiva nel campo di concentramento di Neuengamme, vicino Amburgo.
Occorre fare una piccola digressione storica per spiegare un particolare, apparentemente scontato, che sarà decisivo per gli eventi successivi. Nei campi di concentramento, i prigionieri avevano tutti la stessa uniforme a righe contrassegnata da un piccolo triangolo sul petto che cambiava colore a seconda della colpa che li aveva condotti in quel luogo di morte. Il più tristemente noto è il triangolo giallo (che spesso veniva sovrapposto a un altro capovolto per formare la stella di David) che indicava gli ebrei ma altrettanto diffusi erano il triangolo rosso (sul petto dei comunisti e degli oppositori politici) e quello rosa (per gli omosessuali).
Quando Karl viene internato riceve il triangolo rosa, ma vive poco la realtà del campo perché trasferito in un ospedale militare dove, con lo scoppio della seconda guerra mondiale (1939), c’è una grande necessità di infermieri professionisti. Tuttavia, il suo compito non è curare i soldati tedeschi (un omosessuale non è ritenuto all’altezza), quanto i prigionieri di guerra polacchi e sovietici, curati per poi essere inviati come schiavi nelle fabbriche tedesche, con i quali fraternizza. È proprio per salvare la vita ad alcuni di loro che Karl mette enormemente a rischio la sua: molti prigionieri vengono lasciati morire di fame e, per aiutarli, Gorath decide di contrabbandare del cibo. Viene colto sul fatto, accusato di alto tradimento, catalogato come comunista e spedito nel campo di Auschwitz.
Il triangolo diventa rosso e, per quanto possa sembrare assurdo, forse questo migliorò la sua condizione.
Nei lager di maggiori dimensioni come Auschwitz, infatti, gli omosessuali subivano angherie e torture orribili: anzitutto, erano emarginati dagli altri prigionieri perché, questi ultimi, temevano di essere identificati a loro volta come gay e peggiorare le loro già precarie condizioni di sopravvivenza; erano costretti ad avere rapporti eterosessuali (in alcuni campi come Flossenbürg erano presenti dei bordelli appositamente per questo scopo) e, infine, il lato peggiore: quello dell’eugenetica. Pseudo dottori (veri e propri macellai del Reich) che, convinti di poter curare l’omosessualità, eseguivano esperimenti scientifici con tasso di mortalità superiore al 60%. Gli omosessuali erano delle vere e proprie “cavie umane” costrette spesso alla castrazione o, nella peggiore delle ipotesi, a farsi impiantare delle ghiandole artificiali di testosterone “per sanare la devianza omoaffettiva”. In questo terribile scenario, molti internati richiedevano addirittura spontaneamente la castrazione, nella speranza di uno sconto di pena.
Heinz Heger, all’epoca studente ventenne, venne condannato al lager per aver avuto una relazione con il figlio di un gerarca del Reich e visse per cinque anni gli orrori cui gli omosessuali erano destinati. In un suo scritto, pubblicato nel 1972, fu il primo a parlare di queste atrocità e, raccontando di come sia sopravvissuto vendendo il suo corpo agli aguzzini (alcuni dei quali, paradossalmente, non disdegnavano rapporti omosessuali) pur di non farsi uccidere, definì gli omosessuali nei lager i dannati fra i dannati. Heger rappresenta, senza dubbio, la fonte diretta più ricca di particolari e dettagli per questa storia, grazie alla quale è stata possibile una ricostruzione fedele delle temibili violenze attuate nei campi.
Karl Gorath riuscì a scampare alle torture e alla castrazione ma visse l’orribile esperienza del lager fino al gennaio del 1945 quando, con l’Armata Rossa ormai vicina ad Auschwitz, venne trasferito a Mauthausen dove rimase per circa tre mesi. Lasciato senza cibo per giorni, venne rilasciato all’inizio di maggio in gravissime condizioni: pesava meno di cinquanta chili, disidratato e provato dalla dissenteria, faceva fatica a restare in piedi. Fortunatamente, gli Alleati erano ormai entrati in Germania e, dopo averlo trovato privo di sensi, un medico francese riuscì a salvargli la vita.
In dodici anni di nazismo, erano stati oltre centomila gli omosessuali perseguitati, arrestati e detenuti; di questi circa quindicimila vennero condotti nei campi della morte. Dato l’elevato numero di vittime, gli storici hanno coniato il termine Omocausto.
Ma per Karl l’inferno non era finito.
Nel 1947 fu nuovamente arrestato.
Occorre fare di nuovo una breve digressione storica. Alla fine del conflitto, gli Alleati scelsero di non stravolgere il sistema tedesco e di affidarsi alle leggi preesistenti e alle più alte cariche militari e civili per mantenere l’ordine in un paese fortemente provato dalla guerra. Se non sconvolge pensare agli scienziati hitleriani negli alti ranghi della Nasa o gli ufficiali del Reich alla guida dell’esercito della nuova Germania Ovest, non stupirà nemmeno sapere che il giudice Rabien era rimasto esattamente dove si trovava nove anni prima. Quando Karl lo vide, sconvolto, disse:
Sei ancora qui? Ma come è possibile?
Il paragrafo 175 era ancora in vigore e, se nella Germania Est era tornato nella sua versione del 1871, nella Germania Ovest vigeva ancora la versione nazista. Fu così che Karl venne nuovamente condannato, stavolta al carcere, con una pena detentiva di cinque anni.
Scontata la pena, era un uomo distrutto che aveva trascorso in prigionia dodici degli ultimi tredici anni. Considerato un rifiuto della società, con la fedina penale macchiatadal mancato rispetto del paragrafo 175, non riusciva a trovare lavoro e si vide negato non solo il sussidio di disoccupazione ma, addirittura, la sussistenza minima garantita ai superstiti dei lager. Visse di espedienti fino agli anni ’60, quando ottenne nuovamente un impiego.
Il paragrafo 175 venne più volte modificato nel corso degli anni nelle due Germanie: nella Germania Est la legge venne alleggerita nel 1968 e abrogata nel 1988; nella Germania Ovest venne modificata e alleggerita nel 1969, prima di essere nuovamente inasprita nel 1973. Solo nel 1994 venne finalmente abrogata.
Karl Gorath riuscì a sopravvivere alla legge che, per tutta la vita, lo aveva perseguitato. Nel 1989 ottenne finalmente l’indennità di guerra di 500 marchi e decise di raccontare la sua esperienza al mondo intero. Nel 2000, i registi Rob Epstein e Jeffrey Friedman lo hanno voluto nel loro documentario Paragraph 175 (miglior documentario al Festival di Berlino quell’anno), nel quale sono raccolte le testimonianze di cinque omosessuali tedeschi sopravvissuti alle angherie naziste e ai difficili anni successivi (oltre a quella di Karl sono raccolte le storie di Heinz Dörmer, Pierre Seel, Albrecht Becker e Heinz F.).
Karl Gorath si è spento nel 2003, a 91 anni, finalmente libero di essere sé stesso.
Fonti
Libri:
Heinz Heger, Gli uomini con il triangolo rosa, Edizioni Sonda, Milano 2019.
Marco Vignolo Gargini, Paragrafo 175. La memoria corta del 27 gennaio, Tralerighe Editore, Lucca 2016.
Paul Gerhard Vogel, Karl Gorath, Emsland (District), Pink Triangle, Friedrich-Paul Von Groszheim, Persecution of Homosexuals in Nazi Germany and the Holocaust, Betascript Publishing, Mauritius 2010.
Film
Paragraph 175, di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, Stati Uniti d’America.
Articoli
«Il fatto quotidiano» – L’Olocausto 71 anni dopo
«Il fatto quotidiano», su Gli uomini con il triangolo rosa
«Vanilla Magazine» – Karl Gorath: l’omosessuale che fu internato ad Aushwitz e poi in un carcere tedesco