Peaky Blinders: la vera storia
Una strada deserta, una città spenta e abbandonata allo squallore, un paesaggio cupo come la storia a cui stiamo per assistere. Entra in scena un uomo a cavallo che avanza sicuro e col volto coperto da un berretto, i pochi abitanti che s’intravedono fanno di tutto per non incrociare il suo sguardo. Parte improvvisamente una musica metallica, martellante, sinistra, con un blues quasi ipnotico:
He’s a man, he’s a ghost, he’s a god, he’s a guru.
La canzone è Red Right Hand di Nick Cave e le sue parole sono perfette per descrivere la misteriosa e glaciale figura che stiamo per conoscere: Thomas Shelby. Così inizia Peaky Blinders, serie tv del 2013, della BBC.
Siamo nell’East Midland, a Birmingham, nel 1919, una città in mano alla gang dei Peaky Blinders, criminali elegantemente vestiti, che prende il suo nome dall’abitudine di celare lame da barba nelle falde del berretto (Peak) per accecare i suoi avversari (blinding). La famiglia Shelby gestisce il mercato delle scommesse clandestine e, grazie alle strategie geniali del suo capo Thomas, nonché all’uso della violenza, tiene sotto scacco la polizia e l’intera città, con l’intento di elevare il suo status per raggiungere il Gotha della società.
Questa storia così avvincente nasce dalla mente dello sceneggiatore inglese Steven Knight ma è tratta da una serie di vicende reali verificatesi nella Birmingham di fine ’800.
La situazione di Birmingham, nel 1870, era una delle più complesse: città aveva una pessima reputazione a causa delle numerosissime slogging gangs che infestavano praticamente ogni strada. Questo nome, usato la prima volta nel 1820 per descrivere i pugili più abili, deriva dal termine slogger (‘uno che picchia duro’ o ‘picchiatore’) e indicava i delinquenti dei quartieri più poveri che aggredivano malcapitati e poliziotti al fine di derubarli o di opporsi alle leggi. Queste bande non erano presenti solo a Birmingham ma lì avevano una diffusione quasi capillare dovuta al fortissimo senso di affiliazione per la propria strada.
La strada infatti era definita il parco giochi dei poveri e, per la classe sociale più bassa, rappresentava l’unica possibilità di avere dei rapporti sociali. Non era raro che nascessero amori e relazioni importanti tra i residenti. Per la difesa e l’esaltazione del proprio gruppo sugli altri si creava quindi una realtà quasi familiare e solidale. Questo fenomeno era accentuato dall’endogamia e dalla matrilocalità: in altre parole, i poveri tendevano a sposare una persona del vicinato e le mogli preferivano vivere vicino le madri per crescere la prole.
Le slogging gangs tendevano dunque a contrastarsi tra loro mettendo a ferro e fuoco le piazze o gli incroci fra le strade di appartenenza e, alcuni quartieri, come quello di Garrison Lane (che nella serie dà il nome al pub di ritrovo degli Shelby) erano inaccessibili, soprattutto di notte. Le bande spesso si ritrovavano nelle strade di appartenenza per svagarsi, praticando sport di strada o giochi, spesso vietati dalla legge, e quando la polizia interveniva la prassi era che i delinquenti, prevalendo in numero sugli agenti, riuscissero a fuggire. La legge, d’altronde, non prevedeva pene troppo severe per reati come le percosse a un pubblico ufficiale, il furto o il disturbo della quiete pubblica e, anche per questo, il fenomeno si protrasse almeno fino agli anni 90 dell’800.
È proprio il 1890 l’anno in cui, per la prima volta, la stampa utilizza un nuovo termine per descrivere le slogging gangs: le bande di Peaky Blinders.
Ma cosa era cambiato? Il motivo di questa nuova nomenclatura trova la sua spiegazione nel nuovo vestiario tipico dei malviventi: pantaloni stretti sulle ginocchia ma a zampa d’elefante con bottoni perlati, scarponi chiodati, cintura con fibbia, giacca lunga e nera, fazzoletto bianco al collo, capelli rasati sui lati ma con una lunga frangia lasciata cadere sulla fronte e coperta da una bombetta (o un berretto a 8 spicchi) dalla tesa allungata. Ed è proprio la bombetta che, nella serie tv, spiega il nome della gang… ma era realmente così? In effetti quello delle lamette è il primo mito da sfatare: non esistono prove che dimostrino l’uso delle lamette nei berretti e, anche se il rasoio a mano libera (la cui lama, però, non era removibile) era venduto in quegli anni, rappresentava un oggetto molto costoso e i poveri (classe cui appartenevano i Peaky), non potendolo comprare, andavano dal barbiere, perché più economico; bisognerà aspettare il 1910 per il rasoio Gillette a lametta monouso ma, in quel momento storico, i veri Peaky Blinders erano quasi del tutto scomparsi. Ma allora, da cosa deriva il nome? Sempre dal cappello: la tesa allungata veniva lasciata cadere su uno degli occhi, rendendo impossibile la vista, ecco dunque che il cappello (peak) andava ad accecare (blinder) il proprietario.
L’abbigliamento era fortemente influenzato dal censo; ma in quale classe sociale è possibile inserire i Peaky? La bell-bottom crew (altro nome della gang derivante dai pantaloni indossati), come detto, era la diretta discendente delle slogging gangs ma non erano un gruppo dialienati dalla società civile, di estranei alla comunità: in termini occupazionali non appartenevano alla “feccia urbana” di delinquenti disoccupati, poiché ritenuti non idonei al lavoro, ma alla classe operaia. Dunque criminali molto diversi dai più agiati allibratori illegali visti nello sceneggiato.
Nella prima stagione della serie televisiva vediamo una città “in mano” ai Peaky Blinders. Ciò crea disagio addirittura a Winston Churchill che, per risolvere il problema, invia sul posto, direttamente da Belfast, il temutissimo ispettore capo Campbell: irlandese protestante, nemico dei comunisti, dell’IRA e dei delinquenti, diviene il principale villan dei protagonisti. Nella realtà storica a Birmingham c’è stato davvero un capo della polizia protestante che veniva da Belfast che diede il suo contributo per sconfiggere la gang: si chiamava Charles Haughton Rafter e prese servizio nel 1899. Rafter, proprio come Campbell, non si fida della preparazione della polizia locale, chiede rinforzi da Belfast e, grazie all’aiuto delle istituzioni, promuove una campagna di arruolamento pretendendo specifiche caratteristiche dai suoi nuovi poliziotti: che siano forti fisicamente, pronti a sporcarsi le mani, dediti all’allenamento ed esperti di legge. Lo stesso Rafter agiva in prima persona per proteggere cittadini e commercianti dalle angherie dei malviventi ed era universalmente benvoluto dalla gente perbene.
A differenza di ciò che vediamo nella serie la popolazione spesso collaborava con la polizia e ci furono episodi di aiuto diretto per smascherare i malfattori.
Ed è proprio in questo contesto che troviamo un’altra grande differenza fra sceneggiato e realtà: una delle famiglie schierate con la legge era quella dei Changretta che non erano un gruppo di mafiosi siciliani ma un’onesta famiglia italiana, originaria del frusinate. La famiglia era arrivata a Birmingham nell’800 con Martino Ciangretta (poi inglesizzato Changretta nei documenti) ed apparteneva alla piccola e pacifica comunità italiana in fuga dalla miseria.
Ma cosa pose fine al dominio dei Peaky Blinders? Non c’è dubbio che l’Ispettore capo Rafter ebbe un ruolo dominante nell’eliminazione della minaccia della gang “zampa d’elefante” aiutato da altri due fenomeni importantissimi.
Il declino delle gang, nella realtà storica, comincia con il nuovo secolo ed è dovuto ad un diverso atteggiamento delle autorità nei confronti delle classi più disagiate: per evitare che i giovani più poveri si trascurassero o decidessero di entrare nelle gang, il governo inglese fece aprire numerosi circoli ricreativi, aperti ogni sera e con un costo d’iscrizione basso (in media un penny a settimana), in cui era possibile praticare sport e imparare le regole dei giochi da tavolo. Questi circoli erano gestiti da enti caritatevoli come quello del sacerdote anglicano Arnold Pinchard che divenne noto a livello nazionale. Tra gli sport, la boxe ebbe un ruolo fondamentale per attrarre e educare i giovani. Le parole della storica Sarah Wise spiegano bene il perché:
… avevano capito che il modo migliore per coinvolgere i poveri era formalizzare una passione preesistente; così le risse e i pestaggi di strada, che di solito avvenivano a mani nude e provocavano ferite, furono trasformati in un’occupazione disciplinata, strutturata e moralmente accettabile.
L’altro grande evento che pose fine alla delinquenza di strada fu di portata mondiale: la chiamata alle armi del 1914 costrinse nelle trincee tutte le classi sociali e numerosi Peaky Blinders si ritrovarono al fronte a fianco dei poliziotti o dei cittadini che solitamente malmenavano. La prima guerra mondiale ebbe un impatto fortissimo nelle menti della giovane generazione delle trincee: una guerra combattuta con armi micidiali ma con strategie vecchie di un secolo costò la vita a milioni di uomini e mutò qualcosa in tutti coloro che tornarono a casa. Nella serie televisiva vediamo Arthur Shelby fortemente traumatizzato e suo fratello Thomas, che appare glaciale in pubblico, in privato è dipendente dall’oppio per dimenticare gli orrori del fronte.
Nella realtà a cambiare fu la mentalità di strada: prima della guerra i poveri erano totalmente incuranti di tutto ciò che fosse d’interesse pubblico, dopo la guerra anche i meno abbienti si sentirono parte di qualcosa di più grande e tutto ciò che era pubblico andava rispettato, in ricordo del sacrificio dei loro commilitoni.
E cosa dire dei principali personaggi della serie televisiva? Anzitutto è necessario chiarire che una vera famiglia Shelby non è mai esistita ma lo stesso Steven Knight ha detto:
… i miei prozii appartenevano al clan degli Sheldon che nella fiction sono diventati gli Shelby. Erano bookmaker ed erano conosciuti da tutti come i Peaky Blinders.
Una famiglia Sheldon è effettivamente esistita a Birmingham ed era realmente legata a bande di criminali coinvolti in risse, sparatorie e guerre fra gangs. Samuel Sheldon ebbe numerosi figli fra i quali spiccano i nomi di Thomas, Arthur e John ma, a differenza di ciò che avviene nella fiction, i primi due non dedicarono la vita al crimine. Non si può dire lo stesso di John che, a quindici anni, era già un pregiudicato e, dopo aver sposato la sua fidanzata Ada (che nella serie è il nome di sua sorella minore), portò avanti un racket di finti bookmaker autorizzati che prosperava ricattando quelli reali.
Alcuni personaggi dell’universo di Peaky Blinders, invece, sono realmente esistiti ma con delle storie diverse da quelle descritte nella fiction. Uno di questi è il temibile Billy Kimber: nato nel 1882 a Birmingham (e non a Londra), nel quartiere malfamato di Summer Lane da una famiglia non dedita al crimine, scelse giovanissimo di delinquere e, appena dodicenne, ebbe la prima delle sue numerose condanne (quattro vergate in pubblico, una condanna utilizzata con i criminali colti sul fatto e minori di sedici anni) ma questo non ammansì il suo carattere. Kimber aveva molto in comune con gli Sheldon essendo un ladro che non esitava ad usare la violenza ma, a differenza dei finti Shelby, divenne un boss di fama nazionale, mettendosi alla guida di una gang di stampo mafioso.
Altro personaggio iconico della serie è Alfie Solomons, interpretato da Tom Hardy, a capo di una gang di ebrei ortodossi che ostentano la kippah. Il vero Alfie di cognome faceva Solomon, non era religioso e non era scappato dallo Zar ma originario di Londra, era un criminale con la passione per il gioco d’azzardo e, al contempo, un eroe della prima guerra mondiale che aveva lottato per il suo paese. Altro criminale realmente esistito è Darby Sabini che, nella fiction, appare come un mafioso italoamericano simile a il Padrino, che si esprime in una lingua che fa incontrare l’accento dell’Italia meridionale e il cockney (il dialetto della Londra popolare). Il vero Sabini era un criminale a capo di una slogging gangs, era italiano d’origine ma si sentiva pienamente inglese, non era siciliano ma parmense, si chiamava Ottavio detto Darby perché cosi, nel linguaggio della boxe, si chiamavano i pugili mancini. Questi tre malviventi si scontrarono fra loro in quella che è passata alla storia come la guerra degli ippodromi del 1921, una lotta fra bande per controllare i centri ippici che garantivano lauti guadagni, dalla quale è stato preso spunto per le vicende narrate nelle prime due stagioni della serie.
Il personaggio di Oswald Mosley è realmente esistito, con ben poche differenze rispetto a quello romanzato dalla BBC. Il capo dell’Unione britannica dei fascisti ebbe grande rilevanza nella storia dell’Inghilterra, avversaria di Hitler e Mussolini , idoli di Mosley che ne esaltava invece l’ideologia.
La serie, ispirata perciò a fatti realmente accaduti, lascia aperte numerose questioni. Sarà interessante vedere, nelle prossime stagioni, fino a che punto saranno intrecciate realtà e finzione.
Cosa direbbe a riguardo Thomas Shelby? Probabilmente:
… Il passato non è un mio problema e il futuro non è una delle mie preoccupazioni.
Fonti
Libri:
Carl Chinn, La vera storia dei Peaky Blinders, Mondadori, Milano 2020.
Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Mondadori, Milano 2009 (ristampa).
Oswald Mosley, My Life, Black House Publishing, Londra, 2012 (ristampa).
Film:
Steven Knight, Peaky Blinders (stagioni 1-5), BBC, 2013- in corso.