Culturificio
pubblicato 2 anni fa in Favole selvagge

Racconti peruviani

Racconti peruviani

Due recenti raccolte di racconti sembrano instaurare un dialogo stimolante tra la letteratura peruviana dei primi decenni del secolo XX e quella attuale. La prima è I due soras di uno dei massimi poeti del Novecento, ovvero César Vallejo (1893-1938). L’opera in prosa di Vallejo «non è meno degna di lettura della sua poesia» afferma perentoriamente César Aira nel Diccionario de autores latinoamericanos e di sicuro la pensa così anche Monica Rita Bedana, che nella prefazione definisce il creatore di Trilce un precursore del Boom ispanoamericano. Osserva inoltre la studiosa: «non c’è nulla che Cortázar, Márquez o Borges abbiano scritto e che Vallejo non abbia in un certo modo anticipato, nelle sue parabole». Negli ultimi anni i lettori italiani hanno scoperto Vallejo narratore grazie a libri come il romanzo Tungsteno, cruda denuncia delle condizioni di vita dei minatori andini, il mesto Paco Yunque, incentrato sul primo giorno di scuola di un bambino indio, Guerra verticale, in cui brillano i racconti fantastici “Al di là della vita e della morte”, “Quelli di Cayna” o “Cera”, e la nouvelle Favola selvaggia, una storia di doppi “magistrale, tortuosa e strana” (così la definisce Aira). Composti tra il 1931 e il 1936 e inediti nella nostra lingua, i cinque brevi testi contenuti in I due soras sono affini ai titoli elencati in precedenza per le tematiche – in particolare “Il ragazzino del canneto” e “Saggezza” potrebbero essere capitoli espunti da Favola selvaggia –, ma non per la forma. Nulla di strano, pur nella compattezza di temi Vallejo è stato sempre un instancabile sperimentatore, come dimostra ampiamente la sua produzione poetica. I suoi ultimi racconti sono di una semplicità ingannevole. I finali, bruschi ed enigmatici, ci obbligano quasi sempre a una rilettura e risultano spiazzanti proprio come l’apparizione improvvisa dei due indios soras in un villaggio moderno:

«Chi sono?».

«Sono selvaggi dell’Amazzonia».

«Sono due criminali, scappati di prigione».

«Sono guaritori, curano la malattia del sonno».

«Sono stregoni».

«Sono discendenti degli Inca».

La seconda raccolta è Lejos. Sedici racconti dal Perù, edita da Gran via (curiosamente i titoli di due romanzi di questa casa editrice provengono da versi di Vallejo: L’illusione monarca dell’argentino Marcelo Cohen e Mai e poi mai il fuoco della cilena Diamela Eltit). Lejos è il sesto numero di Dédalos, una collana che esplora la cuentística latinoamericana. Se Tierras. Tredici racconti dal Messico, l’esordio di Dédalos, aveva dato spazio afigure canoniche (come Mario Bellatin, Margo Glantz, Guadalupe Nettel o Juan Villoro), le successive antologie hanno proposto soprattutto voci emergenti. Lejos accoglie autori nati negli anni Settanta e Ottanta, quasi tutti inediti nel nostro Paese con l’eccezione di Diego Trelles Paz, Santiago Roncagliolo e della giornalista Gabriela Wiener. E forse, in questa raccolta eterogenea, sono proprio i nomi meno noti la sorpresa più piacevole: ci riferiamo in particolare a Katya Adaui, che con “Tutto quel che ho lo porto con me” ricorda il “tempo fuor di sesto” del celebre “Viaggio al seme” di Alejo Carpentier; a Juan Manuel Robles con il dickiano e labirintico “Costellazione nostalgia”; a Claudia Ulloa Donoso con il minimalista “Uccellino”; a Jennifer Thorndike che, con l’impressionante “La morte aveva le nostre dita”, narra la campagna di sterilizzazione forzata avvenuta in Perù alla fine del secolo scorso e ci presenta un monologo degno di un classico della cinematografia latinoamericana come Sangue di condor (1969) del boliviano Jorge Sanjinés.

«Gli uomini che passavano da lì le insultavano, tiravano loro avanzi di cibo. Loro piangevano e gridavano. So che sentivano che avevamo tolto loro una funzione vitale, ma le autorizzazioni raccontavano una storia diversa: sterilizzare per liberare, sterilizzare per controllare l’aumento della popolazione, sterilizzare per eliminare i gruppi più arretrati. Però gli uomini del paese non lo capivano».


I due libri che segnalo sono:

César Vallejo, I due soras e altri racconti, traduzione di Lisa Bartolotta, Monica Rita Bedana, Elena Bogni, Elena Cataldo, Genny Elisabeth Cerrone, Lisa Galliazzo, Beatrice Spanò Greco, Lindau dicembre 2021.

Autori vari, Lejos. Sedici racconti dal Perù, a cura di Maria Cristina Secci, Gran via 2022 (i traduttori di questa antologia hanno frequentato il corso di Laurea Magistrale in Traduzione Specialistica dei Testi presso la Facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari).


I testi narrativi di César Vallejo citati nell’articolo sono:

Favola selvaggia, traduzione di Raul Schenardi, Edizioni Arcoiris 2014.

Guerra verticale e altri racconti, traduzione di Luigi Marfé, Arkadia 2018.

Paco Yunque, traduzione di Marino Magliani e Riccardo Ferrazzi, illustrazioni di Federica Orsini, Lo studiolo 2017.

Tungsteno, traduzione di Francesco Verde, Sur 2015.

Impossibile non menzionare la recente uscita di Trilce (a cura di Lorenzo Mari, Argolibri 2021), una delle raccolte più importanti e innovative della letteratura latinoamericana del XX secolo.

di Loris Tassi