Lelio Camassa
pubblicato 1 anno fa in Letteratura

Su Pia de’ Tolomei

Su Pia de’ Tolomei

Fra i resti del Castel di Pietra a Gavorrano (in provincia di Grosseto), si apre un’ampia fenditura in un muro che si affaccia su uno strapiombo, divorato dalle erbe. Il luogo ha il fascino decadente delle rovine medievali. Il suo magnetismo è amplificato dalle voci popolari che si susseguono, da secoli, in merito a ciò che vi sarebbe accaduto sul finire del Duecento: l’assassinio di una donna, una contessa, evento da cui deriva il nome che ancora oggi identifica quell’affaccio, il ‘salto della contessa’.

La storia è stata avara di notizie sull’episodio, e le poche pervenute restano discordi. I più curiosi possono impugnare la Commedia e, leggendo il canto V del Purgatorio, cercare una parziale soddisfazione alla loro sete di notizie. La contessa del ‘salto’, infatti, è una certa Pia, donna senese ritratta in un celebre dipinto di Dante Gabriele Rossetti e in tante altre opere figurative. Nella Commedia, si rivolge dolcemente a Dante durante il suo passaggio nel cosiddetto antipurgatorio, fra i negligenti morti di morte violenta, che si sono pentiti dei loro peccati solamente all’ultimo respiro. I versi, oltre che per il loro significato sfumato, sono celebri per la delicatezza e la musicalità, al punto da essere stati definiti un «capolavoro di retorica sepolcrale» da Francesco Bausi:

«Deh, quando tu sarai tornato al mondo / e riposato de la lunga via» […] / «ricorditi di me, che son la Pia; / Siena mi fé, disfecemi Maremma: / salsi colui che ’nnanellata pria / disposata m’avea con la sua gemma» (Purgatorio, V, 130-136).

Il significato di questi versi, ancora oggetto di indagini filologiche e critiche, è pressappoco il seguente: «Quando sarai tornato nel mondo dei vivi e ti sarai riposato della lunga strada, nelle tue preghiere ricordati di me, che sono Pia: sono nata a Siena, sono morta in Maremma: lo sa colui che, dopo che prima ero stata promessa [a un altro], mi ha sposato con un suo anello».

Sono parole essenziali, che contornano una lieve figura di donna e la sua triste vicenda amorosa, ma che coprono con un alone di indecifrabilità poetica la loro storicità. Può darsi, come suggerisce Giorgio Inglese, che Dante dia per scontato che i suoi lettori conoscano le vicende personali di Pia, oppure che ritenga inutile aggiungere dettagli a una figura femminile dipinta con poche e sublimi pennellate.

Grazie ai versi di Dante e ai commentatori antichi, Pia è stata tradizionalmente associata alla famiglia dei Tolomei di Siena; dopo la fine o l’annullamento del primo matrimonio, si sposa con Nello Pannocchieschi della Pietra, un signorotto della Maremma, il quale l’avrebbe uccisa o fatta uccidere, per gelosia o per contrarre nuove e più convenienti nozze. In realtà, ci si muove su un terreno scivoloso quando si tenta di identificare storicamente Pia, dato che, nel testo di Dante, tace sia il suo casato sia quello del marito; per di più, le fonti antiche sono parecchio confuse e in disaccordo persino su elementi macroscopici, come appunto il casato della donna. Bisogna allora limitarsi prudentemente alla lettera del testo e ai suoi effetti: la scarna e misteriosa storia personale di Pia, consegnata all’immortalità solo per le poche parole che le fa pronunciare Dante, mettono quasi in ombra gli altri episodi memorabili del canto V, come l’uccisione di Iacopo del Cassero e l’apocalittico trapasso di Bonconte da Montefeltro, e la fanno rientrare a buon diritto tra le figure femminili più significative del poema. E quindi, cos’è che ammalia tanto di questa figura?

In primis, un latente fascino del male. Pia è colpevole: si trova in antipurgatorio ed è condannata ad aspettare prima di poter espiare i suoi peccati. Le fonti antiche parlano di adulteri e atteggiamenti lascivi, che avrebbero indotto il marito a ucciderla, e questa interpretazione è rinforzata dal richiamo a distanza con l’episodio di Paolo e Francesca (protagonista di un altro canto V, quello infernale, e anche lei uccisa dal marito, per una relazione adulterina col cognato).

A ben vedere, non si dice di cosa sia colpevole la donna, ma lo si può dedurre. Ad esempio, uomini di potere come Bonconte e Manfredi sono ragionevolmente destinati alle cornici della superbia, dell’avarizia o, al massimo dell’ira, perché queste sono le colpe che in genere Dante associa ai potenti. Nel caso di Pia, essendo vittima di violenza matrimoniale, è plausibile che il suo peccato abbia a che fare con la sfera privata, quindi affettiva. Le ipotesi sono due: forse è rimasta vedova, e nel Medioevo si pensava che le donne avanti con l’età, che avevano dunque già provato i piaceri della carne, fossero più propense a cadere nel peccato sessuale. Tuttavia, si deve anche considerare che il diritto canonico giudicava un peccato mortale rompere una promessa di matrimonio, come in effetti sembra che abbia fatto Pia, destinata a sposare qualcun altro («’nnanellata pria») prima che si unisse al marito assassino.

Questa interpretazione rende ancora più detestabile il crimine dell’uomo, causa non solo della morte di Pia, ma anche del suo transito nel purgatorio; lei stessa sembra risentita con il marito, al quale si riferisce con una lunga perifrasi dal sapore spregiativo («colui che…»), quasi a formulare un’accusa precisa nei suoi confronti, essendo egli rimasto impunito.

Si può allora facilmente intuire quale sia il secondo motivo per cui Pia risulti tanto attraente e ammaliante, dal punto di vista letterario. È dignitosa, per non dire pudica: non nomina il suo casato e non chiede a Dante di essere ricordata presso la sua famiglia (come invece fanno altre anime del purgatorio), quasi abbia in qualche modo screditato il buon nome della sua casata, se ne vergogni e ritenga una sua rivalutazione post mortem del tutto inattuabile. In effetti, la richiesta di pregare per lei è diretta al pellegrino in persona, mentre per gli altri purganti Dante è un semplice intermediario fra loro e le rispettive famiglie.

Infine, Pia ha un modo tutto particolare di ricordare le sue nozze: l’atto del dono dell’anello (la «gemma»), un momento carico d’emozione anche settecento anni fa. Nella triste commemorazione delle sue sventure, Pia conclude rievocando l’istante forse più gioioso della sua vita coniugale, il che, se da un lato acuisce la colpevolezza del marito uxoricida, dall’altro restituisce l’immagine di una donna tenera e sentimentale.

Dai pochi versi a disposizione del lettore, allora, emerge un ritratto di donna forse più profondo di quello che le congetture storiche vorrebbero (e a lungo sono riuscite a) tramandare. La Pia che Dante ritrae è una donna risentita col marito eppure dolce nel rievocarne il gesto nuziale; è plausibilmente un’adultera o una donna che manca alla parola data, ma è riservata al punto da parlare poco e voler salvaguardare il buon nome della famiglia (al contrario di Francesca da Rimini, che fa di tutto per essere identificata); è ancora attaccata al mondo, perché ne ricorda con letizia le emozioni, ma pure proiettata verso l’eternità, come dimostra la sua richiesta di essere ricordata nelle preghiere di Dante. E, infine, è quasi materna nel preoccuparsi che Dante si riposi dal suo lungo e difficoltoso tragitto ultramondano («riposato de la lunga via»).

Insomma, è una donna dalle tante sfaccettature o, per dirla con Bausi, «mossa e complessa»: umana quindi, e tanto più vicina all’idea dell’umano che oggi viviamo.


BIBLIOGRAFIA

Dante Alighieri, Commedia, a cura di A. M. Chiavacci Leonardi, Mondadori 2005.

Dante Alighieri, Commedia, a cura di G. Inglese, Carocci, 2007.

F. Bausi, Due o tre cose che (non) sappiamo di lei. L’autoepitaffio della Pia, «Cahiers d’études italiennes», 33/21, ed. digitale.

G. Casagrande, ‘Purgatorio’ V: «inanellare» / «disposare», «Studi danteschi», LXIII/2007, pp. 45-63.

M. Picone, Canto V, in Lectura Dantis Turicensis, Franco Cesati, 2001, pp. 71-83.

M. Santagata, Le donne di Dante, Il Mulino, 2021, pp. 156-166.