Vicente Huidobro, “Manifesti”
L’autore della Favola selvaggia di febbraio è Vicente Huidobro (1893-1948), “uno dei fondatori della nuova poesia latinoamericana”, per citare un importante studio di Saúl Yurkievich. “Necessità di un’estetica creata dai poeti” proviene da Manifesti (volume pubblicato poche settimane fa da Edizioni Arcoiris), una polemica raccolta di scritti teorici e poetici pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1925. Manifesti è un’opera importante perché ci permette di conoscere il pensiero di Huidobro sulle avanguardie artistiche, ma è anche un testo spartiacque nella produzione del grande scrittore cileno che qui, per la prima volta, espone in modo dettagliato la sua teoria creazionista.
Bisogna creare.
L’uomo ormai non imita. Inventa, aggiunge ai fatti del mondo, nati in seno alla Natura, fatti nuovi nati nella sua testa: una poesia, un quadro, una statua, una nave a vapore, una macchina, un aeroplano…
Bisogna creare.
Ecco la caratteristica dei nostri tempi.
Necessità di un’estetica creata dai poeti
Così come le leggi della chimica devono essere stabilite da un chimico, e quelle dell’astronomia o della fisiologia devono essere tracciate da un astronomo o da un fisiologo, le leggi della poesia non saranno mai precise se non saranno elaborate dai poeti.
I filosofi o i medici che parlano di poesia corrono il rischio di non capire nulla e di confondere tutto. Parlano dall’esterno quando invece è necessario trovarsi all’interno per poter approfondire la questione.
Questo è ciò che ci dimostrano gli esempi citati dalle persone che parlano di poesia dall’esterno. In tutte le scienze esistono gli uomini di laboratorio, che sono quelli che contano veramente per le persone addentro, e i volgarizzatori, che quasi sempre hanno una maggiore visibilità, poiché la loro arte è più facile e conferisce loro una grande popolarità.
Quali sono i poeti citati nei saggi sulla poesia scritti da quelli provenienti dall’esterno? Sono quei poeti che non significano niente per i veri poeti. Ecco perché tutte le teorie basate su tali esempi crollano.
Lessi, anni fa, in una rivista, un articolo dei dottori Antheaume e Dromard sull’ispirazione. E sapete quali poeti erano citati ed esaminati dai due dottori? José María Heredia, Sully Prudhomme, François Fabié, Auguste Dorchain, Émile Trolliet.
Dopodiché, il diluvio.
Non posso dire che in quell’articolo non ci fosse niente da salvare: c’erano anche spunti interessanti. Ma, all’improvviso, lo sguardo cadeva su mostruosità come la seguente:
L’arte è creatrice grazie alla forma con la quale utilizza i prodotti che sono in suo possesso; tuttavia non scopre questi prodotti, ma li trova già dati. In realtà, l’emozione non può che scaturire da rapporti fissati dall’ereditarietà e che hanno – per così dire – acquisito un diritto d’uso.
Quello che avete appena letto è senz’altro vero per un medico, ma tutti sappiamo che è assolutamente falso e ingenuo per un poeta.
Sapete qual è la poesia analizzata da Frédéric Paulhan nel suo libro Psychologie de l’Invention? È Tristesse de David, di Roger Dumas.
La lista di casi analoghi è interminabile. Gli stessi dottori Antheaume e Dromard dicono, nell’articolo già citato, che «l’immaginazione è la facoltà dominante delle società primitive, e si indebolisce e si ammala quando la ragione si perfeziona».
Per un poeta che conosce e capisce la poesia attuale, questa affermazione è completamente gratuita, poiché per lui l’immaginazione si perfeziona di pari passo con la ragione. L’immaginazione diventa ancora più complessa, si espande, riesce a conquistare zone insospettate, vasti territori, che restano inaccessibili per molto tempo ai contemporanei del poeta, a coloro che, non comprendendolo, lo accuseranno di essere troppo moderno e inintelligibile, senza capire che queste sue opere non sono altro che il risultato di un’immaginazione perfezionata.
Forse lo capiranno i giovani studiosi delle generazioni successive1, perché sarà diventato più abituale, più maneggevole, e allora lo citeranno nei loro studi, escludendo e negando, a loro volta, la poesia dei giovani poeti della loro epoca, cadendo, così, immancabilmente, nella stessa incoerenza in cui erano caduti i loro nonni.
Vorrei sapere che cosa direbbero gli studiosi che stanno in laboratorio riguardo a studi sulla scienza fatti da qualcuno che citasse a ogni pagina, per appoggiare la sua tesi, Gustave Le Bon o Jaworski.
In generale, gli studi sull’Arte realizzati da coloro che si definiscono uomini di scienza sono ridicoli così come lo sarebbero gli studi sulla scienza fatti da artisti senza un’adeguata cultura scientifica. Mi ha stupito molto trovare il nome di Mallarmé circondato da elogi e da giuste osservazioni in un libro di Le Dantec. Ma questo è un caso eccezionale, più unico che raro.
E come volete che un medico o un biologo non si sbagli quando un poeta, un artista come Théophile Gautier ha affermato, parlando di El Greco, che questo meraviglioso pittore aveva creato capolavori «pur essendo pazzo». È vero che Théophile Gautier è un poeta di notevole mediocrità, ma la grandezza di El Greco dovrebbe essere evidente a tutti.
È necessaria un’estetica della poesia fatta dalle persone addentro, dagli iniziati, e non da coloro che guardano da lontano.
(Vicente Huidobro, Manifesti, traduzione di Loris Tassi, Edizioni Arcoiris, dicembre 2021)
di Loris Tassi
1 Volete vedere la profonda differenza che c’è tra una generazione e un’altra? Oggi André Breton esalta estasiato la notte dei lampi, ieri René Doumic, in un numero della Revue des Deux Mondes (ottobre, 1904), protestava indignato contro l’immagine superba di uno Shakespeare che scrive «in una specie di allucinazione, in una notte in cui sgorgano i lampi» [N.d.A.].