Federico Musardo
pubblicato 9 anni fa in Letteratura

Le luci del bene e le ombre del male

una progressione morale oppure immorale?

Le luci del bene e le ombre del male
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Sant’ Agostino, Canterbury

Il significato dei termini “bene” e “male”, mai opposti se non teoricamente e sempre interdipendenti, si trasforma attraverso l’evoluzione del pensiero filosofico.
Accarezzando da profano una “filosofia della morale”, vorrei analizzare, en passant, alcune conquiste dell’essere umano, fuor di dubbio significative perché – come Achille che rincorre la tartaruga nel paradosso di Zenone- sembrano raggiungere una “verità universale” che non raggiungeranno mai; non a causa dell’imperfezione umana, quanto piuttosto per via della molteplicità ed eterogeneità dei significati che le parole “bene” e “male” possiedono.
Il gran numero di scritti all’interno dei quali sorge la questione prima dell’avvento del Cristianesimo non ne consente un’analisi soddisfacente; basti ricordare Platone ( “il mito di Er”) per l’antica Grecia ed Aristotele per il mondo romano, sorprendentemente “moderno” grazie alle suggestioni che ricordano il “libero arbitrio”, argomento che sarà peculiare di un pensatore del calibro di Sant’Agostino, un rivoluzionario eterodosso di immenso valore culturale.
Egli in vita fu avvicinato ad una religione chiamata “manicheismo” ( nonostante scrisse un “De libero arbitrio” proprio contro i Manichei), eppure è divenuto uno degli uomini simbolo della Cristianità. Perché?

È necessaria una piccola descrizione di questo credo antico.
Mānī, profeta iranico, contamina i concetti della religione cristiana attingendo in particolar modo dalla filosofia buddista e dal culto di Zarathuštra.
La scissione tra le due entità, benigna e maligna, viene sottolineata ed emerge dal sottosuolo etico; se parlassimo di taoismo e confucianesimo, diremmo “yin” e “yang”, tenebre e luce.

Un breve cenno, attraversando gli anni, merita il dualismo cataro, un’eresia bassomedievale in cui è evidente, a partire dal nome, la contrapposizione tra il principio del “bene” e del “male”, l’opposizione tCosì_parlò_Zarathustra.djvura materia e spirito.

Sperando di sconfiggere la noia, attraversiamo rapidamente la storia fino alla fine del Settecento, spendendo a riguardo poche battiture per arrivare altrove, alla modernità.
Il secondo Shelling si occupa del male è lo reputa “necessario”; Kant ne sostiene l’esistenza in una manifestazione radicale.
Il bene è progressivamente soffocato e sopravvive pieno di affanno.
Trapassando qualche generazione e richiamando di nuovo lo Zoroastrismo, come dimenticare “ Così parlo Zarathustra” di Friedrich Nietzsche?
Senza cogliere il dettaglio di questo scritto, ne ricordo un altro, “Al di là del bene e del male”, datato 1886.
In quest’opera Nietzsche rende manifesto un superamento della dicotomia bene/male. La morale viene arginata, le sue leggi ignorate; si giunge passo dopo passo ad una fase di “nichilismo” più o meno dinamico: non basta qualche parola per analizzare tali speculazioni ed interpretarle, tuttavia è importante avere la consapevolezza che sono il cuore e la base delle moderne dottrine filosofiche; la mente corre a Michel Foucault, quando in alcuni discorsi parlò dei cosiddetti “fondatori di discorsività” ( riferito a Marx per l’economia politica e Freud per la psicanalisi). Sintetizzando –male e superficialmente- diremmo che “la materia di studio è infinita”.
Durante il secolo scorso, avvenute le brutalità del nazismo, la celebre “questione della colpa” divenne protagonista delle –neonate- chiacchiere mediatiche e, più profondamente, di un dibattito etico e filosofico di vasta portata.
Coinvolse intellettuali quali Karl Jaspers e Hannah Arendt che, a prescindere dall’ufficiale “processo di Norimberga”, ragionarono sulla natura del male e sul coinvolgimento del popolo tedesco tra le meccaniche della dittatura.

Hannah Arendt

Hannah Arendt

Jaspers stabilisce quattro declinazioni della colpa, ovvero criminale, politica, morale e metafisica. Hannah Arendt, soprattutto a causa delle vicende biografiche, ne scriverà diffusamente, soprattutto attraverso il celebre saggio “ La banalità del male”, pubblicato nel 1963 e focalizzato sul processo ad Eichmann, un vecchio gerarca: si procede dal particolare all’intero.
Per concludere aggirando il tedio, i concetti di “bene” e “male” sono in perpetua evoluzione e, tuttavia, non sono stati ancora chiarificati.
Se dovessimo prestare fede al libero arbitrio, il singolo individuo avrebbe facoltà di giudicare, personalmente, i comportamenti altrui, elaborando un giudizio altrettanto personale.
La strada per un trionfo del “male” o piuttosto dell’indifferenza è purtroppo tracciata; verso il bene, individuale, collettivo, universale che sia, al contrario, è nascosta e poco battuta.