Perché la sessione invernale è così tremenda?
ovvero del perché ogni mattina una gazzella si sveglia e sa che dovrà scappare dal leone
Che cosa succede realmente al nostro cervello nel momento in cui ci sediamo di fronte al professore per sostenere un esame? Quale tipo di meccanismo supporta la sensazione di “vuoto mentale” che accompagna i primi istanti di interrogazione?
Nessuno di noi studenti universitari sarà poi troppo stupito nell’apprendere che, secondo una ricerca pubblicata nel 2000 dall’APA (December issue of the American Psychological Association’s, Journal of Personality and Social Psychology.), il livello di ansia di un bambino in età scolare di questi nostri anni zero si attesta -più o meno- attorno allo stesso livello di attivazione fisiologica manifestato da un bambino della stessa età, ma affetto da conclamata patologia psichiatrica, degli anni ’50. Da questa ed altre ricerche si evince che il prezzo della postmodernità sembra essere calcolabile proprio rispetto all’aumento medio delle patologie collegate allo spettro dell’ansia e della depressione, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti.
Ma di che stiamo parlando quando ci riferiamo ad uno stato di ansia?
I manuali diagnostici si dilungano nel descrivere le varie patologie che presentano come caratteristica principale lo stato di ansia nelle sue forme più disparate, con diversi livelli di pervasività ed intralcio al normale svolgimento delle mansioni di vita quotidiana.
La maggior parte delle volte però, prima di un esame, la nostra “ansia” è traducibile con: attivazione fisiologica intensa di risposta ad uno stimolo esterno od interno percepito come rilevante e potenzialmente lesivo o pericoloso. Insomma, il nostro cervello processa le informazioni provenienti dall’esterno (l’aula, l’appello, il libretto universitario sul banco), le confronta con i ricordi dei nostri esami passati (apprendimento), le passa in rassegna rispetto ai brutti sogni della notte prima (rimuginazioni), le unisce alle facce da funerale delle persone che quell’esame non lo hanno passato (apprendimento vicario) e intanto controlla attraverso i nervi lo stato del resto del nostro corpo, di solito già predisposto all’attacco: “ma no dài figurati, quello lì non è cattivo, vado lì e lo stendo!” o alla fuga: “ no, no, no io me ne torno a casa ci vediamo a Giugno. Addio”. Risultato? L’adrenalina sale, il livello di cortisolo -chiamato anche ormone dello stress- a livello plasmatico schizza alle stelle, aumenta la pressione sanguigna (così da sentire meno dolore; si tratta di un regalino dell’evoluzione: con la pressione a tremila la nostra soglia del dolore va in modalità supereroe), aumenta la conduttanza cutanea (mani sudate, fronte grondante nonostante sia febbraio) e, soprattutto, vasocostrizione viscerale e minor apporto di ossigeno al cervello [Lacey,1967].
Il professore ci chiama e noi più che ad un esame ci stiamo predisponendo a fuggire da un leone affamato, ecco perché la sensazione è di non essere presenti a sé stessi: in quel momento non siamo la nostra testa, bensì le nostre gambe, le quali vorrebbero scappar via all’istante. Ovviamente invece che fuggire ci dirigiamo comunque verso la cattedra. Una gazzella, invece, non si dirigerebbe mai verso il leone; come è possibile?
La risposta risiede ancora una volta nel nostro cervello.
L’essere umano ha sviluppato nel corso dell’evoluzione una porzione molto più grande, densa e complessa di cervello che gli altri mammiferi non hanno modificato in egual misura. Tale parte di encefalo prende il nome di corteccia prefrontale ed ha anche il compito di ridimensionare l’allarmismo di altre aree come l’amigdala (sistema limbico ndr), che invece condividiamo con il resto dei mammiferi, e che si attiva a prescindere, appena rileva qualcosa che non va all’interno del nostro ambiente, soprattutto se si tratta di eventi percepiti come negativi.
Quindi, riassumendo, possiamo affermare che: lo stato di attivazione generalizzata che chiamiamo ansia è un normale meccanismo difensivo messo in atto dal nostro sistema limbico e dal nostro sistema nervoso autonomo. Il ruolo di questi due sistemi per migliaia di anni è stato difenderci dai predatori, quindi non stupiamoci della reazione esagerata, anni or sono era questione di vita o di morte! Tuttavia l’evoluzione , a seguito di anni ed anni di civilizzazione, ha favorito lo sviluppo di altri sistemi pronti a fronteggiare queste pavide reazioni primitive qualora non si tratti esattamente di una esecuzione capitale. Insomma, è anche attraverso le connessioni cerebrali bilaterali amigdala-corteccia prefrontale che riusciamo a ridimensionare la paura ed affrontare in maniera dignitosa la nostra sessione invernale.