“Picnic sul ciglio della strada” di Arkadij e Boris Strugackij
Anno 19… la Terra sembra come trapassata da parte a parte da sei fori di proiettile. Ora esistono tre zone in un emisfero e tre in un altro, in cui vengono ritrovati alcuni manufatti. Il primo enigmatico contatto con quelli che gli abitanti credono essere alieni viene denominato “Visita”, ma neanche gli scienziati riescono a dare una spiegazione all’accaduto. Sono in grado di formulare solamente delle ipotesi: è come se gli esseri umani avessero fatto un picnic su ciglio della strada e gli animali, scappati al loro arrivo, fossero tornati trovando le tracce di questa visita senza però comprendere il senso degli scarti lasciati.
Nasce così l’immaginario della Zona raccontata in Picnic sul ciglio della strada del 1972 (Picnic na obočine) dai fratelli Arkadij e Boris Strugackij (la cui versione non deturpata dai tagli della censura vede la luce in italiano grazie alla traduzione di Diletta Bacci e Paolo Nori per Marcos y Marcos) e a cui il regista Andrej Tarkovskij si ispirerà per uno dei capolavori del cinema sovietico: Stalker (1979).
Il carattere eterotopico della Zona – recintata e supervisionata dai militari – si dispiega enigmaticamente su un paesaggio industriale che a prima vista sembra «una terra come qualsiasi altra» (lo stesso termine con il quale viene indicato questo luogo “altro” non può non richiamare quella “zona” con cui si designa uno spazio all’interno di un lager sovietico). Si distingue dagli altri luoghi per l’assenza di persone, né vive né morte, e per i pericoli causati dagli oggetti rimasti e dalle trappole presenti nell’ambiente (non visibili a prima vista) a seguito della Visita.
Gli unici che osano sfidare i controlli di sicurezza addentrandosi illegalmente per recuperare questi manufatti e rivenderli sono gli stalker. Uno dei più abili è Redrich Schuhart, tecnico di laboratorio nella filiale di Harmont dell’Istituto internazionale delle civiltà aliene che, insieme al collega Kirill, si avventura nei rischiosi – e a volte mortali – meandri della Zona alla ricerca di un relitto chiamato “conchiglie”: due dischi paralleli che, apparentemente, non sono legati tra loro. L’atmosfera che si respira nel non-luogo della Zona ricorda le parole di Mark Fisher nel suo The Weird and the Eerie: «Il senso dell’eerie è di rado ancorato a spazi domestici circoscritti e abitati: li incontriamo più di frequente in paesaggi parzialmente svuotati della presenza umana. Che cos’è avvenuto per originare quelle rovine, quell’assenza? Che genere di entità è coinvolta?».
Tutte queste domande relative al concetto di eerie coincidono con i quesiti rimasti irrisolti riguardo la Zona. Un simile scenario, così desolatamente surreale ma altrettanto abitato da forze e nature esplosive, spinge l’essere umano che vi si addentra a riflettere sulla finitezza della sua conoscenza. Messo di fronte alle prove di un passaggio alieno sulla Terra rimane come gli uomini delle caverne davanti al fuoco che, nel tentativo di capire il senso di ciò che hanno davanti si scottano e quando non riescono a trovare una spiegazione, attribuiscono queste proprietà a qualcosa di magico.
Ed è esattamente dall’impossibilità di afferrare la logica degli artefatti extraterrestri che scaturiscono leggende e interpretazioni mitiche sulla natura della Zona e di ciò che vi si può trovare. L’indecifrabilità degli oggetti porta anche a una nomenclatura apposita: ecco che quella che sembra una ragnatela argentea probabilmente foriera di morte diventa la “Gelatina di strega”, e una pallina dorata prendere il nome di “Sfera d’oro”. Quest’ultima, poi, diventa il soggetto di una leggenda secondo la quale chiunque si trovi nei suoi paraggi veda esauditi i suoi desideri più reconditi.
L’assunto secondo il quale attraverso la ragione l’umanità ha la possibilità di emanciparsi dall’ignoranza viene qui ribaltato dalla non intellegibilità delle tracce lasciate dalla Visita. Tracce che intrappolano chiunque cerchi di capire. Cosa ci dice in fondo la Zona? Che l’essere umano è limitato e che ha bisogno di attribuire alla Visita dei significati che presumibilmente non ci sono. Che forse il significato della Visita è vuoto come quelle conchiglie tanto ricercate da Red e Kirill.
Gli effetti che la Zona ha sull’essere umano non sono semplicemente esteriori, perché questa agisce anche a un livello piscologico: Red e gli altri stalker cambiano dopo la Visita perché la Zona gli permette di guadagnare soldi extra e quindi migliorare la propria vita.
Ma come potevo rinunciare allo stalkeraggio, quando avevo una famiglia da sfamare? Andare a lavorare? Ma io non voglio lavorare per voi, sono nauseato dal vostro lavoro, riuscite a capirlo? Se un uomo lavora, lavora sempre per qualcuno, è uno schiavo e nient’altro, e io ho sempre voluto essere me stesso, volevo essere me stesso, per potermene fregare di tutti, dell’angoscia e della noia altrui…
Tutto questo però ha un costo: chi riesce a tornare dalla Zona porta con sé anche gli effetti. La figlia di Red, infatti, come tutti i figli degli stalker, nasce affetta da irsutismo e con il passare degli anni regredisce. Un altro stalker – Avvoltoio Burbridge – fa ritorno senza gambe. La Visita appare dunque come lo specchio dentro il quale l’umanità vede il riflesso del proprio limite cognitivo davanti al mistero dell’universo, così poco controllabile e intellegibile. Ciò non si limita però al solo rapporto dell’essere umano con il mondo “esterno” ma anche in relazione al mondo “interno” della propria psiche.
Torna dunque la lezione di Stanislaw Lem in Solaris (1961) in cui il pianeta senziente è così potente da interferire con i pensieri dei tre scienziati. Il tema dell’incomunicabilità è, in entrambi i romanzi, al centro di una narrazione che sposta l’asse antropocentrico del discorso mostrando come l’irrazionale è tale solo in base alla natura umana, necessariamente limitata. La pellicola di Tarkovskij, invece, la cui sceneggiatura è stata scritta insieme ai fratelli Strugackij, si concentra più su suggestioni metafisiche. Il personaggio dello stalker – qui senza nome – sembra più interessato a un percorso di redenzione in cui mettere alla prova la propria fede e quella del Professore e dello Scienziato che accompagna nella Zona. Anche la Zona stessa sembra essere ammantata di un’atmosfera magica in cui i pericoli reali presenti a Harmont scompaiono. I punti di contatto rimangono però l’ossessione per il potere da parte degli uomini, disposti a compiere le azioni più riprovevoli (come tradire un amico consegnandolo alle autorità o portarlo con sé nella Zona per usarlo come esca ed evitare di cadere nelle trappole). La stessa lotta per accaparrarsi gli scarti alieni è vista in funzione di un tornaconto personale. Il viaggio di Red appare dunque come la sublimazione della ricerca del senso della vita. Ricerca vista come vano tentativo di svelare i segreti di un’alterità percepita come talmente inintelligibile da risultare extraterrestre. Capire i meccanismi che guidano la Zona stessa è impossibile e, probabilmente, quando gli alieni sono arrivati sulla Terra, non si sono nemmeno accorti della presenza degli esseri umani.