Anita Orfini
pubblicato 3 mesi fa in L'angolo russo

Ritorno al corpo

"La mia vagina. Antologia di poesia femminista russa contemporanea"

Ritorno al corpo

Il 30 novembre 2023 la corte suprema della Federazione Russa ha dichiarato il “movimento internazionale LGBTQ+” un’organizzazione estremista. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022 aveva già costituito un enorme ostacolo per i vari movimenti e l’escalation di repressione negli anni successivi non ha fatto altro che allontanare le voci dissidenti dal paese (non che l’Ucraina se la passi meglio. Scrive infatti Claudia Bettiol su “Meridiano 13”: «Ieri, 16 giugno, nella capitale ucraina si è svolto il primo Pride dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022. La Marcia per l’uguaglianza, che ha visto a Kyiv la partecipazione di mezzo migliaio di persone – tra cui rappresentanti della comunità LGBTQIA+, militari, veterani, giornalisti stranieri e diplomatici – è durata non più di venti minuti a causa delle restrizioni imposte dalla legge marziale e della contromanifestazione a favore dei cosiddetti “valori tradizionali”»).

Oggi più che mai, dunque, è necessario parlare di attivismo ed evidenziare come le possibilità della parola libera, in terra russa, vengano sempre più osteggiate e limitate e lo facciamo con La mia vagina. Antologia di poesia femminista russa contemporanea tradotta e curata da Massimo Maurizio per Stilo Editrice (N.B.: non verranno menzionati i nomi delle autrici per tutelarle da eventuali problemi).

Per poter scrivere di questa antologia, occorre fare qualche passo indietro nel tempo e tornare alla San Pietroburgo del 2017 quando una delle autrici presenti nella raccolta dà vita a F-pis’mo (traducibile come “Scrittura femminista” o “Missiva F”). Il progetto è poi diventato una piattaforma online che ospita uno spazio dedicato alla scrittura femminista e queer. Anche grazie a questa iniziativa la poesia russa (o meglio, in questo caso, russofona) è tornata, dopo anni, a essere “più che poesia”.

Possiamo individuare tre grandi filoni presenti nelle liriche delle diciannove poete: la tematica LGBTQ+, la violenza e movimento contro la violenza sessuale e la riappropriazione del proprio corpo.

Allora non sapevo ancora che la mia vagina era affare di 

                                                                                     [tutti:

dello stato, dei genitori, dei ginecologi, di uomini 

                                                                            [sconosciuti,

di preti ortodossi, che sotto il saio hanno le mostrine,

e sul saio sangue di donna,

dei datori di lavoro, dell’antiterrorismo, dei militari, dei

                                           [fasci dell’ufficio immigrazione,

delle banche, di conservatori detrattori «dello stile di

                                                                 [vita dissoluto»

dei critici culturali patrioti, che sfruttano valori

                                                                     [tradizionali

mentre sorseggiano brandy.

Attraverso la riflessione sulla soggettività – una soggettività che costituisce un argomento vietato in Russia – la pratica poetica diventa lo strumento che permette alle autrici di prendere coscienza di sé stesse. Quelle parole oggetto di censura da parte di una società bigotta si fanno arma per affermare la propria identità nella tempesta di smarrimento e precarietà in cui l’emarginazione e la discriminazione vogliono relegare le voci e le vite delle autrici. Il nuovo (per alcuni, di certo non per loro) mondo da descrivere ha bisogno di parole nuove. Tale esigenza scaturisce dalla profonda necessità di trovare una lingua adatta ad argomenti considerati tabù, che quindi sono privi di una propria grammatica esistenziale. Le poesie presenti nell’antologia forniscono allora le coordinate per ricontestualizzare e risemantizzare tutta una serie di termini che la società patriarcale russa fa finta di non vedere: se il sesso non esiste, non servono parole per descriverlo.

Quel discorso artistico che possiamo far risalire alle esperienze di F-pis’mo e far arrivare fino a La mia vagina, da anni cerca di svincolare la sessualità da collegamenti falsanti nel tentativo di donare all’intimità della donna quello spazio (artistico, letterario e reale) che è stato sottratto. Non è quindi un caso che, ad aprire la raccolta, sia proprio una poesia intitolata La mia vagina (Moja vagina). L’aggettivo “mia” si inserisce appunto in questo processo di riappropriazione della sfera sessuale e fisica.  

Una volta al mese la mia vagina sanguina,

e allora il mio amato va a comprare gli assorbenti

(mi piacciono quelli sottili, con l’odore di camomilla).

A volte il sangue fuoriesce in piccoli grumi, simili

a caschi tondi di piccoli astronauti.

Il mio cosmo mestruale in miniatura: il pianeta dell’utero,

le comete delle ovaie, la galassia lattea della vulva gonfia.

A volte il sangue scorre come vodka

dal collo speciale di una bottiglia da collezione.

A volte non ce n’è.

Mi piace fare sesso durante le mestruazioni,

tutto il corpo diventa super sensibile.

E allora il privato, il sangue mestruale, la vagina che si lacera durante il parto, il clitoride che pulsa durante un orgasmo diventa politico. È proprio l’esperienza persona e intima delle autrici – e in generale del mondo LGBTQ+ – che per troppo tempo è stata tenuta nascosta a rendere il suo svelamento così violento, furioso e brutale e insieme estremamente fecondo. Le parole, le immagini e il sangue concorrono in tal modo a costruire un cosmo personale, e al contempo pubblico e di tutti, fatto di una proclamata alterità nei confronti di quella violenza familiare e di Stato.

In Sulle cause e sugli effetti (O pričinach i sledstvijach), poesia nata dal commento di un uomo a un post sulla necessità di inasprire le pene per chi commette violenza sessuale, assistiamo a un ribaltamento della prospettiva: l’accusatore diventa l’accusato. Il violentatore diventa la vittima della violenza e delle accuse a lei rivolte: “Perché te ne andavi in giro da solo di notte?”, “e certo che si è avvicinata/ a te, / uno così. / e ti ha accusato di violenza sessuale. / non è niente, non è mica la fine del mondo”, “se un uomo se ne va in giro da solo / conciato così / qualunque ragazza ha diritto / di accusarlo / di violenza sessuale”.

Le frasi stereotipiche del victim blaming, in questa angolatura capovolta, sovvertono il punto di vista e spostano l’attenzione sulle discriminazioni subite e il doppio standard a cui si assiste in base al genere della vittima.

Sovvertire, dunque. Sovvertire il linguaggio, sovvertire le convenzioni, sovvertire il punto di vista politico.

Insomma:

Fare la rivoluzione con la vagina.

Fare libertà con se stessi.