“Estranei” (All of Us Strangers, 2023) di Andrew Haigh
Il panorama urbano e il purpureo riflesso del sole sui grattacieli si unisce alle nuvole in movimento per comporre la poetica alba londinese. Una dissolvenza incrociata gioca con il riflesso del vetro e mostra la sagoma di Adam (Andrew Scott), che assorto nei suoi pensieri guarda la città. Il protagonista è fin da subito il vero spettatore.
Si presenta in questo modo Estranei (All of Us Strangers, 2023), tratto liberamente dall’omonimo romanzo di Taichi Yamada del 1987 – in Italia pubblicato dalla casa editrice Nord, traduzione di A. Martini. Il lungometraggio è diretto dal regista Andrew Haigh che in precedenza ha dato vita ad altre pellicole come Weekend (2011) e Charley Thompson (Lean on Pete, 2017).
Adam è uno sceneggiatore apparentemente annoiato e privo di idee che sta cercando di scrivere una nuova sceneggiatura. Un giorno bussa alla porta il suo vicino di casa Harry (Paul Mescal), e da quel momento inizia un tortuoso viaggio fatto di profondi ricordi famigliari e dall’esperienza di una nuova relazione.
Questa trama all’apparenza così scarna e lineare custodisce una rappresentazione cinematografica complessa. Tutto sembra intangibile, dove la linea tra realtà e finzione si affievolisce con il passare delle scene e delle inquadrature. La tematica principale non verte solamente su cosa sia reale o irreale, è il Tempo a delineare i confini della narrazione e dell’estetica filmica: i colori e i toni caldi del passato si scontrano con quelli freddi del presente. Il viaggio spaziale si trasforma in un viaggio temporale, impalpabile.
Adam sembra riuscire a muoversi fluidamente nello spazio e nel tempo. L’ascensore, il treno e il taxi non sono soltanto mezzi di trasporto utili per raggiungere determinati luoghi, ma sono soprattutto mezzi necessari per arrivare a determinati momenti del passato, che sembrano trasformarsi in effimeri frammenti del presente. Questi impercettibili spostamenti sono dettati dai ricordi: le canzoni e le vecchie fotografie cullano l’immaginazione. Il problema che ruota intorno alle vicende e a questo tipo di narrazione risiede nella ricostruzione di questi ricordi, perché non si tratta solo di rivivere delle vecchie scene impresse nella memoria, ma di costruire ed elaborare nuove esperienze sulla base di questi ricordi. In altre parole, si tratta di una realtà distorta, proprio perché il protagonista torna a parlare con i genitori come se nulla fosse mai successo, come se il tempo non fosse mai passato: un viaggio nel tempo metaforico.
In questo palcoscenico di stampo bergmaniano le vicende si incastrano melodicamente: la storia d’amore tra Adam e Harry si alterna oniricamente ai dialoghi domestici tra Adam e i suoi genitori – interpretati da Jamie Bell e Claire Foy. I ricchi dialoghi si contrappongono ai lunghi silenzi, la dimora residenziale e accogliente di Dorking, una cittadina della contea del Surrey, entra in contrasto con la freddezza del grattacielo londinese. Tutti questi elementi, apparentemente discordanti, si collegano perfettamente senza appesantire le vicende di Adam e alimentano l’unione tra bianco e nero, tra sogno e realtà. Attraverso risvegli febbricitanti e luci al neon, il regista gioca con le dissolvenze e la profondità di campo per restituire quell’atmosfera onirica che strizza l’occhio a una pellicola come Mulholland Drive (David Lynch, 2001).
Il sogno non è il solo riferimento che distribuisce un alone di mistero e di immaginazione alle vicende: all’inizio del film Adam sta scrivendo una sceneggiatura e questo scivolare profondamente nella scrittura può anche rappresentare una sorta di ricostruzione immaginaria delle vicende successive. Adam è lo spettatore della propria opera, e il vero spettatore riesce a osservare tutto, globalmente. Il sogno, la realtà e l’immaginazione non contano più, sono forme che vengono surclassate dalla ricerca interiore del protagonista.
Sì, mi sono sempre sentito solo, anche prima. Era una sensazione nuova. Come di… terrore. Il terrore di restare sempre solo. E poi, crescendo, quella sensazione si è solidificata. Come un groviglio qui, costante, […] fino a sentire che il futuro non conta.
Le perplessità e le mancanze del protagonista vengono colmate da Harry, una presenza improvvisa che sembra apparire appositamente per riempire i grandi spazi affettivi lasciati per strada. Grazie a lui, una figura in carne e ossa e fisicamente tangibile, Adam inizia un dialogo con sé stesso che lo spinge a parlare della sua omosessualità con i propri genitori e di raccontare come procede davvero la sua vita. Infatti, quando Adam torna dalle sue intense ed emotive giornate con i genitori, trova Harry pronto ad ascoltare i suoi complessi e drammatici ricordi. Questi dialoghi, con il passare delle vicende, appaiono sempre più interiori. Quasi fossero un dialogo tra l’Adam del passato e quello del presente, dove Harry si trasforma in una sorta di ponte temporale e immaginativo tra la vita da bambino con i genitori e quella da adulto, in solitudine.
Il contenuto è accompagnato da un suggestivo contenitore. Lo specchio dell’ascensore che riflette i due protagonisti all’infinito in un duello di sguardi, si tramuta in un’immagine che mostra la ridondanza delle figure nel tempo, un modo per sottolineare quella percezione immateriale e quasi astratta delle due figure umane. Proprio lo specchio, l’immagine riflessa, è un elemento costante nella narrazione: in treno, in taxi, nei locali, a casa, in metro. Il tema del doppio è continuo, l’immagine riflessa di Adam su uno specchio o su un finestrino riconsegna una sorta di dualità interiore, un contrasto, una vera lotta mentale con sé stesso – in un determinato momento, questo riflesso metterà in contrasto anche il passato e il presente.
Estranei riesce con la sua estetica a danzare tra la tematica della morte e quella della solitudine. Le occasioni mancate riescono a trovare inedite opportunità nello spazio e nel tempo; un maglione, una fotografia o un vinile si trasformano in pagine bianche, su cui riscrivere delle nuove storie con una vecchia e malinconica penna.