In cella con Gramsci e Pertini
Alcuni posti nel mondo sono entrati nella memoria collettiva come fucine di pensiero: caffè, librerie, interi quartieri che – per una serie di fortunate circostanze – hanno visto concentrarsi in pochi metri le personalità più importanti di un intera generazione.
Non è il caso di Turi.
Piccolo comune della città metropolitana di Bari, Turi è famoso per il suo carcere, che negli anni del Regime Fascista ha visto reclusi i condannati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
È qui che nel 1928 venne rinchiuso Antonio Gramsci, ed è qui che nel 1931 arrivò Sandro Pertini.
Appena entrato nel cortile, il futuro Presidente della Repubblica vide “un corpo da pigmeo con una bella testa alla Danton”.
Gli si avvicinò con cortesia.
–Mi scusi,Lei è l’Onorevole Gramsci, vero?
-Che fai, mi dai del Lei? Non sei un antifascista anche tu?
Fu l’inizio di un’amicizia profonda e sincera, negli stessi anni, tra l’altro, in cui Stalin aveva lanciato la teoria del “social-fascismo”, secondo la quale andavano combattuti allo stesso modo i fascisti, gli antifascisti democratici e i socialisti.
La teoria fu sposata in pieno da Togliatti e dalla maggior parte dei comunisti italiani.
Gramsci la definì “un’aberrazione”, e fu isolato dai suoi stessi compagni.
L’amicizia si fondava su un gran rispetto reciproco; si trattava di due militanti che, pur avendo idee diverse e spesso contrastanti, non rinunciavano al confronto, facendo se necessario autocritica.
Come quando Gramsci si scusò con Pertini per aver definito Turati e Treves due “fuggitivi“. Il ligure apprezzò il gesto e nel suo tempo di permanenza a Turi s’impegnò per rendere più umane le condizioni del compagno, gravemente malato, lottando contro le guardie carcerarie e il direttore. Addirittura sembra che chiese più carta e inchiostro, strumenti indispensabili per quell’insieme di riflessioni che andrà sotto il nome di “Quaderni”.
Il 13 novembre dello stesso 1931, dopo neanche un anno di permanenza, Pertini fu trasferito nel sanatorio di Pianosa, e nel 1937, del resto, Antonio Gramsci moriva a Roma, stroncato da un’emorragia cerebrale.
Il ricordo, tuttavia ,rimase impresso a fuoco nel cuore di Pertini, che tornò anche a Turi, ma in anni e condizioni ben diverse; era il 1979 ed attraversò lo stesso cortile di quarantotto anni prima nelle vesti di settimo Presidente della Repubblica Italiana.
Quando il direttore del penitenziario gli chiese se gradiva visitare la cella di Gramsci, racconta Antonio Ghirelli, allora capo ufficio stampa del Quirinale, egli rispose: -Senz’altro! Ma vado solo.
Dallo spioncino della porta si poteva osservare Sandro Pertini, il Presidente ,il partigiano, il ligure d’ acciaio che aveva sacrificato senza remore vent’anni della sua vita alla lotta al Fascismo, accarezzare assorto una brandina.
Scarno ricordo d’un tempo passato.
Sitografia:
-http://www.fondazionepertini.it
-https://radicalsocialismo.it
-http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it
-http://www.democraziaoggi.it
Articolo a cura di Alessandro Montesi