Gianmarco Canestrari
pubblicato 8 anni fa in Letteratura \ Storia

Donne e potere nella Grecia classica

Donne e potere nella Grecia classica

Tra i temi più dibattuti ed approfonditi nello studio della civiltà classica, ve n’è uno che riveste un’importanza capitale: il ruolo e la posizione della donna nella società greca. È un tema molto complesso e allo stesso tempo molto affascinante che ha portato due colossi dell’epoca a scrivere opere su ciò. Parliamo di Aristofane, commediografo, e di Euripide, drammaturgo, le cui opere sono divenute pietre miliari, classici del pensiero libero. Sono due autori molto interessanti perché a differenza di molti altri pongono l’accento sul tema del ruolo della donna, ma legato al tema del potere, della forza, dell’inganno. Aristofane ci ha lasciato due grandi commedie: Lisistrata e Ekklesiazousai. La prima è una commedia presentata nel 411 a.C. durante le festività dedicate al dio Dioniso Leneo, la quale si incentra sulla storia di una donna, Lisistrata appunto, ed ha sullo sfondo storico la guerra del Peloponneso. Per far fronte alla lontananza degli uomini dalle loro famiglie, poiché impegnati nella battaglia, Lisistrata e le donne di Atene bandiscono un vero e proprio sciopero sessuale: se gli uomini non fermeranno la guerra, le donne non si concederanno più ai loro uomini. Sotto l’egida del giuramento, le donne occupano l’Acropoli finché gli uomini, attraverso un commissario e poi un araldo, cedono alle richieste delle donne e concludono la battaglia. Molti spunti possono essere tratti dalla lettura dell’opera: a cominciare dal nome della protagonista, Lisistrata (Colei che scioglie gli eserciti), che fa da filo conduttore a tutta l’opera e ne costituisce il fine: attraverso l’astuzia Lisistrata riesce infatti a fermare la guerra, a sciogliere l’esercito e a riavvicinare i mariti alle proprie mogli. A ciò bisogna aggiungere il tema del sesso come strumento del potere: pothos, il desiderio irrefrenabile, sfrenato, incontrollabile è infatti il motore della vicenda, il mezzo attraverso cui si porta a compimento l’opera pacificatrice che ha in mente Lisistrata. È ben sottolineato qui quello che era l’universo di pensiero proprio della civiltà greca: da una parte c’era il polo maschile caratterizzato dalla diade forza-valore, e dall’altro c’era il polo femminile legato alla triade famiglia-sesso-figli. Ecco delinearsi qui il tema dell’emarginazione della donna, vista non più come qualcosa di solamente negativo e frustrante, ma come qualcosa da cui partire per costruire un’alleanza forte in opposizione al potere maschilista dell’epoca: Lisistrata riesce infatti a riunire tutte le donne all’Acropoli e forma così un’alleanza che dovrà fungere da viatico per promuovere la pace. Si capisce così che la condizione esistenziale della donna ateniese era legata a molti limiti e restrizioni: essa infatti non poteva partecipare agli spettacoli, alle assemblee nell’agora o ricoprire cariche pubbliche, ma era relegata in casa a svolgere quello che era considerato il compito essenziale, se non esclusivo, della donna: procreare per donare figli alla patria. Possiamo allora affermare che il compito che Aristofane delinea con Lisistrata è la ricerca della pace comune, che potremmo chiamare panellenica, e il diritto paritario fra uomini e donne (non solo isonomico ma anche di genere).vsvsvs Ciò che Aristofane ha voluto affermare con forza attraverso i suoi personaggi è allora il fatto che l’uomo in generale (che è unione di maschi e femmine) è il vero e unico partecipante delle attività della polis, il cittadino ideale che contribuisce al bene comune, al ristabilimento della pace. Molto avvincente è anche l’altra opera che Aristofane scrisse sulla falsariga di Lisistrata che è Ekklesiazousai (tradotto come Le donne al parlamento, ma il titolo ha una portata molto più ampia di ciò). Il termine usato da Aristofane è Ekklesìa che nell’antica Grecia designava l’assemblea riunita, che votava le leggi e svolgeva numerosi compiti anche sul piano giuridico-normativo: ecco allora che il titolo conferito da Aristofane all’opera può essere tradotto come coloro che si riuniscono insieme per decidere o coloro che decidono insieme, collegialmente. Tema della commedia è, come era stata in Lisistrata, la volontà delle donne di governare la città ormai corrotta dallo strapotere degli uomini. Infatti l’opera si sviluppa intorno a tale desiderio e al conseguente stratagemma inventato dalle donne per portarlo a termine. Una volta al potere infatti tutto è in mano al governo delle donne che approvano leggi in ogni campo, anche quello sessuale. Torna qui il tema – filo rosso che ha guidato anche Lisistrata: il sesso e il comunismo integrale attuato dalle donne che perseguono grandi fini (in Lisistrata quello della pace comune, qui quello del potere femminile che è visto come restauratore, salvatore di una situazione disastrosa). Di tutt’altro tono sono le tragedie di Euripide, tra le quali spiccano Medea e Alcesti. vdsvLa prima fu rappresentata nel 431 a.C. durante le festività legate al dio Dioniso ed è incentrata sulla storia, insieme tragica e eroica, di Medea e del suo piano per riconquistare il marito Giasone. Quest’ultimo infatti, a causa del suo tradimento, verrà punito dalla protagonista attraverso un curioso e malefico stratagemma: essa invia alla futura sposa una ghirlanda e una veste avvelenata che appena indossata prende fuoco e uccide la stessa tra lamenti e strazianti tormenti. Ma non finisce qui: per vendetta Medea, in una bellissima scena dove la si vede alla briglia del carro alato del Sole, quasi a rappresentare una semi-divinità che deve portare a compimento un piano celeste, mostra al marito la prole senza vita che ella ha ucciso per privarlo della discendenza. La personalità di Medea si delinea così formata da due anime: una parte forte, coraggiosa, violenta, che arriva addirittura ad uccidere per amore; e un’altra che invece la dipinge come sola, disperata, indifesa di fronte al dramma del tradimento del marito. Figura molto complessa ed articolata, quella di Medea si mostra così come una donna che presenta una doppia voluntas: da una parte vorrebbe placare la vendetta e il dolore per il tradimento, salvando così i figli dall’atroce destino, ma dall’altra è come se fosse preda di un sentimento inestinguibile per il quale mostra tutto l’odio possibile verso la figura del marito, e di conseguenza, della prole che diventano le vere vittime della vendetta, oltre alla figlia del re. Di sicuro Medea non torna indietro ma prosegue nelle sue convinzioni, tanto che ormai compiuta la vendetta appare in cielo su un carro divino, come a rappresentare, in una visione mistica, la sua vittoria, la sua apoteosi contro il male. Anche qui viene allora delineato uno stretto rapporto tra donne e potere, nel momento in cui è Medea che piega con la sua terribile vendetta il marito Giasone in un rapporto quasi di dominazione tra il vincitore e il perdente, il servo, colui che ha fallito i piani. Ma è nell’Alcesti che Euripide mette in scena una delle più belle tragedie d’amore: amore non carnale, fisico, ma quasi spirituale, compassionevole, doveroso, rispettoso. Infatti il dio Apollo venne condannato da Zeus a fare lo schiavo nella casa del re Admeto con il quale egli instaura un patto: le Moire avrebbero risparmiato lui dalla morte, a patto che sacrificasse qualcuno al dio. E la sorte volle che Alcesti si offrisse volontariamente e devotamente al dio per mantenere e portare a compimento il patto. Ma quel sacrificio così puro di Alcesti, sottratta ora da Thanatos all’affetto dei suoi cari, verrà veramente “portato a compimento” da Eracle, che svolge qui quasi un “ruolo messianico, salvifico, redentore”: egli infatti la riporterà in vita dall’Ade riconsegnandola all’affetto dei cari. Si vede qui la straordinarietà del testo euripideo che si presenta agli occhi del lettore come una meravigliosa meditatio mortis: Alcesti è la vittima sacrificale che si immola per un bene supremo che trascende le umane e contingenti decisioni. Lei è la ghennaìos, la ben nata, la nata nobilmente (appellativo usato solo per i morti in battaglia), che muore ma allo stesso tempo viene riammessa alla vita perché si attualizzasse quella rivoluzione culturale e antropologica che l’opera rappresenta: è qui il potere di Alcesti.