Ilenia Giambruno
pubblicato 8 anni fa in Altro

Calvino e Le città invisibili tra arte e parole

Calvino e Le città invisibili tra arte e parole

Creare mondi e luoghi è forse il modo più comune per dare spazio al seme dell’immaginazione che ognuno porta dentro di sé, nascosto da qualche parte. Non molti riescono a far crescere questo seme così difficile da coltivare e, di conseguenza pochi sono gli esempi che ci vengono in mente quando si parla di “frutti della capacità immaginativa”, come La Terra di Mezzo di J. R. R. Tolkien o il Paese delle Meraviglie creato da Lewis Carroll.

Ma non c’è bisogno di andare in Inghilterra, patria dei due scrittori, per trovare mondi fantastici. Basta andare in Piemonte, a Torino, a bussare alle porte della Einaudi per trovare l’universo de Le città invisibili, creato nel 1972 da Italo Calvino. E proprio dalle città frutto della sua penna sono nate altre città. Stavolta però non c’è nessun Marco Polo a descriverle al Kubla Khan. Chi ci parla di queste città sono persone comuni, persone come noi e forse persino migliori di noi. E ce ne parlano in un modo inusuale e anticonvenzionale.

Le città invisibili di Calvino infatti sono il punto di partenza per un progetto omonimo volto alla riabilitazione psicologica e che, invece delle sole parole, coinvolge e utilizza anche l’arte. E’ l’ “arteterapia”, una tecnica che

usa come mezzo di comunicazione le immagini. Si tratta perciò di un linguaggio immediato e facilmente comprensibile, che accorcia le distanze comunicando in modo semplice e diretto. Ma la comunicazione è fatta anche di parole. Per questo abbiamo cercato un codice di connessione tra parola ed immagine e poi tra immagine e parola, in un gioco a doppio senso che ha conferito dinamicità al nostro lavoro

come spiega Paola Marcucci, coordinatrice del progetto. E dunque pennelli, acquerelli e tempere; matite, carboncini e ritagli di giornale sono stati i materiali usati per creare le città e farle uscire dalla culla dell’immaginazione, dando loro vita su un foglio di carta bianco. All’interno di questo vasto progetto sono state rappresentate le cinque “città della memoria” descritte da Calvino: Diomira, Isidora, Maurilia, Zaira e Zora.

Diomira:

Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l’uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d’argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s’accorciano e le lampade multicolori s’accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh! gli viene da invidiare quelli che ora pensano d’aver già vissuto una sera uguale a questa e d’esser stati quella volta felici.

Isidora:

All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d’una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi.

Maurilia:

A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro regole precise: riconoscendo che la magnificenza a prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta soltanto adesso nella vecchie cartoline, mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era. Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro […].

Zaira:

Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descrivere la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’usurpatore impiccato […]. Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie nelle griglie delle finestre […], ogni segmento rigato a sua volta di graffi seghettature intagli, svirgole.

Zora:

Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l’ha vista una volta non può più dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un’immagine fuor del comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari. Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare una sola nota. […] Questa città che non si cancella dalla mente e come un’armatura o reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare: nomi di uomini illustri, virtù, numeri, […]. Tra ogni nozione e ogni punto dell’itinerario potrà stabilire un nesso d’affinità o di contrasto che serva da richiamo istantaneo alla memoria. Cosicché gli uomini più sapienti del mondo sono quelli che sanno a mente Zora. Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l’ha dimenticata.

In molti hanno partecipato al progetto rendendo difficile la scelta delle immagini, tutte diverse, tutte uniche e non certo meno importanti di queste cinque. Per ciascuna di esse ogni creatore ne ha dipinto l’aspetto che più lo ha colpito. Di Diomira il gallo, le cupole e le strade, mentre di Isidora le scale, quelle a forma di “chiocciole marine”. Maurilia invece è rimasta provinciale, dipinta con un acquarello celeste che sa di malinconia perché quella Maurilia è come “fosse rimasta tale e quale”.

Invece Zaira, acquarellata come Maurilia, sfuma dall’azzurro al rosa chiaro poiché “s’imbeve come una spugna e si dilata”, con i sottili palazzi che emergono, immaginati come se fossero “le linee d’una mano”.

E infine Zora che, come una splendida donna piangente, viene inghiottita dalla terra e dimenticata.

Un impatto principalmente visivo ma, -chissà, magari anche un po’ infantile- forte, che riesce a colpire chi osserva e allo stesso tempo legge queste città speciali. Certamente non è in questo modo che il lettore di Calvino si è immaginato le “città della memoria” e farlo non è certamente semplice, poiché ognuna è unica nel suo essere, così come uniche sono la nostra percezione e immaginazione.

Ma l’arteterapia consiste in questo, in un percorso introspettivo che coinvolge anche i lettori e non solo i creatori di queste opere d’arte:

la bellezza di questo lavoro non è stato tanto la lettura in se stessa del libro, già di per sé abbastanza concettuoso e originale, quanto vedere come ognuno fosse stimolato e toccato da parole o da visioni delle città all’interno della propria immaginazione […].

spiega Alessandra Gorgeri, presidente dell’associazione “Riabilita”, della quale fanno parte i partecipanti del progetto. Infatti mettere dei colori su un foglio completamente bianco per costruire una città invisibile forse è molto più difficile di quanto si possa pensare per tutti noi e non solo perché ognuno ha una propria immagine della città invisibile, ma soprattutto perché disegnarne una significa mettersi completamente a nudo e liberare se stessi. E anche dare vita alle parole, come quelle di Calvino.


Bibliografia:
Le città invisibili, Italo Calvino, Mondadori, Milano, 1933
Città invisibili, a cura di Paola Marcucci per Associazione Riabilita Siena