Federica Nardiello
pubblicato 2 anni fa in Altro

Piccolo viaggio nell’anima tedesca

il pensiero attraverso la lingua

Piccolo viaggio nell’anima tedesca

Se la letteratura è uno dei molteplici filtri che ci permette di comprendere gli uomini e le donne che hanno modellato una nazione, di certo lo è anche la lingua. Quella tedesca risulta macchinosa a molti. Più poetica a pochi.

Vanna Vannucci e Francesca Predazzi hanno raccolto in Piccolo viaggio nell’anima tedesca (Feltrinelli 2004) alcune parole chiave che racchiudono non solo il pensiero del popolo tedesco, ma anche i profondi mutamenti avvenuti nella Germania degli ultimi trent’anni.

Si tratta di termini che non hanno un corrispondente preciso in italiano, traducibili solo ricorrendo a più espressioni. Nel loro significato racchiudono una lunga serie di eventi del mondo e della Germania e sono quindi emblematiche per raccontare un frammento della storia di questo paese: «se tante cose stanno cambiando in Germania, a una i tedeschi restano fedeli: all’importanza della parola».

Delle sedici parole raccolte ne prenderò in considerazione soltanto cinque, sperando di suscitare l’interesse per le altre.

La Weltanschauung è la prima parola in questione. Sul dizionario della lingua italiana Devoto-Oli viene tradotta come la visione che abbiamo del mondo, la concezione di noi stessi e della nostra vita in esso. Si tratta di un significato che abbraccia un concetto astratto, molto ampio, poiché considera persone, popoli, costumi; più precisamente Dio, l’Uomo e il Mondo: per dire che hanno parlato proprio di tutto i tedeschi dicono: «über Gott und die Welt» («ho parlato di Dio e del mondo»).

La Weltanschauung è mutata – e ovviamente continua a modificarsi – con il tempo: è stata concepita nel linguaggio epistemologico e filosofico tedesco come un sistema coerente alla cui base vi erano princìpi in grado di spiegare il mondo e le leggi degli uomini.

Con la parola Weltanschauung nel Novecento la Germania ha invaso il pianeta. […] La Weltanschauung della Germania nazista è stata il più grande trauma della storia tedesca, che ha finito per rendere l’essere tedesco un vero e proprio dramma individuale.

Con il nazionalsocialismo vi è la sostantivazione del termine: la Weltanschauungen rappresenta la linea da seguire per modellare il mondo sulla visione del Terzo Reich.

Oggi, la Weltanschauung dei giovani tedeschi si trascina dietro l’influenza del passato nazista, probabilmente segnandola per sempre; eppure, non è più una Weltanschauung «compatta e immutabile, […] [ma] frammentata e flessibile: fu Schroeder quando era cancelliere a dire che la Germania non aveva una visione del mondo, ma semplicemente uno stile di vita». Fu lui a sostenere inoltre che «come c’è una way of life americana, ce n’è una tedesca».

Avreste mai detto che il termine inglese queer sia connesso a un termine tedesco? Ebbene, la seconda parola in questione è Querdenker, “il pensatore laterale”. All’origine vi è un vocabolo olandese, il Quertreiber, «un navigante che invece di seguire la rotta prescritta andava di traverso e finiva così per tagliare la strada ad altri navigatori». Da questa, nasce la parola tedesca Querkopf, una testa storta, un individuo che non segue la retta via: insomma, tutto ciò che è quer – e dunque traverso, trasversale, storto – per i tedeschi non era nulla di buono.

Per molto tempo avere delle idee indipendenti ti rendeva un reietto, parte di una minoranza che incrinava il conformismo e l’autoritarismo tipici della società tedesca. Al termine viene affidata una nuova accezione nel 1991, quando il Duden denomina il Querdenker come ‘qualcuno che pensa con la propria testa, in modo originale e autonomo’.

Da quel momento, tutti i Querdenkern rimasti nascosti dilagano, perfino nelle istituzioni: nel 1995 un gruppo di aziende tedesche finanza una vera e propria Querdenkernakademie, un’accademia con dei corsi per pensare con la propria testa, esaltando il pensiero laterale e trasversale.

Negli auspici dei fondatori […] questi corsi della durata di un anno con all’ordine del giorno materie tipo “innovazione e ribellione” dovevano contribuire a sbloccare quei comportamenti inerziali che potevano rendere l’economia tedesca meno competitiva.

Interessante notare come la lingua tedesca non lasci nulla al caso: il Querdenker, infatti, si differenzia dal Vordenker (il precursore, colui che pensa “prima”); dal Nachdenker (il riflessivo, colui che pensa “dopo”); dall’Umdenker, che cambia idea radicalmente e dal Mitdenker, capace di immedesimarsi nei pensieri degli altri.

La BBC ha definito la parola Schadenfreude come la più formidabile al mondo. Si tratta di una parola intraducibile che letteralmente significa “la gioia” (Freude) – “delle disgrazie” (Schaden) che capitano agli altri. Il sociologo Norbert Elias lo definiva «un sentimento che esiste senza dubbio in molte società, ma che solo in tedesco viene condensato in un concetto e quindi di colpo canonizzato come una caratteristica quasi normale degli uomini».

Infatti, è in Germania che ha avuto un enorme successo il programma Pleiten, Pech un Pannen (Al verde, sfigati e nei guai): una serie di video amatoriali grazie ai quali lo spettatore poteva divertirsi vedendo le disgrazie altrui. La lingua tedesca poi possiede una vasta gamma di vocaboli – con una forte accezione romantica – legati alla gioia: esiste un proverbio che dice «Vorfreude ist die schönste Freude», per sostenere che l’attesa della gioia è la gioia più grande. Proprio perché spesso, per i tedeschi, l’attesa che precede la gioia li protegge dalla delusione che nasconde.

Il sentimento della Schadenfreude rimarrebbe per lo più privato, inconfessabile se non a noi stessi, se il Bild Zeitung, uno dei quotidiani più venduti in Germania, non avesse fatto dell’accanimento contro persone famose (meglio se di sinistra) il suo successo. Tuttavia, la Schadenfreude può essere anche di altro tipo: «apocalittica, metafisica […] In questo caso […] è il piacere di sentirsi confermati nei propri amari convincimenti sull’incompiutezza del mondo e l’indifferenza di Dio». Un concetto che Friedrich Dürrenmatt sapeva esprimere al meglio. La sua Schadenfreude, come sostengono le autrici, era «l’elaborazione in beffa di uno sconfinato pessimismo», dove la commedia risultava essere l’unico mezzo in grado di confrontarsi col mondo della bomba atomica.

Al giorno d’oggi, tra le immagini stereotipate del popolo tedesco, c’è quella che li vede in tenuta da montagna, con zaino in spalla e scarpe da trekking tra le nostre valli e montagne; ma anche nelle città, noncuranti delle intemperie e del clima. Sono quelli che i tedeschi stessi chiamano Wanderer, i camminatori. Si tratta di una traduzione approssimativa, dato che il verbo wandern significa più di ‘camminare’ e Wanderweg ben più di ‘sentiero per andare a piedi’.

In tedesco spazieren è passeggiare, laufen è camminare, ma wandern contiene un senso di libertà: di spazi, silenzi e avventura, tutto quello che crea il profondo rapporto con la natura che è un elemento fondante del sentirsi tedeschi.

Per lo scrittore Kurt Tucholsky essere tedesco significa «essere nelle montagne, dove i campi e i prati sboccano in piccoli sentieri, al margine di piccoli laghi che odorano d’acqua, di legno e di sassi, e dove uno può stare completamente da solo».

L’impegno della Germania nei confronti della natura è radicato da tempo. Già nel 1914 ammontavano a quattordici le pubblicazioni inerenti alla Naturschutz (‘la difesa della natura’), nelle quali si dibatteva sulla questione centrale dell’ecologia, ovvero come espandere l’economia riducendo al massimo l’impatto sulla natura.

Senza dimenticare che alcuni importanti autori dell’epoca dedicarono ampi spazi a questi temi: ricordando Guasto di Christa Wolf per la Germania dell’Est o La ratta di Günter Grass per l’Ovest non possiamo non notare come il terrore di una catastrofe ambientale preoccupasse da tempo i tedeschi.

Grazie al Duden e alla Gesellschaft für die deutsche Sprache (La Società per la lingua tedesca) sappiamo che il tedesco ha più di quattrocentomila parole: «centomila in più dell’italiano». I tedeschi tengono moltissimo alle parole: ogni anno ne viene scelta una nuova, un neologismo che si distingue dagli altri per interessi linguistici o storico-sociali. Si tratta di un vero e proprio concorso, in cui vengono elette tre parole vincitrici. Le autrici ne ricordano alcune molto particolari: Überfrierende Nässe sta per ‘ghiaccio in formazione’, espressione usata nel messaggio del bollettino meteorologico, oppure «unheimlich che significa “inquietante, terribile” e deriva dalla negazione di Heim (casa, focolare). Termine perfetto per spiegare che l’ignoto incute timore».

Tuttavia, la particolarità risiede nel fatto che spesso, a vincere sono quelle che i tedeschi chiamano le Unworten, le “non parole”.

Un esempio perfetto è la parola più lunga mai registrata dalla lunga tedesca: Rindfleischetikettierungsüberwachungsaufgabenübertragungsgesetz che sta per ‘legge per la ripartizione dei compiti sul controllo delle etichettature della carne bovina’. Difficilissima da pronunciare, ancor più da ricordare; come del resto la maggior parte del vocabolario tedesco. Tuttavia, affascinante e coinvolgente, come spesso una lingua sa essere.

Heinrich Böll sosteneva che «se diventassimo consapevoli dell’eredità che giace in ogni parola, studieremo i nostri dizionari, catalogo della nostra ricchezza e scopriremmo che dietro ogni parola vi è un mondo. Chi usa le parole mette in moto dei mondi, degli esseri divisi: quello che può consolare l’uno, può ferire a morte un altro».

di Federica Nardiello