Uno spunto dal perduto San Matteo e l’angelo di Caravaggio
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Ci sono opere d‘arte che sopravvivono ancora oggi nel luogo per il quale erano state pensate da artista e committente, altre hanno cambiato dimora rispetto alla loro collocazione originale e altre, semplicemente, non ci sono più. Questo non significa che siano andate perdute alla memoria dei secoli o che siano sconosciute al grande pubblico, anzi, grazie ad una nutrita letteratura artistica, spesso costituiscono veri e propri “casi di studio” per gli storici dell’arte e per la critica.
La vicenda di cui scrivo è nota, anzi notissima, visto che l’autore è forse il più discusso dei pittori italiani del Seicento: Michelangelo Merisi da Caravaggio. L’opera in questione è la prima versione del San Matteo e l’angelo, tornata alla ribalta lo scorso inverno per un’interessante pubblicazione di Skira Editore nella collana Storie-Skira intitolata Il mistero dell’angelo perduto, edizione che riporta tra l’altro in copertina la lodevole ricostruzione della tela eseguita dall’artista finlandese Antero Kahila a seguito di anni di studi sulla tecnica e sul linguaggio del Caravaggio.
La genesi di questa pala d’altare è conosciuta; nel 1599, grazie alla mediazione del cardinale Francesco Maria Del Monte, suo estimatore, Caravaggio ottiene il primo incarico pubblico ovvero la decorazione della cappella gentilizia del defunto cardinale francese Mathiue Cointrel, meglio conosciuto in italiano come Matteo Contarelli, nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. In poco più di un anno, quello che doveva risultare un trittico, poteva dirsi concluso: tra le due tele laterali raffiguranti la Vocazione di San Matteo e il Martirio del Santo, doveva trovare posto la tela principale raffigurante il San Matteo e l’angelo. Come sappiamo, la prima versione di tale soggetto venne rifiutata dalla congregazione probabilmente per lo spiccato realismo del santo più simile a un anziano contadino non scolarizzato che ad un alto prelato. La tela in questione, vero capolavoro della poetica di Caravaggio, ritraeva infatti un vecchio santo plebeo intento a scrivere con l’aiuto dell’angelo che sorregge energicamente la sua mano nella stesura del Vangelo. Mentre Caravaggio si trova costretto a dipingere una nuova e più consona versione, la tela cioè che troviamo ancora oggi nella cappella Contarelli, l’opera “scartata” venne acquistata dal lungimirante marchese Vincenzo Giustiniani, già proprietario di altre opere di Caravaggio, per passare poi nel 1815 al Kaiser Friedrich Museum di Berlino, dove sembrerebbe essere andata distrutta verso la fine della seconda guerra mondiale.
È da qui che prende le mosse il romanzo, liberamente ispirato da fatti storici, scritto a quattro mani da Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro a Napoli e Rossella Vodret, curatore presso la Galleria nazionale d’arte antica e soprintendente per il patrimonio storico-artistico delle regioni Puglia, Calabria, Lazio e del Polo museale romano.
Nella capitale tedesca allestita a festa per i Giochi olimpici del 1936, si incontrano tre perfetti sconosciuti, protagonisti involontari del disastro della storia e delle peripezie del San Matteo di Caravaggio. Helmut Knoper è consulente per gli eventi culturali e le opere d’arte del governo nazista, Vika Daprodova è una spia russa mascherata da addetto culturale dell’ambasciata sovietica a Berlino e Olia Tewick, moldava naturalizzata francese, guida la delegazione del suo Paese alle Olimpiadi. In quell’unica occasione di festa, i tre si conoscono e nelle sale del Kaiser Friedrich Museum possono ammirare, ancora intatta tra i capolavori dell’arte italiana, la tela di Caravaggio. Malgrado la comune passione per la pittura italiana e la convinzione che l’arte possa in qualche modo suscitare sentimenti di unione tra i popoli, trovino d’accordo i tre “stranieri”, il destino li condurrà attraverso strade tortuose ad un epilogo inaspettato.
Gli eventi bellici che seguono quegli anni li conosciamo bene: l’Europa viene travolta nel peggior conflitto mai visto mentre i tre protagonisti sono coinvolti, loro malgrado, da una parte nelle scelte politiche del loro Paese e dall’altra in relazioni personali di amore e amicizia che davanti al San Matteo e l’angelo erano cominciate. La narrazione si intreccia, all’indietro, con le tristi vicende biografiche passate dei personaggi e, in avanti, con i reali accadimenti storici del vecchio continente. Helmut deve rendere operativo il programma voluto dal Führer di trasferire e custodire nei luoghi deputati tutte le opere d’arte di proprietà statale compresa, appunto, la prima versione del nostro San Matteo; Olia collabora con la resistenza nella Francia ormai occupata mentre Vika continua la sua attività di spionaggio per risponderne direttamente al compagno Stalin.
Per quanto riguarda la sparizione del San Matteo e l’angelo di Caravaggio, quel che sappiamo dai libri di storia è che nei primi giorni del maggio 1945 andarono distrutte migliaia di opere d’arte quando le famose Flaktürme berlinesi si trovavano sotto la custodia delle truppe sovietiche. Le torri Friedrichshain e Berliner Zoo, infatti, oltre che come rifugi antiaerei, erano state usate anche come depositi per gran parte del patrimonio artistico proveniente dai musei berlinesi. Nello specifico, la torre Friedrichshain subì un lungo incendio e i danni peggiori riguardarono ovviamente la pittura. Lo storico dell’arte inglese Christopher Norris, che si recò a Berlino dopo la liberazione, riporta che andarono perduti più di 400 dipinti di arte italiana, spagnola, fiamminga e olandese, inglese e francese; nella nota rivista d’arte The Burlington Magazine, nell’articolo del dicembre 1952 intitolato The Disaster at Flakturm Friedrichshain; A Chronicle and List of Paintings lo stesso Norris lamenta perdite riguardanti soprattutto le collezioni del Kaiser Friedrich Museum, dello Schloss Museum, del Deutsches Museum e del Museum für Völkerkunde. La lista comprende, oltre alle opere di Caravaggio provenienti dalla Collezione Giustiniani, la prima versione del San Matteo e l’angelo, Cristo sul monte degli ulivi e il Ritratto di cortigiana, anche capolavori di Andrea del Sarto, Rubens, Goya, Lucas Cranach, Antoon van Dyck per citarne solo alcuni.
D’altro canto il destino sfortunato delle arti durante i regimi dittatoriali e le guerre era già stato scritto nel 1937. Nell’anno dell’Esposizione universale, dove tra l’altro si ricordano i due padiglioni paurosamente simili di Germania e Unione Sovietica, il Ministro della propaganda Paul Joseph Goebbels aveva organizzato due mostre speculari, una dedicata alla pura arte germanica e l’altra destinata ad esporre l’arte non conforme alle prerogative estetiche del partito nazista, la cosiddetta arte degenerata che comprendeva in gran parte la produzione delle avanguardie di inizio secolo: dadaismo, cubismo, fauvismo, surrealismo e perfino espressionismo di matrice tedesca. All’indice nella mostra di Monaco, capolavori di Henri Matisse, Edvard Munch, Paul Gauguin, Vincent Van Gogh, Wassily Kandinsky, Max Ernst, Otto Dix, Oskar Kokoschka, Marc Chagall, Paul Klee, Piet Mondrian, tra i più conosciuti.
Il mistero dell’angelo perduto oltre che suscitare negli amanti d’arte un vivo interesse per il lavoro di indagine degli autori Paolo Jorio e Rossella Vodret, volto a recuperare il percorso nei secoli della tela scomparsa, ha senza dubbio il merito di suscitare nel lettore riflessioni solo in parte legate al dipinto di Caravaggio. In uno dei capitoli finali, Vika e il suo amato Helmut si interrogano su quale sia il reale valore delle opere d’arte di fronte alla tragedia della guerra. Nello scorrere della storia siamo tutti responsabili con le nostre singole scelte oppure di fronte agli eventi rimaniamo semplici spettatori, immobili alla parete come quadri e destinati ad essere ammirati, venduti, scambiati, rifiutati e poi eliminati. La domanda rimane aperta.
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