Resoconto di Rachel Cusk
la reinvenzione del romanzo contemporaneo
La narrazione contemporanea è inclusiva, governata dalla prima persona plurale: parla della collettività, del «Noi». Stiamo assistendo a una sorta di deriva del concetto di autorialità, progressivamente scompare la voce narrante, la possibilità di dire «Io».
Non si può più continuare a inseguire la distopia, ma è la realtà che prende il sopravvento. È cambiato lo spazio riservato all’autore: non più protagonista e artefice della storia, ma osservatore passivo e distaccato. Il romanzo ai giorni nostri appare come una composizione poliedrica e disomogenea, caratterizzata da una forma breve e sprovvista di un unico centro tematico. Ne sono esempio nuove narrazioni dalla struttura sperimentale che uccidono la possibilità dell’autobiografia come viene classicamente concepita.
Negli ultimi mesi si è parlato molto della canadese Rachel Cusk, indicata dalla critica come la «distruttrice della forma classica di romanzo». In realtà l’innovativa trilogia della Cusk, di cui in Italia è stato pubblicato solo il primo volume Outline tradotto come Resoconto (Einaudi, 2018), si inserisce in un filone di sperimentalismo già esistente.
Sosteneva Schlegel che «il romanzo è a-generico, letteratura in divenire», la visione del romanzo quale genere in continuo mutamento ci induce quindi a concepire i canoni letterari come sottoposti a un’incessante evoluzione.
Il trionfo del racconto corale sembra essere una prerogativa del nostro secolo dove l’individuo scompare nella pluralità della massa e la società globalizzata, nella sua pretesa di estrema comunicabilità, si sta avvicinando alla spersonalizzazione dei suoi soggetti. La narrazione si manifesta così come un flusso ininterrotto, sprovvisto di un nucleo centrale.
In Resoconto la protagonista cerca di concepire un senso partendo dall’osservazione al di fuori di sé. La vicenda gravita attorno a una scrittrice che si trova in Grecia per tenere un corso di scrittura creativa chiamato emblematicamente Come scrivere.
Lo stile della Cusk ricorda sotto molti aspetti l’«ècriture plate» della francese Annie Ernaux: in entrambi i casi si tratta di una scrittura chirurgica, che induce a una certa distanza emotiva dai temi trattati. Pochi avverbi, aggettivi solo se necessari, e una struttura narrativa che procede per digressioni: Faye, la protagonista di Resoconto raramente dice «Io», non si chiude in un fitto e delirante monologo interiore, non manifesta il proprio punto di vista. Di lei in realtà sappiamo ben poco, quasi nulla, e i suoi pensieri non vengono mai svelati completamente. È un libro di conversazioni e di incontri, ricco di dettagli ed emozioni intime destinate a rimanere a lungo nella mente del lettore persino a lettura conclusa.
Faye è un personaggio passivo, sommerso, che si annulla nel caleidoscopio di voci che la sovrastano. Le persone che incontra si rivelano progressivamente attraverso delle storie-confessioni, spesso condite con frasi oracolari, illuminanti epifanie, momenti latori di senso: «È la nostra idea di perfezione ad affliggerci, e ha radici nei nostri stessi desideri».
La struttura di Resoconto si compone di un insieme di micro-narrazioni: i personaggi sono diversissimi tra loro e le storie raccontate non hanno nulla in comune, se non il fatto di essere autentiche esperienze di vita spesso unite da due elementi fondamentali: la solitudine e il disincanto.
Qualcuno l’ha definito un «romanzo per adulti», perché la narrazione anticonvenzionale di Cusk tratta principalmente temi legati al divorzio e ai conflitti familiari, la relazione genitori- figli e il tormentato rapporto della donna con il proprio ruolo di madre. I personaggi mostrano tutta loro imperfezione e incompletezza, vivono in un presente in cui si sentono spesso confusi e smarriti, preda di un’identità provvisoria in continua evoluzione. Ne sono esempio gli scrittori Ryan e Angeliki, entrambi come trasformati dalla loro professione: uno guarda ai suoi racconti giovanili leggendovi «una sbiadita fotografia di se stesso» e si domanda dove sia finito l’entusiasmo con cui scriveva un tempo; l’altra, invece, appare completamente assorbita dalla nuova fama internazionale, inebriata dal proprio successo e convinta di poter cambiare attraverso le sue opere la visione universale del femminile.
La vanità, ha detto, è la maledizione della nostra cultura.
Nel mezzo dei vari racconti appaiono spesso frasi sferzanti, incisive, che risplendono come epifaniche lezioni di vita e mantengono viva l’attenzione sulla storia. Resoconto si nutre di un insieme di identità sconnesse, alla deriva, ciascuna alla ricerca di un senso e incapace di trovarlo; la protagonista stessa è l’emblema di questo conflitto:
Sentendo il mio corpo trasportato alla cieca nello spazio avevo la sensazione che tutto nella mia vita fosse stato ridotto in atomi
Alcuni brani del libro rimandano al celebre «stream of consciousness» di Virginia Woolf: Faye sembra essere l’alter ego della pittrice Lily Briscoe in Gita al faro, un personaggio passivo attraversato dalle vite degli altri, che infine si serve delle loro storie per comporre la propria opera d’arte.
Resoconto è indubbiamente un esercizio meta-narrativo, sono frequenti infatti all’interno del romanzo le riflessioni sull’atto scrittura, come se l’autrice si proponesse di far luce sul mistero della capacità creativa:
Siamo tutti assuefatti all’idea di miglioramento, assuefatti al punto che ha scalzato il nostro più profondo senso di realtà. Ha persino contagiato il romanzo, anche se forse ora è il romanzo che ci contagia, così che ci aspettiamo dalla vita ciò che abbiamo imparato ad aspettarci dai libri; ma io non voglio più saperne di questa concezione della vita come continuo progredire.
È una scrittura ripiegata su se stessa, che sembra incessantemente parlare di sé, delle proprie diverse forme possibili. Agisce nel presente come un movimento alla cieca, una specie di tentativo. È riposante lasciarsi trasportare dalla lettura come un flusso continuo, senza fratture, senza sconvolgimenti né colpi di scena, soltanto smarrirsi nelle parole.
Nel capitolo centrale gli studenti della scuola gestita da Faye trasformano le loro stesse vite in narrazioni dando origine a una forma di astrazione disturbante: «una donna stava in piedi nella sua cucina rimuginando su come scrivere un racconto», il processo creativo viene scomposto in ogni sua parte, riga per riga, ridotto così ai minimi termini.
Considerava pericolosa la tendenza a romanzare le nostre esperienze, inducendoci a credere che nella vita umana ci sia qualche disegno e che siamo più importanti di quanto siamo in realtà.
L’oggetto della narrazione è proprio l’atto stesso del raccontare e il lettore è irrimediabilmente attratto in questo vortice nonsense in cui la seduzione principale è esercitata dalla forza scrittura proiettata nel racconto orale.
Ciò che risplende come un diamante nelle pagine della Cusk è l’autonomia della prosa, svincolata da qualsiasi tessitura o presupposto di trama, che avvince il lettore trasportandolo con sicurezza fino alla conclusione.
Una sensazione di precarietà pervade tutto il romanzo, si legge con un’impressione di attesa inesausta, irrisolta; solo voltata l’ultima pagina si comprende che in realtà non c’è nessuna morale, nessun finale rivelatorio ad attenderci, solo la consapevolezza di aver compiuto un viaggio nella cacofonia di voci e verità contrastanti che compongono l’esistenza.
La vita sembra così ricca quando la guardo con gli occhi di uno scrittore, mentre la mia vita spesso appare sterile, come un arido pezzo di terra, dove per quanto io mi dia da fare non crescerà mai nulla.
Resoconto di Rachel Cusk appare come il manifesto letterario del presente, un libro breve e di agile lettura che ci restituisce tutto il senso di precarietà della società in cui viviamo. Si tratta di una forma autobiografica non convenzionale in cui chiunque può sentirsi coinvolto in prima persona perché la scrittura si muove con lo stesso ritmo della vita: in apparenza non accade nulla, ma in realtà succede tutto.
Da questo punto di vista non si può assolutamente vedere nella Cusk, la «distruttrice della forma romanzo»; a lei si deve piuttosto un originale rinnovamento del genere, un adeguamento ai canoni contemporanei della letteratura. Come sosteneva Milan Kundera nel libro L’arte del romanzo:
Romanzo. La grande forma della prosa in cui l’autore, attraverso degli io sperimentali (i personaggi) esamina fino in fondo alcuni grandi temi dell’esistenza
E i grandi temi dell’esistenza in questo breve resoconto ci sono tutti: si manifestano al lettore con una serie di interrogativi senza risposta, un senso di smarrimento totale e la ricerca costante di felicità che caratterizza ciascuno.
Il vero dramma espresso in questo compendio di incontri e conversazioni è il vuoto dell’incomunicabilità: tutti i personaggi parlano tra loro, eppure appaiono chiusi in un isolamento senza scampo. Sono sopraffatti da un dolore segreto, da un singolare senso dell’esistenza che, malgrado l’apertura data dal racconto, non viene mai trasmesso all’Altro.
«Solitudine» è proprio questa la parola che – con un riferimento significativo – chiude il romanzo.