The New Negro has no fear
breve introduzione alla Harlem Renaissance
Nel 1925 Albert e Charles Boni pubblicano: The new negro, un’antologia a cura di Alain LeRoy Locke. Si tratta di un’opera eterogenea, articolata in due distinte sezioni: una prima, The Negro Renaissance e una seconda, di stampo più analitico-sociale, The Negro in a New World. Qualche mese prima, sulla rivista «Survey Graphic», Alain Locke aveva già curato un numero interamente dedicato al tema dal titolo: Harlem: Mecca of the New Negro. Locke, docente di filosofia alla Howard University e primo “rhodes scholar” afroamericano, probabilmente non si aspettava un simile successo, vengono infatti vendute più di quarantamila copie. Non siamo solo di fronte a un caso letterario, il successo di queste pubblicazioni testimonia un crescente interesse nei confronti di una nuova scuola di letteratura afroamericana che trova una delle sue ragion d’essere nella coesistenza di immaginari, nella valorizzazione dell’incontro interrazziale e, soprattutto, nella rivendicazione di un’identità culturale originale, autonoma e legittima.
Il volume è introdotto dal saggio: Enter the New Negro, a Distinctive Type Recently Created by the Coloured Cabaret Belt in New York. Il titolo ricalca criticamente quello di un articolo uscito qualche mese prima su «Vanity Fair» (New Negro). Locke propone un punto di vista autentico che riesca a liberarsi definitivamente da una visione stereotipata e ghettizzante della cultura afroamericana ancora massivamente incentrata su concetti identitari conformi a una fascinazione superficiale e banalizzante, completamente falsati da un gusto esotizzante e primitivista. Per mezzo della letteratura, e della pubblicazione di questo volume, Locke augura una nuova spinta democratica nel contesto culturale americano.
Secondo Locke l’Old Negro era il prodotto di una violenza storica perpetrata nel corso dei secoli, una creatura generata dal trauma della segregazione e della discriminazione razziale, vincolata all’espressione eterodiretta e convenzionale di un’identità privata della sua intima originalità. Il New Negro, invece, ha la possibilità di ridefinire un’identità piena per mezzo di prodotti originali, esternando, attraverso differenti forme di cultura, la necessità di svincolarsi dalle espressioni culturali preesistenti.
All’inizio degli anni Venti in America stava iniziando a prendere forma un nuovo movimento culturale che sarebbe passato alla storia come l’Harlem Renaissance (il Rinascimento di Harlem). Il desiderio di ridefinizione e rivendicazione identitaria della comunità afroamericana trovava il giusto spazio di autonomia nel quartiere di Harlem, New York, diventato baluardo di questa lotta non violenta e luogo di incontro privilegiato dalla collettività coinvolta nel potente flusso culturale che andava definendosi sempre più chiaramente. Harlem dunque non è solo il centro nevralgico, è il nucleo propulsivo di un’ondata che finirà per investire tutti gli Stati Uniti, viene idealizzato fino a trasformarsi in uno spazio simbolico fondamentale, un’estensione degli stessi individui che lo vivono e che se ne riappropriano per mezzo di una rivendicazione libera.
Secondo alcuni critici del tempo, rappresentava la maturazione degli afroamericani nella sua incarnazione più moderna e urbana. Casa di una popolazione nera incredibilmente eterogenea che attraversava classi sociali e nazionalità, Harlem abbracciava vecchi e nuovi abitanti: migranti, immigrati, e newyorchesi per nascita.
In questi termini M.J. Nadell (M.J. Nadell, Enter The New Negroes. Images of Race in American Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, p. 1) scrive di Harlem, descrivendo in maniera vivida e precisa quello che doveva essere il fulcro di questo Rinascimento. La New York degli anni Venti accoglie il maggior numero di abitanti afroamericani di tutti gli Stati Uniti. I massicci flussi migratori dalle zone rurali a sud del paese e dai paesi caraibici prediligono questo centro urbano e in particolar modo Harlem, agglomerato semi rurale a nord di Manhattan, che diventa un luogo d’incontro simbolicamente e concretamente fondamentale. Locke descrive Harlem non solo meramente come la comunità afroamericana più numerosa, ma come l’espressione della più importante concentrazione di elementi culturali derivanti dalla comunità afroamericana della storia.
La Harlem Renaissance restituiva voce a un’intera comunità e i prodotti di diverse esperienze artistiche si univano nel tentativo di soddisfare il comune bisogno di riconoscimento, di espressione e rivendicazione identitaria nel contesto sociale americano ancora estremamente conservatore. Si trattava di un movimento letterario e al tempo stesso artistico in senso lato, coinvolgeva poeti e musicisti, le riflessioni che ne scaturivano investivano diversi aspetti della vita concreta degli afroamericani negli Stati Uniti, società e politica, quello stesso senso di contraddizione prodotto dall’idea di un quartiere simbolo che diventava paradossalmente ghetto, il bisogno di un risarcimento per gli abusi dell’uomo bianco, il riscatto di una comunità che ricercava espressione.