Culturificio
pubblicato 4 anni fa in L'angolo russo

Tra le pagine del Natale russo

Tra le pagine del Natale russo

Siamo tutti a Natale, un po’ Re Magi.

Negli empori, fanghiglia e affollamento.

La gente, carica di mucchi di pacchetti,

mette un bancone sotto accerchiamento

per un po’ di croccante al gusto di caffè

così ciascuno è cammello e insieme re.

Reticelle, sacchetti, borse della spesa,

colbacchi e cravatte che vanno di traverso.

Effluvi di vodka, odori di pino e baccalà

e di cannella, mandarini e mele.

Marea di volti, e per via del vento misto a neve

il sentiero verso Betlemme non si vede.

L’avete riconosciuta? Una tipica scena pre-natalizia, una di quelle di cui la tv si riempie in queste settimane di festa. Vecchi film visti e rivisti e nuovi tentativi di ricreare quella sensazione di attesa e tepore, di abbondanza ridondante, proprio come in questa poesia del 1971. Poesia ‘di rito’, potremmo dire, perché da quando ha iniziato a scrivere versi «seriamente», Iosif Brodskij compone poesie per ogni Natale quasi fosse – come lo stesso afferma – «un augurio di compleanno». Così diverse e così vive, le poesie tradotte in italiano nella raccolta Poesie di Natale (2004) riflettono il tempo in cui vedono la luce nell’arco di un trentennio, all’incirca ogni anno tra il 1962 e il 1995, in un crescendo spirituale.

Fiocca la neve: non fumano i comignoli

sui tetti, squillano invece. I volti come macchie.

Erode beve. Le donne nascondono i piccini.

Chi sta giungendo – non si sa mai:

ignoriamo i presagi, e il cuore sull’istante

potrebbe non ravvisar un forestiero nel viandante.

Ma quando, nel gelo della porta spalancata,

una figura avvolta nello scialle emerge

dalla foschia fitta della notte,

senti esistere in te senza vergogna

il Bambino e lo Spirito Santo;

poi guardi il cielo ed eccola – la Stella.

Non a caso, il Natale in Russia rappresenta un vero e proprio baluardo di spiritualità e tradizione, tra paesaggi innevati e canti solenni. Fortemente ancorato alla religione, Roždestvo resiste alla globalizzazione, saldo nella notte a cavallo tra il 6 e il 7 gennaio, la stessa in cui Nikolaj Gogol’ ambienta La notte prima di Natale.

Il giorno prima di Natale era finito. Era una chiara notte invernale. Brillavano le stelle. La luna, maestosa, si era alzata in cielo a illuminare la brava gente e il mondo intero, perché tutti potessero cantare allegramente le koljadki e glorificare Cristo.

Breve racconto scritto nel 1832 e pubblicato nella raccolta Le veglie alla fattoria vicino a Dikan’ka, La notte prima di Natale dà l’idea di quel «ridicolo» e «stellare» assolutamente riconducibili a Gogol’ – a detta di Vladimir Nabokov – per il quale un’immaginazione dipinta di superstizioni folcloriche si pone al servizio della favola natalizia. La magia del Natale vince persino sul diavolo e sull’oscurità di una notte improvvisamente priva di luna, permettendo al devoto fabbro Vakula di coronare il suo sogno d’amore, senza esser punito per non aver adempito ai solenni doveri morali e religiosi delle festività.

C’era l’inverno.

Soffiava vento dalla steppa

E aveva freddo il piccino nella grotta

Sopra il pendio del colle.

Lo riscaldava l’alito del bue.

Nella grotta, animali:

E un tiepido vapore galleggiava

Sopra alla mangiatoia

E accanto, mai vista sino allora,

Più ritrosa d’un lumino,

Alla finestra piccina d’un capanno

Baluginava la stella sulla via di Betlemme.

Spirituale e austero è Boris Pasternak nel descrivere l’incanto della notte di Natale nel componimento Stella di Natale scritto nel 1947 e pubblicato per la prima volta in URSS nel 1966.

Tutti gli alberi di Natale al mondo, tutti i sogni dei bimbi.

Tutto il tremito di candeline accese, tutti i festoni,

Tutto lo sfarzo d’orpello variopinto…

…Tutto un crescendo di furia e crudeltà soffiava il vento della steppa…

Inserita in Dottor Živago (1957), la poesia fa eco alla terza parte del romanzo, “L’albero di Natale dagli Sventickij”, dove l’autore descrive l’atmosfera fiabesca di luci e ghiaccio che Lara incontra lungo la strada notturna.

Coperte da uno spesso strato di ghiaccio e neve, le finestre delle case sembravano rivestite di gesso, e lungo la loro superficie opaca si muovevano riflessi colorati di alberi di Natale illuminati e ombre di persone allegre, come se da quelle case venissero proiettate per la gente in strada delle ombre cinesi su lenzuola bianche appese davanti a una lanterna magica.

In epoca sovietica, peraltro, le festività cristiano ortodosse vengono sostituite con elementi laici che rimandano al culto della personalità di Lenin prima e di Stalin poi. Uno dei simboli del Natale, l’abete, ricopre ai tempi dell’uomo d’acciaio un nuovo ruolo, quello dell’albero dell’anno nuovo: la novogodnjaja ëlka. La festa della ëlka, abolita negli anni Venti, viene così recuperata e restituita ai bambini sovietici dal maresciallo Iosif. Nelle pagine de La casa deserta (1939-1940) di Lidija Čukovskaja, la figura del vožd’ è presente in ogni aspetto della preparazione dei celebramenti:

Olga Petrovna […] infilava nei sacchetti di caramelle dei bigliettini con la scritta: «Grazie al compagno Stalin per la nostra felice infanzia».

Nell’allestimento della ëlka vediamo come Nonno Gelo (Ded Moroz), figura che potremmo avvicinare a quella di Babbo Natale, si ritrovi vicino a un Lenin bambino e al ritratto di Stalin:

Nataša […] fissò all’albero il Nonno Gelo […] Poi Olga Petrovna incollò la testolina ricciuta di Lenin bambino al centro della grande stella rossa a cinque punte, Nataša collocò la stella in cima all’albero, e tutto fu a posto. Staccarono dal muro il ritratto di Stalin in piedi e ne appesero un altro: Stalin seduto con una bambina sulle ginocchia.

L’immagine di Stalin alla parete descrive perfettamente il ruolo della cultura visuale nella costruzione del culto della personalità del padre del popolo in quella propaganda monumentale che contribuì a crearne il mito.

Di tutt’altro stampo sono invece i festeggiamenti del Capodanno delle detenute politiche in Grigio è il colore della speranza (1988) di Irina Ratušinskaja. Nella baracca in cui la scrittrice e le sue compagne di prigionia scontano le loro ingiuste condanne non c’è spazio per la gioia. Tuttavia, la loro voglia di vivere e sopravvivere le porta a cercare una parvenza di normalità anche nella dimensione disumana e disumanizzante del lager:

[…] dopo esserci lavate, non restituimmo la scatola della polvere dentifricia. E sul nero rivestimento metallico della stufa disegnammo un albero di Natale a grandezza naturale. Io disegnai la cima e la parte di mezzo, Nataša, stando sdraiata (non riusciva più ad alzarsi), il tronco dell’abete. […] Diluita con l’acqua, la polvere dentifricia si spalmava alla perfezione e il quadretto risultò molto allegro. E noi, sdraiate per terra: Nataša – al sesto giorno di sciopero della fame, io – all’undicesimo – guardandolo ne gioivamo come due bambine.

Giungiamo ora alla fine di questo nostro breve e certamente non esaustivo itinerario con Picnic sul ghiaccio (1996) di Andrei Kurkov in cui i protagonisti di questa folle vicenda post-sovietica, che vede uno spiantato scrittore di coccodrilli e il suo fedele amico pinguino imbattersi in loschi traffici con la mafia ucraina, si ritrovano in dača per festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Sulla tavola imbandita non possono mancare gli alcolici e, fra questi, una bella bottiglia di vodka nel caso dovessero ammalarsi. Come amano infatti dire i russi: «La vodka è la prima medicina».

«Ho preso due bottiglie di champagne e una di vodka al peperoncino, nel caso dovessimo raffreddarci. Dici che bastano?».

Noi qualche consiglio di lettura sotto l’albero ve lo abbiamo dato.

Dite che bastano?


Facciamo riferimento alle seguenti edizioni:

Brodskij, I., Poesie di Natale (con testo russo a fronte, trad. it. A. Raffetto), Milano, Adelphi, 2004.

Gogol’, N., La notte prima di Natale (tit. or. Noč’ pered Roždestvom, trad. it. P. Nori), Milano, Garzanti, 2019.

Pasternak, B., Il dottor Živago (tit. or. Doktor Živago, trad. it. S. Prina), Milano, Feltrinelli, 2020.

Čukovskaja, L., La casa deserta (tit. or. Opustelyj dom, trad. it. G. Bensi), Milano, Jaca Book, 1977.

Ratušinskaja, I., Grigio è il colore della speranza (tit. or. Seryj  ̶  cvet nadeždy, trad. it. L. Montagnani), Milano, Rizzoli, 1989.

Kurkov, A., Picnic sul ghiaccio (tit. or. Smert’ postoronnego, trad. it. R. Mauro), Rovereto, Keller, 2017.

di Sara Gargano e Anita Orfini